Corriere della Sera - La Lettura
Arte per una rigenerazione 12 musei, 12 resurrezioni
La Pasqua ricorda da duemila anni la resurrezione di Cristo; la pandemia ci ricorda tutti i giorni da oltre un anno l’urgenza di una rinascita sociale, civile, economica, sanitaria. «La Lettura» ha chiesto a dodici direttori di musei — da Genova ai Vaticani, dall’Aquila a Milano a Firenze — di scegliere un’opera significativa dalle loro collezioni e presentarla ai lettori. Eccole
Non c’è forse parola più adatta di resurrezione per raccontare l’universo che non vuole arrendersi alla pandemia: derivata dal verbo tardo-latino (XIII secolo) resurgere, intesa come ritorno dalla morte alla vita, «con riferimento alla vicenda soprannaturale di Cristo e al Giudizio Universale» (spiega il Dizionario Treccani ) e per esteso come «ricostituzione», come «ripresa di attività dopo lunga interruzione». Un tema da sempre molto frequentato, soprattutto nella versione più «religiosa», dagli artisti, ma che ora sembra voler dare una speranza più generalizzata, a cominciare dalla riapertura di musei, gallerie e pinacoteche bloccate dai divieti anti Covid-19. «La Lettura» per il numero di Pasqua, giorno che celebra la resurrezione di Gesù, ha chiesto ai direttori di dodici musei italiani di scegliere l’opera dalle loro collezione che, secondo loro, meglio rappresenta l’idea di resurrezione, non solo religiosa, ma più genericamente civica. Un segnale di speranza necessario in un momento in cui il futuro di musei, gallerie e pinacoteche sembra essere affidato «solo» a quei loro laboratori di restauro, che, nonostante la chiusura al pubblico di sale e mostre, hanno continuato a lavorare alla pulizia, al recupero e alla valorizzazione del Mosaico di Alessandro (a Napoli), delle peschiere di Giulio Romano (a Mantova), dei monumenti di Piazza dei Miracoli (a Pisa).
Per spiegare la sua scelta (la gioiosa e coloratissima Loggia con giardino di Christian Berentz e Carlo Maratta), il francese Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, cita il connazionale Albert Camus e la sua poesia Invincibile Estate (dalla raccolta L’eté del 1954): «Nel bel mezzo dell’odio/ ho scoperto che vi era in me/ un invincibile amore./ Nel bel mezzo delle lacrime/ ho scoperto che vi era in me/ un invincibile sorriso./ Nel bel mezzo del caos/ ho scoperto che vi era in me/ un’invincibile tranquillità./ Ho compreso, infine,/ che nel bel mezzo dell’inverno/ ho scoperto che vi era in me/ un’invincibile estate./ E che ciò mi rende felice». Sono versi che, secondo Bellenger «rappresentano meglio di qualsiasi altra parola la Pasqua del 2021», versi segnati da una speranza che si ritrova nel tardo Seicento della Loggia.
Marco Pierini direttore della Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia affida la sua idea di resurrezione al Noli me tangere di Valentin de Boulogne: «Le braccia aperte, d’istinto protese ad accogliere, lo sguardo incredulo, le guance rosse e paffute tradiscono nella giovane donna tratti di bambina. L’oscurità del fondo si stende come una quinta e mentre si fa schermo per i corpi, li astrae dal contingente, dal quotidiano, dall’ordinario. La figura di Cristo non si ritrae al contatto e il gesto garbato della mano sembra precorrere la recente traduzione concordata che ha stemperato la durezza del non mi toccare, nella dolcezza del non mi trattenere». Una dolcezza che non sembra appartenere al Cristo Risorto di Pieter Paul Rubens scelto da Eike Schmidt direttore degli Uffizi di Firenze: «Quella di Rubens è una delle raffigurazioni più impressionanti e potenti della resurrezione, perché il Redentore è rappresentato secondo le forme e i canoni della statuaria ellenistica e, quindi, pieno di forza, di energia, di autorità». Un Redentore che potrebbe assomigliare (visto il precedente di The Passion of the Christ del 2004) a quello immaginato da Mel Gibson per il sequel Resurrection, in cantiere dal 2016, tuttora in fase di pre-produzione (anch’esso a causa del Covid-19).
La Passione di Hans Memling indicata da Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali di Torino, descrive «una Resurrezione che arriva alla fine della Passione, metafora ideale dell’attuale pandemia e di quello che verrà». Un’opera eccezionale e modernissima, quella di Memling: «Un capolavoro rarissimo di storytelling. Una tavoletta alta cinquanta centimetri su cui si compongono, da sinistra a destra, ventitré episodi legati alla passione di Gesù, un microcosmo di creature in movimento, racchiuse tra le mura di una Gerusalemme immaginaria, fitta di case e di palazzi, o perdute in lontananza, sul dolce orizzonte di paesaggi verdeggianti. Tutta la vita in una sola pagina scritta a pennello: le speranze, la cupidigia, i tradimenti, le angosce, le ingiustizie, le torture, gli atti di generosità e le violenze efferate, il conforto dei parenti e degli amici, la disperazione, la morte e, finalmente, la rinascita».
Arriva dalla Cappella del Doge di Palazzo Ducale di Genova il suggerimento della direttrice Serena Bertolucci: il Concerto, particolare dell’affresco di Giovan Battista Carlone. «Dalla cappella più laica del nostro patrimonio storico-artistico, apparentemente dedicata alla Vergine, ma in realtà luogo di celebrazione della gloria e della vitalità della Repubblica di Genova, ho preso questo particolare quale simbolo di speranza nella resurrezione della cultura, in questi mesi dimenticata, mortificata e quasi cancellata dall’esistenza di ognuno. Nel tripudio di uno dei barocchi più straordinari d’Italia, uomini e angeli suonano insieme, unendo due mondi, due dimensioni, due fisicità differenti, ricordando a tutti noi che non può esserci rinascita o resurrezione senza contaminazione, convivenza e trasformazione».
Vicinissima alla realtà odierna fatta di solitudine e isolamento appare anche la Resurrezione (con tanto di santi protettori e ricchi committenti) di Giovanni Busi detto il Cariani indicata da James M. Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera di Milano: «Non è un mistero — dice — che la resurrezione avvenga in primavera, la stagione della speranza, della crescita, della luce. Qui la visione del Cristo risorto è ambientata in un ventoso paesaggio primaverile, e ci ricorda che il nostro vero lavoro inizia dopo il lungo inverno di solitudine come fossimo noi sepolti nella tomba».
Secondo Simone Verde, direttore del Complesso monumentale
della Pilotta di Parma Le tre Marie al Sepolcro dipinte dal pittore modenese Bartolomeo Schedoni «è sicuramente una delle opere seicentesche più suggestive della nostra collezione, una scena sacra modernissima per quel forte impatto emotivo che riesce ancora a trasmettere, espressione di un artista del colore e dei panneggi che ha saputo fondere con grande maestria e naturalezza la pittura di Correggio, dei Carracci e di Caravaggio in una sintesi che avrebbe poi ispirato tanta arte francese».
L’incredulità di Tommaso è stato soggetto assai caro agli artisti: Caravaggio, Tintoretto, Rembrandt, Cima da Conegliano, Verrocchio. Francesca Rossi, direttrice dei Musei Civici di Verona, ha scelto la versione di Paolo Morando detto il Cavazzola conservata al Museo di Castelvecchio: «Amo questo dipinto per la straordinaria armonia e chiarezza dello spazio compositivo. Nella limpidezza di una giornata soleggiata, tra grandi architetture antiche immerse in un paesaggio naturale, risalta la calma serenità della figura di Cristo Risorto che, avvolto in una lunga veste bianca, rivolge uno sguardo indulgente, umano e fraterno, all’incredulo Tommaso inginocchiato per toccargli la ferita». Sono proprio quella serenità e quello sguardo, umano e fraterno, a rendere oggi ancora più attuale l’opera di chi, racconta Vasari nelle sue Vite, sarebbe diventato (se non fosse morto giovane) «uno dei migliori e maggiori pittori che si possono desiderare».
Massimo Medica, direttore Musei civici d’arte antica di Bologna, propone la resurrezione rappresentata in un piviale inglese della fine del XIII secolo: «La bellezza del piviale, probabilmente donato da Edoardo I re d’Inghilterra a papa Benedetto XI che lo offrì ai confratelli di San Domenico durante il suo breve pontificato, sta nella sua unicità, nella sua preziosità. È decorato con le Storie di Cristo e della Vergine suddivise su un doppio ordine, intervallate da due strette corone semicircolari che racchiudono teste di santi. Qui la resurrezione diventa un trionfo di fili di seta colorata, sottili lamine d’oro e argento». Vicina a quella di Medica la scelta di Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani: la Resurrezione della serie Scuola Nuova, manifattura fiamminga su cartone della bottega di Raffaello: «L’arazzo è un prodotto ancora più studiato, ancora più pensato, in qualche modo ancora più faticoso da realizzare — dice Jatta —. Fili d’oro, d’argento e di seta che, a differenza di un affresco o di un dipinto, sono per loro natura facilmente trasportabili e fruibili in tanti luoghi diversi e che per questo sono ancora più vicini alle persone. Anche per questo la resurrezione mi sembra avere qui ancora più valore, in questo arazzo del Cinquecento conservato in Vaticano in cui si mescolano alla perfezione devozione religiosa e ammirazione per la sua bellezza».
Ma la resurrezione non può essere solo qualcosa di classicamente religioso. A un’idea di resurrezione (e di Pasqua) più civica e contemporanea guarda in particolare la proposta di Luigi Fassi, direttore del Man di Nuoro: «La Geografia di Maria Lai è l’apparizione di un orizzonte scuro tratteggiato dalle tracce di esili fili bianchi, ricami che punteggiano una dimensione ultraterrena e siderale. La stoffa attraversata da una tessitura di segni liberi, si fa portavoce di quella che l’artista definisce “ansia d’infinito”. La materia diventa spazio senza confine solcato da linee che puntano verso l’alto, a cercare un altrove. Le linee del ricamo indicano una traiettoria trascendente, quasi un luogo di ritorno, una promessa di cieli e di spazi infiniti accompagnata dal mistero della finitezza e dall’auspicio del passaggio a un altrove. Perché il dramma, in Maria Lai, è sempre aperto all’attraversamento della soglia della speranza».
L’inaugurazione bloccata dal Covid-19 della nuova sede del Maxxi Roma a L’Aquila ha spinto Bartolomeo Pietromarchi, attuale direttore del Maxxi Arte, a scegliere
Colonna nel vuoto di Ettore Spalletti: «Perché questa opera straordinaria era stata commissionata per la mostra Punto di equilibrio, pensata proprio per l’inaugurazione di quel Maxxi L’Aquila che ci auguriamo di poter aprire al più presto. Una colonna, elemento centrale nella storia dell’arte che, posta al centro dello spazio, diviene espressione dell’intangibile legame tra mondo terreno, dove essa stessa poggia, e ultraterreno, simbolicamente rappresentato dal lanternino della cupola verso cui tende». Anche questa è resurrezione.