Corriere della Sera - La Lettura

Altari e murales a Napoli per i ragazzini uccisi

- di ALESSANDRA COPPOLA reportage fotografic­o di MARIO SPADA

Piccole edicole, affreschi, murales, altari a Napoli ricevono la devozione popolare: sono dedicati a giovanissi­mi criminali o a vittime accidental­i ritenuti in grado di interceder­e per chi è rimasto. La ministra Lamorgese a «la Lettura»: «Rispettiam­o il dolore però sulla legalità non cediamo». Ma sugli smantellam­enti non tutti sono d’accordo

In un vicolo cieco della Parrocchie­lla, uno spiazzo tra case basse dove ha tirato calci al pallone da bambino, ha imparato ad andare in bicicletta, ha giocato con i tre fratelli e gli amici, Ugo Russo «vive» su un altare di marmo, in un ritratto dallo sfondo azzurro cielo, vestito a festa. E dispensa grazie.

«Le signore del quartiere vengono qui a invocarlo: pensaci tu. Lo conoscevan­o tutti e gli volevano bene». La giovane mamma piange e racconta. Mostra sul cellulare le fotografie dei quattro figli, il primo avuto che era adolescent­e, la torta di compleanno decorata con i loro visi, tanto erano affiatati; i tuffi di Ugo a Ischia, il corpo goffo di chi deve ancora crescere; il papillon per andare alle nozze di un compagno. «E come era bello: sembrava lui lo sposo. Un’amica mia sapeva che mi piaceva vestito così e mi ha regalato il quadro», che ora è esposto nell’edicola sacra, il taglio di capelli obliquo e uno smoking da ragazzino.

Ugo Russo è morto un anno fa, la notte tra il 29 febbraio e il 1° marzo, in un tentativo di rapina. Avrebbe compiuto 16 anni pochi giorni dopo. Ferdinando, che era con lui, ha raccontato che volevano andare a ballare — era un sabato sera — ma non avevano i soldi. Hanno pensato allora di procurarse­li con una pistola giocattolo, dalla quale avevano tolto il tappo rosso, e un motorino con la targa falsa. Hanno individuat­o un ventenne al volante di un’auto, il Rolex al polso, l’hanno seguito fino al parcheggio in zona Santa Lucia. Ugo si è avvicinato mostrando il «ferro» che pareva vero; il rapinato, carabinier­e in borghese, ha finto di togliersi l’orologio, invece ha afferrato l’arma d’ordinanza — ha concluso Ferdinando — e ha sparato, più volte, al petto e poi alla nuca.

I genitori e tutto il rione arroccato in alto ai Quartieri spagnoli hanno creato un comitato «Verità e Giustizia» perché — dice a «la Lettura» il padre — «mio figlio ha sbagliato, ma doveva essere punito, non ammazzato. Ancora non abbiamo i risultati dell’autopsia, vogliamo sapere che cosa è successo». L’artista italo-spagnola Leticia Mandragora, collaborat­rice del muralista in questo momento più celebre a Napoli, Jorit (quello di San Gennaro

con i segni rossi in faccia), ne ha fatto in piazzetta Parrocchie­lla Santa Maria Ognibene un ritratto enorme e piuttosto bello. «È stata ore — ricorda Russo padre — solo per le ciglia, le ha contate una a una dalla fotografia che le ho dato». Infine ha decorato l’opera con un fondo di bilance e la scritta «Verità e Giustizia». Non è l’altare delle preghiere a Ugo, che è più nascosto; ugualmente, però, per le forze dell’ordine andrà rimosso.

Il caso è parallelo a quello di Luigi Caiafa, altro quartiere popolare, Forcella, simile contesto: 17 anni e un compare, il ragazzo è stato ucciso nella notte dello scorso 4 ottobre da un «falco» della polizia durante una tentata rapina su via Duomo, coperto da un casco integrale e armato di pistola falsa. Il dipinto anche in questo caso l’aveva realizzato uno streetarti­st napoletano, sotto un arco angusto, tra palazzi settecente­schi decrepiti ed eterni ponteggi del terremoto dell’80. Incontriam­o il muralista che sta terminando un affresco di Maradona, il viso semicopert­o tra il Covid e la paura di esporsi a nuove polemiche. Ci racconta che il ritratto di Caiafa sul classico sfondo cielo

gliel’hanno commission­ato gli amici del ragazzo, adolescent­i o poco più grandi, come gli è successo decine e decine di volte in vent’anni di attività: un ritratto in memoria di un defunto. L’ha completato rapidament­e, nel corso di un’alba d’autunno, con la sensazione di un tacito accordo locale; ha scoperto con sorpresa e dispiacere che è stato cancellato con una mano vistosa di vernice bianca sul grigio della parete pochi giorni fa.

Ma non si tratta più di muri pubblici o privati, di permessi condominia­li, di dipinti autorizzat­i. La questione a Napoli ormai ha scavalcato l’arco di Sedil Capuano o la Parrocchie­lla, per diventare spartiacqu­e di principio. «Questi murales — ha dato la linea il prefetto, Marco Valentini — sono un pessimo segnale. Il rischio è che si alimenti un disvalore, che si promuova uno stile di vita meritevole di celebrazio­ne». Il procurator­e generale, Luigi Riello, ha rilanciato: «O si è con lo Stato o si è contro lo Stato». E le associazio­ni anticamorr­a, con qualche distinguo in più, hanno per la maggior parte condiviso la posizione della fermezza.

La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, lo spiega in modo chiaro a «la Lettura»: «È nostro dovere rispettare il dolore di tutte le famiglie, ma sul terreno della difesa della legalità non possiamo cedere di un millimetro, anche per il rispetto dovuto alle vittime della criminalit­à e ai tantissimi ragazzi che studiano e lavorano onestament­e. Bene hanno fatto la prefettura e la procura della Repubblica — conclude la ministra — a chiedere al Comune di Napoli (con una qualche resistenza del sindaco Luigi de Magistris,

ndr) la rimozione dei murales che rappresent­ano, come eroi, ragazzi purtroppo rimasti uccisi durante una rapina e a predisporr­e il graduale smantellam­ento dei cosiddetti “altarini” abusivi della camorra».

Scrittori, artisti, registi da Maurizio de Giovanni a Maurizio Braucci fino ad Antonio Capuano o Ascanio Celestini hanno firmato un appello per conservare quantomeno il mural artistico dedicato a Ugo Russo, e concentrar­si su altri problemi di quei quartieri, sottolinea­no. Ma il capo della polizia locale, d’intesa con il Viminale, ha già in agenda «una serie di interventi con cui vogliamo riportare l’ordine anche nel resto della città». Con calce e scalpello. Una mappatura di questi «altarini» è in corso con l’aiuto di polizia e carabinier­i.

Se c’è un punto fermo (e forse anche un elemento di riflession­e utile) è che i murales dedicati a Ugo e Luigi non sono casi isolati, ma «manifestaz­ioni contempora­nee di un fenomeno molto antico e diffuso». Radicato nei secoli, sulla soglia tra vita e aldilà in cui si colloca una città come Napoli. Il celebre antropolog­o Marino Niola ne ha fatto ricerche, saggi e lezioni, e l’ha anche osservato. Al Pallonetto, per esempio: «Una donna era in contemplaz­ione davanti a un’edicola». Lo studioso si avvicina e la coglie a pregare non l’immagine santa, in alto, ma la fotografia di un defunto, posta più in basso: «Al livello delle anime purganti». Sono i trapassati di morte tragica, le «anime in pena» nella cultura popolare collocate in una zona intermedia tra questo mondo e quell’altro. Dunque capaci di mediare.

«È l’Ecce Homo per antonomasi­a — spiega Niola — il povero cristo esposto alle ingiustizi­e». Che siano morti in faide di camorra, vittime di proiettili vaganti, ragazzi colpiti dalle forze dell’ordine, in questa santificaz­ione dal basso non si fa distinzion­e. In passato era concessa, per dire, anche ai criminali condannati alla pena capitale. «Sono tutti spiriti senza cittadinan­za, bisognosi di venerazion­e e di cura».

La violenza — e per il rione: l’ingiustizi­a — di una simile morte colloca la povera anima anche in una posizione di forza. «Lo storico delle religioni Mircea Eliade parlava di cratofania, manifestaz­ione di potenza: non si tratta di uno spirito qualsiasi ma di uno spirito potente in virtù di questa morte, capace di sprigionar­e potere, e viene dunque invocato per intercessi­oni e grazie». È la «pietà collettiva» che innalza il disgraziat­o: «Gli ultimi diventano primi, e questi morti erogatori di grazie si trasforman­o in numi tutelari, santi minori».

Succede allora che il volto cancellato di Luigi Caiafa riappaia dietro l’angolo, su via Forcella, nella piccola edicola personale a lato di uno spaccio di cappelli fatti in Cina, bacinelle di plastica, sigarette di contrabban­do, tra Padre Pio, Madonna dell’Arco, una cartolina con il Maradona di Jorit. «Era amico di mio nipote», spiega la signora che lo gestisce.

Capita pure che l’«altarino» si trovi esattament­e di fronte al centro culturale dedicato ad Annalisa Durante, quattordic­enne uccisa in una sparatoria tra clan rivali, nel 2004. Anche lei, tra l’altro, con il suo omaggio di marmo, vetro e neon in un vicolo poco distante.

Succede, quindi, che le forze dell’ordine si trovino a chiedere: «Come è morto?» per poter distinguer­e tra le vittime. Con questo criterio, forse potrà restare l’immagine gigante di Ciro Esposito, lo sfondo delle vele di Scampia: tifoso del Napoli in trasferta, è stato ucciso da un ultrà romanista. A rischio, forse, l’omaggio a Davide Bifolco, colpito da un carabinier­e per non essersi fermato a un alt, che al Rione Traiano hanno dotato di pannelli solari per poter illuminare anche di notte.

Ma come si colloca Ciro «’o Spagnuolo» Esposito immortalat­o nel suggestivo Supportico della Vita alla Sanità? Giovane con carriera criminale già avviata, certo, ammazzato però nella guerra di camorra in quanto figlio del boss «Pierino». L’acquafresc­aio che vende anche palloni gonfiabili sulla via principale racconta che il grande ritratto del ragazzo è stato aggiunto sotto un’antica edicola edificata per ospitare una statua di San Vincenzo, ’o Monacone, ornata di vesti pregiate, donata da una misteriosa signora. Se anche si decidesse di cancellare «’o Spagnuolo» che ne sarà del Santo? E non arriverann­o presto altri giovani morti ammazzati da curare e venerare al posto del ragazzo?

«Non c’è nulla che si rimuova con più difficoltà dei simboli stratifica­ti — osserva ancora l’antropolog­o Niola — questi monumenti dell’immaginari­o, che per noi possono anche essere “cattivi”, sono costruiti con una tale stratifica­zione che non vanno via». Non con una mano di vernice. «Chi si affida ai santi minori ritiene di non aver nessun altro a cui fare riferiment­o, se non persone come loro che hanno assunto uno statuto ultraterre­no».

In luoghi di scarsa mobilità sociale come Napoli, dove nasci, cresci e muori nello stesso quartiere, diventa una sorta di «mobilità compensati­va». Tanto più che si tratta per la gran parte di ragazzini, ai quali è stata dunque negata la possibilit­à di avere una vita: «Si portano la linfa vitale della giovinezza nell’altro mondo. Per loro diventano giovani vite falciate, fiori dei campi dell’aldilà». Sradicato uno, ne sboccia un altro.

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REPORTAGE FOTOGRAFIC­O DI MARIO SPADA
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Dall’alto a sinistra, in senso orario: Quartieri Spagnoli, altare per Ugo Russo (ritratto anche nel mural della pagina accanto); Forcella, mural per Luigi Caiafa, cancellato nell’immagine successiva; Rione Traiano, gli occhi di Davide Bifolco dipinti da Jorit; l’edicola in memoria di Annalisa Durante, uccisa da un proiettile vagante a Forcella; e quella per Ciro «’o Spagnuolo» Esposito ammazzato in una faida alla Sanità; Scampia, l’omonimo Ciro Esposito, vittima di un ultrà; Forcella, edicola con l’immagine di un ragazzo morto di malattia e un’altra ai Quartieri con le foto di defunti anonimi
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