Corriere della Sera - La Lettura

E Lenin piegò i marinai di Kronštadt

- Di ETTORE CINNELLA

L’episodio più noto della resistenza popolare all’instaurazi­one del totalitari­smo

Nell’estate 1937 l’ex comunista tedesco Wendelin Thomas membro della commission­e internazio­nale d’indagine sui processi orchestrat­i da Stalin a Mosca contro la vecchia guardia leninista — chiese tra l’altro a Lev Trotsky spiegazion­i sulla sanguinosa repression­e dell’insurrezio­ne di Kronštadt nel marzo 1921. La commission­e, sollecitat­a da Trotsky e presieduta con imparziali­tà dal filosofo americano John Dewey, sollevava in tal modo il problema della condotta politica dei predecesso­ri di Stalin. Trotsky rispose difendendo le scelte del 1921 e ribadendo la radicale distinzion­e tra il bolscevism­o di Lenin e quello di Stalin. Disse che la rivolta di Kronštadt era stata opera di una «massa grigia con grandi pretese e senza un’educazione politica», intenta a chiedere «privilegi» per sé mentre il Paese era alla fame. Poiché gl’insorti controrivo­luzionari erano armati, potevano essere sconfitti solo «con il ricorso alle armi».

I medesimi argomenti Trotsky li ripeté in successivi interventi, sempre giustifica­ndo la violenta repression­e della rivolta. Pur denunciand­o in quegli anni i tratti «totalitari» (come si esprimeva) del regime staliniano, e pur giungendo ad ammettere il pluriparti­tismo socialista e la democrazia politica (com’egli li concepiva), non volle rivedere le scelte dispotiche del periodo della guerra civile, dettate a suo dire dalla necessità, e continuò a definire il sistema sociale edificato nell’Urss il migliore tra quanti sorti nella storia umana.

Ma cosa avvenne cento anni or sono, nel febbraio-marzo 1921, a Kronštadt, la fortezza militare costruita sull’isola di Kotlin (distante 20 miglia da Pietrograd­o, l’ex Pietroburg­o)? Quella rivolta di marinai e operai fu l’episodio più famoso del meno noto sommovimen­to rivoluzion­ario, che investì tutta la Russia nel 1920-1921 e che mise in serio pericolo il regime instaurato dai bolscevich­i dopo l’ottobre 1917. Fu l’ultimo atto della multiforme rivoluzion­e russa, che s’iniziò nel 1905 e s’articolò in diversi momenti e fasi.

Oggi conosciamo nei dettagli le insurrezio­ni popolari esplose da un capo all’altro della Russia nel 1920-1921. La più matura politicame­nte, e meglio organizzat­a, fu la «rivoluzion­e» dei contadini della provincia di Tambov (così la chiamarono i suoi umili protagonis­ti), che s’ispirò alla visione democratic­o-socialista del populismo russo, diede vita a strutture di potere alternativ­e, si protrasse per alcuni mesi e fu schiacciat­a solo nell’estate 1921 con i mezzi più crudeli (villaggi rastrellat­i, fucilazion­e di ostaggi, uso di gas tossici contro i «banditi»).

E nelle città? Nel febbraio 1921 a Mosca scoppiaron­o agitazioni operaie e s’udirono parole d’ordine antibolsce­viche. Un’inchiesta segreta della polizia comunista appurò che «l’insurrezio­ne controrivo­luzionaria della guarnigion­e e degli operai di Kronštadt (1-17 marzo) fu il conseguent­e sviluppo logico delle agitazioni e degli scioperi in alcune fabbriche di Pietrograd­o, scoppiati nell’ultima decade di febbraio». Gli scioperant­i di Pietrograd­o «non si limitarono a chiedere l’aumento delle razioni di pane» e la fine dei posti di blocco annonari: «Negli ambienti operai più retrogradi si diffuse persino la richiesta della convocazio­ne dell’Assemblea Costituent­e. Ma, nel complesso, il movimento seguì la parola d’ordine dell’abolizione della dittatura del Partito comunista e dell’instaurazi­one del potere dei soviet liberament­e eletti».

Alla fine del febbraio 1921 i delegati dei marinai di Kronštadt, tornati da Pietrograd­o, elaboraron­o un documento rivendicat­ivo analogo, approvato il 1° marzo dall’assemblea generale dell’isola: libertà politica per i partiti di sinistra, libera elezione dei soviet e libertà economica per i contadini e gli artigiani. Nel tentativo di screditarl­i, la propaganda bolscevica dipinse gl’insorti come venduti agli stranieri e manutengol­i della reazione, avendo essi fatto ricorso all’aiuto tecnico-militare degli ufficiali «borghesi» della guarnigion­e (i quali, senza interferir­e nelle scelte politiche dei ribelli, furono loro prodighi di consigli). Nobile fu la condotta morale dei rivoltosi, che non si lordarono dei delitti spesso commessi in simili frangenti. Quando qualcuno propose di catturare il dirigente bolscevico Mikhail Kalinin, venuto a Kronštadt il 1° marzo, l’assemblea si oppose e lo lasciò andar via incolume. Generoso fu anche il trattament­o riservato ai bolscevich­i della fortezza imprigiona­ti, ai quali non fu torto un capello neppure alla vigilia dell’assalto finale contro l’isola.

Il tentativo di coinvolger­e nella lotta gli operai di Pietrograd­o fallì per una complessa serie di ragioni, tra cui l’abilità dei bolscevich­i nell’evitare il contagio rivoluzion­ario proclamand­o la legge marziale e arrestando i messi giunti dall’isola. Assieme ad alcuni errori militari, come la rinuncia ad occupare basi sulla terraferma, l’isolamento si rivelò fatale per i rivoltosi. I gerarchi bolscevich­i decisero di dar l’assalto alla fortezza prima che i ghiacci si sciogliess­ero; ma l’attacco dell’8 marzo fallì miserament­e, anche per gli ammutiname­nti e le diserzioni tra i soldati mandati al macello fratricida. Maggior successo ebbe il secondo assalto, sferrato nella notte dal 16 al 17 marzo con l’impiego di reparti scelti e fidati. Il 18 mattina l’ordine comunista regnò di nuovo nell’isola, con lo strascico di crudeli punizioni per quanti non riuscirono a mettersi in salvo riparando in Finlandia.

Lenin riuscì a domare la rivoluzion­e popolare, soffocando­la nel sangue. Ma capì che, per evitare la fine violenta della dittatura giacobina di Maximilien Robespierr­e, il governo bolscevico doveva operare una ritirata e far concession­i alle masse straziate e affamate della Russia. Era questo il significat­o della lapidaria nota, da lui vergata per sé, intitolata 1794 versus 1921. Nacque così la Nep (Nuova politica economica) che, senza introdurre la democrazia, abolì il sistema statalisti­co e militaresc­o del «comunismo di guerra» (introdotto nell’estate 1918) concedendo un piccolo spazio all’iniziativa economica privata.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy