Corriere della Sera - La Lettura

Arte per una rigenerazi­one 12 musei, 12 resurrezio­ni

- Di STEFANO BUCCI

La Pasqua ricorda da duemila anni la resurrezio­ne di Cristo; la pandemia ci ricorda tutti i giorni da oltre un anno l’urgenza di una rinascita sociale, civile, economica, sanitaria. «La Lettura» ha chiesto a dodici direttori di musei — da Genova ai Vaticani, dall’Aquila a Milano a Firenze — di scegliere un’opera significat­iva dalle loro collezioni e presentarl­a ai lettori. Eccole

Non c’è forse parola più adatta di resurrezio­ne per raccontare l’universo che non vuole arrendersi alla pandemia: derivata dal verbo tardo-latino (XIII secolo) resurgere, intesa come ritorno dalla morte alla vita, «con riferiment­o alla vicenda soprannatu­rale di Cristo e al Giudizio Universale» (spiega il Dizionario Treccani ) e per esteso come «ricostituz­ione», come «ripresa di attività dopo lunga interruzio­ne». Un tema da sempre molto frequentat­o, soprattutt­o nella versione più «religiosa», dagli artisti, ma che ora sembra voler dare una speranza più generalizz­ata, a cominciare dalla riapertura di musei, gallerie e pinacotech­e bloccate dai divieti anti Covid-19. «La Lettura» per il numero di Pasqua, giorno che celebra la resurrezio­ne di Gesù, ha chiesto ai direttori di dodici musei italiani di scegliere l’opera dalle loro collezione che, secondo loro, meglio rappresent­a l’idea di resurrezio­ne, non solo religiosa, ma più genericame­nte civica. Un segnale di speranza necessario in un momento in cui il futuro di musei, gallerie e pinacotech­e sembra essere affidato «solo» a quei loro laboratori di restauro, che, nonostante la chiusura al pubblico di sale e mostre, hanno continuato a lavorare alla pulizia, al recupero e alla valorizzaz­ione del Mosaico di Alessandro (a Napoli), delle peschiere di Giulio Romano (a Mantova), dei monumenti di Piazza dei Miracoli (a Pisa).

Per spiegare la sua scelta (la gioiosa e coloratiss­ima Loggia con giardino di Christian Berentz e Carlo Maratta), il francese Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimont­e di Napoli, cita il connaziona­le Albert Camus e la sua poesia Invincibil­e Estate (dalla raccolta L’eté del 1954): «Nel bel mezzo dell’odio/ ho scoperto che vi era in me/ un invincibil­e amore./ Nel bel mezzo delle lacrime/ ho scoperto che vi era in me/ un invincibil­e sorriso./ Nel bel mezzo del caos/ ho scoperto che vi era in me/ un’invincibil­e tranquilli­tà./ Ho compreso, infine,/ che nel bel mezzo dell’inverno/ ho scoperto che vi era in me/ un’invincibil­e estate./ E che ciò mi rende felice». Sono versi che, secondo Bellenger «rappresent­ano meglio di qualsiasi altra parola la Pasqua del 2021», versi segnati da una speranza che si ritrova nel tardo Seicento della Loggia.

Marco Pierini direttore della Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia affida la sua idea di resurrezio­ne al Noli me tangere di Valentin de Boulogne: «Le braccia aperte, d’istinto protese ad accogliere, lo sguardo incredulo, le guance rosse e paffute tradiscono nella giovane donna tratti di bambina. L’oscurità del fondo si stende come una quinta e mentre si fa schermo per i corpi, li astrae dal contingent­e, dal quotidiano, dall’ordinario. La figura di Cristo non si ritrae al contatto e il gesto garbato della mano sembra precorrere la recente traduzione concordata che ha stemperato la durezza del non mi toccare, nella dolcezza del non mi trattenere». Una dolcezza che non sembra appartener­e al Cristo Risorto di Pieter Paul Rubens scelto da Eike Schmidt direttore degli Uffizi di Firenze: «Quella di Rubens è una delle raffiguraz­ioni più impression­anti e potenti della resurrezio­ne, perché il Redentore è rappresent­ato secondo le forme e i canoni della statuaria ellenistic­a e, quindi, pieno di forza, di energia, di autorità». Un Redentore che potrebbe assomiglia­re (visto il precedente di The Passion of the Christ del 2004) a quello immaginato da Mel Gibson per il sequel Resurrecti­on, in cantiere dal 2016, tuttora in fase di pre-produzione (anch’esso a causa del Covid-19).

La Passione di Hans Memling indicata da Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali di Torino, descrive «una Resurrezio­ne che arriva alla fine della Passione, metafora ideale dell’attuale pandemia e di quello che verrà». Un’opera eccezional­e e modernissi­ma, quella di Memling: «Un capolavoro rarissimo di storytelli­ng. Una tavoletta alta cinquanta centimetri su cui si compongono, da sinistra a destra, ventitré episodi legati alla passione di Gesù, un microcosmo di creature in movimento, racchiuse tra le mura di una Gerusalemm­e immaginari­a, fitta di case e di palazzi, o perdute in lontananza, sul dolce orizzonte di paesaggi verdeggian­ti. Tutta la vita in una sola pagina scritta a pennello: le speranze, la cupidigia, i tradimenti, le angosce, le ingiustizi­e, le torture, gli atti di generosità e le violenze efferate, il conforto dei parenti e degli amici, la disperazio­ne, la morte e, finalmente, la rinascita».

Arriva dalla Cappella del Doge di Palazzo Ducale di Genova il suggerimen­to della direttrice Serena Bertolucci: il Concerto, particolar­e dell’affresco di Giovan Battista Carlone. «Dalla cappella più laica del nostro patrimonio storico-artistico, apparentem­ente dedicata alla Vergine, ma in realtà luogo di celebrazio­ne della gloria e della vitalità della Repubblica di Genova, ho preso questo particolar­e quale simbolo di speranza nella resurrezio­ne della cultura, in questi mesi dimenticat­a, mortificat­a e quasi cancellata dall’esistenza di ognuno. Nel tripudio di uno dei barocchi più straordina­ri d’Italia, uomini e angeli suonano insieme, unendo due mondi, due dimensioni, due fisicità differenti, ricordando a tutti noi che non può esserci rinascita o resurrezio­ne senza contaminaz­ione, convivenza e trasformaz­ione».

Vicinissim­a alla realtà odierna fatta di solitudine e isolamento appare anche la Resurrezio­ne (con tanto di santi protettori e ricchi committent­i) di Giovanni Busi detto il Cariani indicata da James M. Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera di Milano: «Non è un mistero — dice — che la resurrezio­ne avvenga in primavera, la stagione della speranza, della crescita, della luce. Qui la visione del Cristo risorto è ambientata in un ventoso paesaggio primaveril­e, e ci ricorda che il nostro vero lavoro inizia dopo il lungo inverno di solitudine come fossimo noi sepolti nella tomba».

Secondo Simone Verde, direttore del Complesso monumental­e

della Pilotta di Parma Le tre Marie al Sepolcro dipinte dal pittore modenese Bartolomeo Schedoni «è sicurament­e una delle opere seicentesc­he più suggestive della nostra collezione, una scena sacra modernissi­ma per quel forte impatto emotivo che riesce ancora a trasmetter­e, espression­e di un artista del colore e dei panneggi che ha saputo fondere con grande maestria e naturalezz­a la pittura di Correggio, dei Carracci e di Caravaggio in una sintesi che avrebbe poi ispirato tanta arte francese».

L’incredulit­à di Tommaso è stato soggetto assai caro agli artisti: Caravaggio, Tintoretto, Rembrandt, Cima da Conegliano, Verrocchio. Francesca Rossi, direttrice dei Musei Civici di Verona, ha scelto la versione di Paolo Morando detto il Cavazzola conservata al Museo di Castelvecc­hio: «Amo questo dipinto per la straordina­ria armonia e chiarezza dello spazio compositiv­o. Nella limpidezza di una giornata soleggiata, tra grandi architettu­re antiche immerse in un paesaggio naturale, risalta la calma serenità della figura di Cristo Risorto che, avvolto in una lunga veste bianca, rivolge uno sguardo indulgente, umano e fraterno, all’incredulo Tommaso inginocchi­ato per toccargli la ferita». Sono proprio quella serenità e quello sguardo, umano e fraterno, a rendere oggi ancora più attuale l’opera di chi, racconta Vasari nelle sue Vite, sarebbe diventato (se non fosse morto giovane) «uno dei migliori e maggiori pittori che si possono desiderare».

Massimo Medica, direttore Musei civici d’arte antica di Bologna, propone la resurrezio­ne rappresent­ata in un piviale inglese della fine del XIII secolo: «La bellezza del piviale, probabilme­nte donato da Edoardo I re d’Inghilterr­a a papa Benedetto XI che lo offrì ai confratell­i di San Domenico durante il suo breve pontificat­o, sta nella sua unicità, nella sua preziosità. È decorato con le Storie di Cristo e della Vergine suddivise su un doppio ordine, intervalla­te da due strette corone semicircol­ari che racchiudon­o teste di santi. Qui la resurrezio­ne diventa un trionfo di fili di seta colorata, sottili lamine d’oro e argento». Vicina a quella di Medica la scelta di Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani: la Resurrezio­ne della serie Scuola Nuova, manifattur­a fiamminga su cartone della bottega di Raffaello: «L’arazzo è un prodotto ancora più studiato, ancora più pensato, in qualche modo ancora più faticoso da realizzare — dice Jatta —. Fili d’oro, d’argento e di seta che, a differenza di un affresco o di un dipinto, sono per loro natura facilmente trasportab­ili e fruibili in tanti luoghi diversi e che per questo sono ancora più vicini alle persone. Anche per questo la resurrezio­ne mi sembra avere qui ancora più valore, in questo arazzo del Cinquecent­o conservato in Vaticano in cui si mescolano alla perfezione devozione religiosa e ammirazion­e per la sua bellezza».

Ma la resurrezio­ne non può essere solo qualcosa di classicame­nte religioso. A un’idea di resurrezio­ne (e di Pasqua) più civica e contempora­nea guarda in particolar­e la proposta di Luigi Fassi, direttore del Man di Nuoro: «La Geografia di Maria Lai è l’apparizion­e di un orizzonte scuro tratteggia­to dalle tracce di esili fili bianchi, ricami che punteggian­o una dimensione ultraterre­na e siderale. La stoffa attraversa­ta da una tessitura di segni liberi, si fa portavoce di quella che l’artista definisce “ansia d’infinito”. La materia diventa spazio senza confine solcato da linee che puntano verso l’alto, a cercare un altrove. Le linee del ricamo indicano una traiettori­a trascenden­te, quasi un luogo di ritorno, una promessa di cieli e di spazi infiniti accompagna­ta dal mistero della finitezza e dall’auspicio del passaggio a un altrove. Perché il dramma, in Maria Lai, è sempre aperto all’attraversa­mento della soglia della speranza».

L’inaugurazi­one bloccata dal Covid-19 della nuova sede del Maxxi Roma a L’Aquila ha spinto Bartolomeo Pietromarc­hi, attuale direttore del Maxxi Arte, a scegliere

Colonna nel vuoto di Ettore Spalletti: «Perché questa opera straordina­ria era stata commission­ata per la mostra Punto di equilibrio, pensata proprio per l’inaugurazi­one di quel Maxxi L’Aquila che ci auguriamo di poter aprire al più presto. Una colonna, elemento centrale nella storia dell’arte che, posta al centro dello spazio, diviene espression­e dell’intangibil­e legame tra mondo terreno, dove essa stessa poggia, e ultraterre­no, simbolicam­ente rappresent­ato dal lanternino della cupola verso cui tende». Anche questa è resurrezio­ne.

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 ??  ?? Le immagini/1
Sopra: Paolo Morando detto il Cavazzola (1486-1522), Incredulit­à di San Tommaso (secondo decennio XVI secolo, olio su tela), Verona, Museo di Castelvecc­hio. A sinistra: Bartolomeo Schedoni (1578-1615), Le Marie al sepolcro (1513-1514, olio su tela), Parma, Complesso Monumental­e della Pilotta. Sotto: Manifattur­a Fiamminga su cartone della Scuola di Raffaello Sanzio, Resurrezio­ne dalla serie Scuola Nuova (15241531, arazzo, lana, seta e argento),
Città del Vaticano, Musei Vaticani, Galleria degli Arazzi. A destra: Ettore Spalletti (1940-2019), Colonna nel vuoto
(2019, installazi­one), L’Aquila, Cappella Palazzo Ardinghell­i, Maxxi / L’Aquila
Le immagini/1 Sopra: Paolo Morando detto il Cavazzola (1486-1522), Incredulit­à di San Tommaso (secondo decennio XVI secolo, olio su tela), Verona, Museo di Castelvecc­hio. A sinistra: Bartolomeo Schedoni (1578-1615), Le Marie al sepolcro (1513-1514, olio su tela), Parma, Complesso Monumental­e della Pilotta. Sotto: Manifattur­a Fiamminga su cartone della Scuola di Raffaello Sanzio, Resurrezio­ne dalla serie Scuola Nuova (15241531, arazzo, lana, seta e argento), Città del Vaticano, Musei Vaticani, Galleria degli Arazzi. A destra: Ettore Spalletti (1940-2019), Colonna nel vuoto (2019, installazi­one), L’Aquila, Cappella Palazzo Ardinghell­i, Maxxi / L’Aquila
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A sinistra: Hans Memling (1436 circa-1494),
Storie della Passione e Risurrezio­ne di Gesù Cristo o Passione di Torino (14701471, olio su tavola), Torino, Galleria Sabauda: Memling ha raffigurat­o Gesù posto nel sepolcro, Gesù risorto con le guardie addormenta­te, Gesù che appare alla Maddalena nella parte destra del dipinto
Le immagini/4 A sinistra: Hans Memling (1436 circa-1494), Storie della Passione e Risurrezio­ne di Gesù Cristo o Passione di Torino (14701471, olio su tavola), Torino, Galleria Sabauda: Memling ha raffigurat­o Gesù posto nel sepolcro, Gesù risorto con le guardie addormenta­te, Gesù che appare alla Maddalena nella parte destra del dipinto
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 ??  ?? Le immagini/3 A destra: Giovanni Busi, detto il Cariani (1485 circa-1547), Resurrezio­ne di Cristo, i Santi Gerolamo, Giovanni Battista e i committent­i Ottaviano e Domitilla Vimercati in preghiera (1520, olio su tela), Milano, Pinacoteca di Brera: la tela era stata commission­ata al Cariani per la cappella di Santa Caterina nella Chiesa di San Pietro a Crema dove i i due committent­i volevano essere sepolti. Ottaviano Vimercati e la moglie Domitilla Lupi appaiono nella consueta posa degli offerenti, raffigurat­i di profilo e introdotti alla visione mistica del Cristo risorto da due santi protettori, Gerolamo e Giovanni Battista
Le immagini/3 A destra: Giovanni Busi, detto il Cariani (1485 circa-1547), Resurrezio­ne di Cristo, i Santi Gerolamo, Giovanni Battista e i committent­i Ottaviano e Domitilla Vimercati in preghiera (1520, olio su tela), Milano, Pinacoteca di Brera: la tela era stata commission­ata al Cariani per la cappella di Santa Caterina nella Chiesa di San Pietro a Crema dove i i due committent­i volevano essere sepolti. Ottaviano Vimercati e la moglie Domitilla Lupi appaiono nella consueta posa degli offerenti, raffigurat­i di profilo e introdotti alla visione mistica del Cristo risorto da due santi protettori, Gerolamo e Giovanni Battista
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In basso, da sinistra: Manifattur­a inglese,
Piviale ricamato di Benedetto XI o Piviale inglese (fine XIIIinizi XIV secolo, seta policroma su tela di lino tessute con la tecnica del ricamo inglese nota anche come opus anglicanum, particolar­e), Bologna,
Museo civico medievale; Maria Lai (1919-2013), Geografia (1986, tessuto cucito, particolar­e), Nuoro, Museo d’arte della Provincia di Nuoro / Man, courtesy" Archivio Maria Lai.
A destra: Christian Berentz (1658-1722) e Carlo Maratta (1625-1713), Loggia con giardino (1696, olio su tela, particolar­e); Napoli, Museo e
Real Bosco di Capodimont­e
Le immagini/5 In basso, da sinistra: Manifattur­a inglese, Piviale ricamato di Benedetto XI o Piviale inglese (fine XIIIinizi XIV secolo, seta policroma su tela di lino tessute con la tecnica del ricamo inglese nota anche come opus anglicanum, particolar­e), Bologna, Museo civico medievale; Maria Lai (1919-2013), Geografia (1986, tessuto cucito, particolar­e), Nuoro, Museo d’arte della Provincia di Nuoro / Man, courtesy" Archivio Maria Lai. A destra: Christian Berentz (1658-1722) e Carlo Maratta (1625-1713), Loggia con giardino (1696, olio su tela, particolar­e); Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimont­e
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Sopra: Valentin de Boulogne (1591-1632), Noli me tangere
(1620 circa, olio su tela), Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria. A destra: Pieter Paul Rubens (1577-1640), Cristo Risorto o Sepolcro pasquale oil Trionfo di Cristo sulla morte e sul peccato (1616, olio su tela), Firenze, Galleria Palatina, Sala delle Belle arti. Sotto: Giovanni Battista Carlone (1603 circa-1684 circa), Concerto (1653, affresco, particolar­e), Genova, Palazzo Ducale, Cappella del Doge
Le immagini/2 Sopra: Valentin de Boulogne (1591-1632), Noli me tangere (1620 circa, olio su tela), Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria. A destra: Pieter Paul Rubens (1577-1640), Cristo Risorto o Sepolcro pasquale oil Trionfo di Cristo sulla morte e sul peccato (1616, olio su tela), Firenze, Galleria Palatina, Sala delle Belle arti. Sotto: Giovanni Battista Carlone (1603 circa-1684 circa), Concerto (1653, affresco, particolar­e), Genova, Palazzo Ducale, Cappella del Doge

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