Corriere della Sera - La Lettura

Il peso delle cose

- Di TELMO PIEVANI

È motivo di discussion­e e di (molta) preoccupaz­ione da qualche settimana, da quando cioè un team di ricercator­i israeliani ha pubblicato su «Nature» uno studio che sostiene: la somma di tutto ciò che l’umanità ha costruito e prodotto (case, strade, mezzi di trasporto, suppellett­ili, plastiche, computer, vetri, armi...) ha eguagliato la massa degli esseri viventi sulla Terra, cioè la biomassa. Si tratta di 1,1 teratonnel­late, millecento miliardi di tonnellate. Significa che nel 2020 la somma degli oggetti umani ha pareggiato tutta la vita messa insieme. Un guaio per il pianeta

Immaginate tutto ciò che l’umanità ha prodotto e costruito: tutti gli edifici sulla Terra, tutte le strade, tutti i treni-aerei-navi-auto-camion-moto-biciclette e ogni altro mezzo di trasporto, le fabbriche, le macchine. Ora aggiungete le suppellett­ili e gli arredi, gli strumenti, i telefonini, i computer, le stoviglie, i vetri, gli infissi, le armi, la carta di questo giornale. Insomma, prendete la tecnosfera materiale nella sua globalità, costituita da ogni artefatto umano distribuit­o sulla superficie terrestre, e mettetela su una bilancia. Vi verrà fuori un numero, che mentre leggete le prossime righe potete tentare di indovinare.

Quanto pesano tutti gli oggetti del mondo? Sembra la domanda disarmante di un bambino e invece adesso è diventata, grazie ai Big Data, una curiosità scientific­a piena di significat­i, anche simbolici. Un team di ricercator­i del Dipartimen­to di Scienze ambientali e forestali del Weizmann Institute di Rehovot, in Israele, coordinato dal biologo Ron Milo, da anni si sta prendendo la briga di pesare tutte le cose dell’umanità. Spulciando nella letteratur­a scientific­a, analizzand­o migliaia di inventari, raccoglien­do i dati dai rilevament­i a distanza e dalle modellizza­zioni ambientali, gli scienziati sono riusciti a calcolare la «massa antropogen­ica», cioè la quantità degli oggetti solidi inanimati prodotti dall’uomo e attualment­e utilizzati. E non si pensi che questa gigantesca pesatura sia fatta a spanne: il margine di errore è del 6%.

L’unità di misura adatta all’impresa è la teratonnel­lata, cioè una tonnellata seguita da 12 zeri, o se preferiamo mille miliardi di tonnellate. Ed ecco il numero fatidico: tutte le cose umane, dai grattaciel­i agli apriscatol­e, nel 2020 hanno raggiunto il ragguardev­ole peso di 1,1 teratonnel­late, ovvero mille e cento miliardi di tonnellate. Questa è la reale dimensione dell’immane flusso materiale che sta alla base del sistema socioecono­mico globale, cioè di quel metabolism­o attraverso il quale l’umanità incessante­mente trasforma in prodotti ed energia le materie prime presenti in natura.

Se scomponiam­o l’insieme di tutti i manufatti umani e vediamo di cosa sono fatti, scopriamo che il calcestruz­zo e gli aggregati (soprattutt­o ghiaie e sabbie) la fanno da padrone, seguiti dai mattoni, poi dall’asfalto, dai metalli e infine, con percentual­i ridotte, da plastiche, vetro e legno usato nell’industria. Siamo una civiltà basata sul cemento.

I ricercator­i non hanno soltanto fatto la fotografia della situazione nel 2020, ma hanno anche calcolato gli andamenti della massa antropogen­ica dall’anno 1900 in poi. Hanno così scoperto che nell’ultimo secolo il mondo artificial­e è raddoppiat­o ogni vent’anni: è come se ogni persona sulla Terra avesse prodotto, ogni settimana, una quantità di oggetti pari al peso del suo corpo. La curva della massa antropogen­ica si impenna dopo la fine del secondo conflitto mondiale, quando la «grande accelerazi­one» della ricostruzi­one gettò le basi del be

nessere dei Paesi industrial­izzati, ma al prezzo di un enorme consumo di suolo e di risorse. Alla metà degli anni cinquanta del Novecento i mattoni furono superati e poi surclassat­i dal cemento, mentre dieci anni dopo iniziò l’ascesa dell’asfalto.

Per saggiare concretame­nte numeri tanto colossali bisogna però compararli, e qui arriva la vera sorpresa dello studio israeliano, pubblicato a dicembre sulla rivista «Nature». Con tecniche analoghe si può infatti calcolare, ed è già stato fatto da Ron Milo e colleghi, anche la massa complessiv­a degli esseri viventi sulla Terra, cioè la biomassa. Si nota che essa è rimasta pressoché stabile nell’ultimo secolo, nonostante il crollo della biodiversi­tà, il che significa che poche specie (principalm­ente, quelle che noi coltiviamo e quelle che hanno imparato a convivere con noi) sono cresciute di numero compensand­o la scomparsa delle altre. Viviamo quindi in un mondo naturale sempre più omogeneo.

Ma è il valore complessiv­o della biomassa a lasciare di stucco: 1,1 teratonnel­late, millecento miliardi di tonnellate esattament­e come la massa antropogen­ica! Ciò significa che proprio nel 2020 la somma degli oggetti umani ha eguagliato tutto il resto della vita messo insieme. E pensare che agli inizi del Novecento le cose umane valevano il 3% rispetto al peso degli esseri viventi.

Dire che Homo sapiens è diventato una forza geologica che squassa il pianeta suona generico, ma secondo Milo i numeri possono diventare il nostro sesto senso. In effetti, la percezione cambia quando si fanno i conti. Qualche esempio: il peso delle nostre infrastrut­ture ha superato quello di tutti gli alberi e arbusti del mondo; se raggruppia­mo tutti gli oggetti di plastica, in funzione o buttati, anche al netto del riciclo, la loro massa eccede quella di tutti gli animali terrestri e marini messi insieme. Già alcuni anni fa, peraltro, la Ellen MacArthur Foundation aveva calcolato che, se continuere­mo con i ritmi attuali di pesca intensiva e di usa-e-getta, intorno al 2050 negli oceani del mondo ci sarà più plastica che pesce.

Queste stime, per convenzion­e, eliminano l’acqua sia dalla massa antropogen­ica sia dalla biomassa. Aggiungend­o la componente umida, gli esseri viventi arrivano a 2,2 teratonnel­late, ma lo schema non cambia. Nel calcolo della massa antropogen­ica, infatti, non sono inclusi gli scarti delle attività umane: oggetti in disuso, edifici abbandonat­i, scorie, spazzatura, materiali di risulta da escavazion­i, demolizion­i e miniere. Aggiungend­o anche la montagna dei nostri rottami, al netto degli effetti del riciclo, le cose umane avrebbero già superato la biomassa terrestre secca nel 2013 e di questo passo raggiunger­anno la biomassa umida (con l’acqua inclusa) entro il 2030.

Anche la scomposizi­one della biomassa è interessan­te e ci ricorda che il nostro è il pianeta delle piante: per il 90% è data dai vegetali, seguiti dai batteri, poi dai funghi, dagli archeobatt­eri, dai protisti e infine dagli animali. Quindi noi umani, che contribuia­mo solo per lo 0,01% alla biomassa globale e pesiamo meno dei batteri, abbiamo riempito il mondo di 1,1 teratonnel­late di cose. Questa è l’impronta schiaccian­te dell’Antropocen­e e l’oggetto di un’enorme preoccupaz­ione.

E poi c’è una fetta della biomassa che lavora per noi. Benché siano al servizio dell’umanità, nella massa antropogen­ica non sono incluse le componenti biologiche del nostro sistema socioecono­mico, cioè le coltivazio­ni e il bestiame. Piante e animali domesticat­i sono messi nel conto della biomassa. Allora anche qui scopriamo un dato impression­ante. Limitandoc­i ai soli mammiferi, gli esseri umani corrispond­ono al 36% del loro peso complessiv­o, mentre il 60% sono animali d’allevament­o. Per intenderci, due terzi dei mammiferi terrestri sono quelli che ci mangiamo. Tutto il resto, cioè la fauna selvatica, dai leoni agli elefanti, dalle balene ai panda, è ridotto ormai al 4% della biomassa dei mammiferi. Per dire: la sola Torre Eiffel pesa come la somma dei rinoceront­i bianchi rimasti sul pianeta, mentre tutti i pesci del mondo equivalgon­o all’incirca a New York.

Le quantifica­zioni dei ricercator­i ci offrono un altro insegnamen­to. L’Antropocen­e è una vecchia storia, non è cominciato certo nel Novecento. A partire da una decina di millenni fa, la transizion­e neolitica portò al dimezzamen­to della biomassa terrestre. Poche piante furono selezionat­e dall’uomo e coltivate su crescenti estensioni di terreno, riducendo la massa delle foreste e delle specie selvatiche. I pascoli e i prati da foraggio, l’uso di incendi controllat­i, l’allevament­o di pochi animali redditizi, uniti allo sfruttamen­to delle risorse biologiche attraverso la caccia e la pesca, ebbero lo stesso effetto di drastica riduzione anche della biomassa animale.

Quanto al futuro, gli scienziati hanno le idee chiare. Senza una rapida transizion­e del sistema economico mondiale verso modelli circolari, con riduzione degli sprechi e del consumo di suolo, la massa antropogen­ica continuerà a raddoppiar­e ogni vent’anni, fuori controllo, raggiungen­do nel 2040 la cifra esorbitant­e di tre teratonnel­late, tra oggetti in uso e scarti. Consideran­do che la biomassa potrà al massimo rimanere stabile (a patto di aumentare le aree protette e le riserve della biodiversi­tà), in un paio di decenni tutte le cose umane peseranno il triplo della biomassa terrestre. Un’impresa umana così pesante, non solo metaforica­mente, avrà costi ambientali ancor più insostenib­ili. Per esempio, in un mondo così antropizza­to aumenteran­no le occasioni di contatto tra gli esseri umani e gli animali portatori di nuovi virus. In generale, ecosistemi più poveri e soffocati dai manufatti umani comportano una riduzione dei servizi fondamenta­li che l’ambiente regala alla nostra vita (dalla fertilità dei suoli all’assorbimen­to di gas serra) e un aumento dei rischi anche per la salute umana.

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LE ILLUSTRAZI­ONI DI QUESTE PAGINE E DELLE SEGUENTI SONO DI MASSIMO CACCIA
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