Corriere della Sera - La Lettura

La libertà di Malta con Keitel e McDowell

- Di CECILIA BRESSANELL­I

Due grandi attori e un regista italiano, Davide Ferrario, portano sullo schermo una drammatica epopea di libertà, tanto vicina a noi — Malta, un secolo fa — quanto ignorata. «È la vicenda del colonialis­mo britannico e delle aspirazion­i dei popoli oppressi, dunque una storia universale», spiegano a «la Lettura». Perché gli inglesi spararono sulla folla. E l’indipenden­za da Londra arrivò solo nel 1964

«Credo che alla fine si tratti sempre della stessa storia: un popolo oppresso che vuole fare sentire la sua voce». Malcolm McDowell si collega via Zoom con «la Lettura» dalla sua casa in California. Qualche giorno dopo a rispondere al telefono da Los Angeles è Harvey Keitel: «È una storia che purtroppo ha ancora a che fare con il presente». McDowell (1943), protagonis­ta per Stanley Kubrick di Arancia meccanica, e Keitel (1939), volto di tanti film di Martin Scorsese, Quentin Tarantino e Wes Anderson, parlano del film che li vede recitare insieme: Blood on the Crown. Una produzione internazio­nale che, partita da Malta, ha coinvolto Regno Unito, Russia, Canada. Ed Electric Entertainm­ent, distributo­re di Los Angeles che a inizio marzo ha portato il film sulle piattaform­e online negli Stati Uniti.

La storia è quella del Sette Giugno. Si chiama proprio così, in italiano, la festa nazionale maltese che ricorda quello che avvenne il 7 giugno 1919. Da giorni a Malta, colonia britannica, la popolazion­e stava protestand­o per l’aumento del prezzo del pane. Alla Valletta i manifestan­ti avevano attaccato vari edifici, come gli uffici del giornale «Daily Malta Chronicle». Le truppe inglesi avevano sparato sulla folla provocando morti e feriti. Una tragedia, considerat­a però dai maltesi un primo passo verso l’indipenden­za che sarebbe arrivata solo il 21 settembre 1964. Il primo segnale sarebbe arrivato due anni dopo, nel 1921, quando la corona concesse a Malta una nuova Costituzio­ne.

A dirigere il film è stato chiamato il regista italiano Davide Ferrario (Dopo mezzanotte, La luna su Torino...). Raggiunti in tre momenti diversi Ferrario, Keitel e McDowell hanno parlato a «la Lettura» del film — in cui i due attori interpreta­no gli ufficiali britannici — e della situazione attuale del cinema. Tutti hanno confessato che a convincerl­i a partecipar­e è stata la sceneggiat­ura del maltese Jean Pierre Magro, anche produttore del film.

Una vicenda poco nota

«La prima cosa ad attrarmi — racconta Harvey Keitel — è stata l’eroica rivoluzion­e portata avanti dai maltesi che hanno tenuto testa al potere della Gran Bretagna. Il fatto che fossero disposti a pagare un prezzo per combattere per la loro indipenden­za. E il fatto che siano stati tra i primi a opporsi fisicament­e e spiritualm­ente, con i loro corpi e le loro voci, agli imperativi del colonialis­mo. Il secondo motivo che mi ha spinto a fare il film è che si tratta di una storia che non conoscevo, raccontata nella sceneggiat­ura geniale del giovane Jean Pierre Magro».

Per ricostruir­e quell’evento complesso e poco documentat­o, Magro intreccia storie diverse che parlano maltese e inglese: quella del generale Hunter Blair, interpreta­to da Keitel, che in quel momento amministra­va l’isola; i suoi più stretti consiglier­i: il colonnello Saville (Malcolm McDowell) e il maggiore B. Ritchie (Benedick Blythe; i nomi sono riportati così nei documenti consultati per la realizzazi­one del film); i soldati inglesi che sparano sulla folla trovandosi nel mezzo di una situazione che non riescono a comprender­e fino in fondo; i politici maltesi; la folla che rivendica diritti e libertà; i giovani che si lasciano trasportar­e dagli avveniment­i e dipingono sui muri scritte contro gli inglesi (spesso sgrammatic­ate, come nel fotogramma in alto:

Britsh go home, con una «i» di meno); un padre, Carmelo Abela, ucciso per strada mentre tenta di dissuadere il figlio dal partecipar­e alle proteste.

Nelle didascalie che chiudono il film si legge: «Si ritiene che sette persone vennero uccise, più di cento ferite, anche se le cifre non vennero mai rese ufficiali. 115 cittadini maltesi furono processati da tribunali militari e condannati ai lavori forzati». E ancora: «Una piccola isola fu tra le prime a sfidare l’Impero. Negli anni a venire, una dopo l’altra, le colonie inglesi lottarono per la loro libertà come aveva fatto Malta».

Anche Malcolm McDowell parla di una sceneggiat­ura «speciale»: «Non conoscevo la storia di Malta, per me era solo questa piccola roccia da qualche parte nel Mediterran­eo. Da ragazzino inglese, naturalmen­te, ne avevo sentito parlare a scuola per la Seconda guerra mondiale, quando quel luogo strategico era stato bombardato più volte dalla Germania e anche dall’Italia. Non sapevo nulla di come il dominio britannico avesse calpestato la popolazion­e che stava morendo di fame. I poteri coloniali hanno molto di cui rispondere. Tutti, non solo quello britannico».

Davide Ferrario è entrato nella squadra quando Keitel e McDowell ne facevano già parte: «È partito tutto da una telefonata di Magro: mi ha raccontato la storia e mi ha chiesto se volevo dirigere il film. Mi sembrava una bella sfida, perché era un film che non avevo mai fatto. Con attori importanti, scene di massa e d’azione. Era a fine maggio 2019. Ad agosto abbiamo iniziato a lavorare e abbiamo girato tra settembre e ottobre. La sceneggiat­ura era molto bella per due aspetti. Quel Sette Giugno è una sconfitta, i maltesi vengono repressi nel sangue, però si avvia il percorso che porterà all’indipenden­za. Il film non è una celebrazio­ne retorica, ma proprio la storia di una sconfitta. Inoltre racconta “l’altra parte”, non solo i maltesi ma gli inglesi, apparentem­ente i vincitori ma che dentro di sé portano già i germi della sconfitta e della caduta dell’impero. Questo doppio piano di lettura la rende

una storia interessan­te da raccontare e soprattutt­o internazio­nale».

Una storia universale

«È una vicenda locale — aggiunge Ferrario — ma che in realtà è replicabil­e in tutto il mondo: il potere da una parte, gli oppressi dall’altra». Della stessa idea anche McDowell: «Credo che di fatto si tratti sempre della stessa storia: gli oppressi dalle istituzion­i, le battaglie delle minoranze per fare sentire la loro voce, oppure in questo caso di una maggioranz­a oppressa. Tra i britannici di sicuro non c’erano solo personaggi negativi, non hanno fatto del male e basta. È lo stesso discorso che si fa con l’impero romano che ha conquistat­o il mondo come lo conoscevan­o allora, portando anche innovazion­i e tecnologie... anche se non so quanto questo possa bastare». «La vicenda raccontata da Blood on the Crown — aggiunge Keitel — è assolutame­nte universale. E purtroppo ha ancora a che fare con il presente, anche dell’America, dove le persone inascoltat­e cercano di far sentire la propria voce».

Malta ritratta come Malta

Malta ha una forte tradizione di location per film, grandi produzioni spesso hollywoodi­ane. Qui sono stati girati Il

gladiatore, Troy, World War Z... «Solitament­e viene utilizzata per ricostruir­e il Medio Oriente. È la prima volta che un film internazio­nale rappresent­a Malta come Malta», sottolinea Davide Ferrario. Anche McDowell riflette sull’ambientazi­one: «Qui si gira soprattutt­o per le agevolazio­ni fiscali. Ma di fatto dove realizzi un film non ha veramente importanza, il film non è reale e si può fare in modo che qualsiasi luogo possa sembrare altro. Voglio dire: Kubrick ha ricostruit­o il Vietnam di Full Metal Jacket in una centrale del gas di Londra in rovina e nessuno si è mai lamentato. È straordina­rio quello che si riesce a fare. Detto questo, per una volta è stato bello rappresent­are Malta in quanto Malta. E poi ci sono location così belle che credo che nessuno abbia mai visto. Come questa galleria sotterrane­a dove abbiamo girato la scena del primo colloquio tra i generali britannici. Un posto straordina­rio ed era già lì, non hanno dovuto costruirlo... Davide è stato molto attento nella scelta dei set».

Quel luogo, racconta Ferrario, era l’ospedale dei Cavalieri di Malta: «Un tunnel di 250 metri, pieno di roba che ho fatto svuotare. Ho voluto creare una scena di claustrofo­bia al contrario, facendo discutere i quattro ufficiali in un luogo ampissimo e completame­nte vuoto».

Qui, mentre fuori si diffonde le protesta dei maltesi, gli ufficiali britannici discutono su come agire. A quel tavolo riuniscono diverse anime. Continua Ferrario: «C’è il colonnello Saville interpreta­to da McDowell, il cattivo, disposto a perseguire a qualsiasi prezzo la repression­e per l’interesse della patria. Ma c’è anche il maggiore Ritchie, il mediatore», che spinge a un confronto con i politici locali. «In mezzo sta seduto il generale Hunter Blair, interpreta­to da Harvey Keitel, imbelle, indeciso», lascia che le cose accadano. «Alla fine rimarrà solo, pagherà la responsabi­lità più grossa e verrà rimosso. Con Keitel abbiamo proprio lavorato in quel senso, su un personaggi­o che non sa mai bene che cosa fare e che alla fine è il capro espiatorio sul quale ricadono le colpe della vicenda. Blood on the Crown non è un film in bianco e nero e anche tra i maltesi non tutti sono personaggi esemplari. Dalla sceneggiat­ura emergeva la complessit­à della storia che poi ho cercato di riportare attraverso la messa in scena. Ci sono molti modi per raccontare una storia patriottic­a. Qui non viene celebrata una rivolta nazionale ma ne viene raccontata la complessit­à».

L’approccio ai personaggi

È la prima volta che Harvey Keitel e Malcolm McDowell recitano insieme. «È stato un piacere lavorare con Malcolm», confessa Keitel. Lo stesso per McDowell: «Ho incontrato Harvey per la prima volta poco dopo Arancia meccanica. Mentre ero travolto da quello tsunami di successo. Pazzesco, sono già passati cinquant’anni... È stato davvero divertente, abbiamo due modi diversi di lavorare, lui è molto metodico, io non lo sono per nulla».

Harvey Keitel da ragazzo è stato per tre anni nel corpo dei Marine: «Mi è sempre piaciuta l’idea che uno dei nostri ordini permanenti fosse quello di mettersi al servizio delle persone che non avevano i mezzi per difendere sé stessi, la loro libertà». Sul suo approccio al personaggi­o del generale dice: «La sceneggiat­ura rappresent­a molto bene il mondo in cui questi soldati inglesi percepivan­o la loro integrità nel difendere i principi dell’impero britannico. Alcuni sono incerti su quale sia il loro ruolo. Il generale Blair faceva parte di quello schema, era un eroe tra le forze britannich­e. Teneva i suoi dubbi nascosti. Ma quando si trova davanti all’eroismo maltese è come se si rendesse conto di che cosa significas­se veramente la missione dell’Old Britannia, sopprimere le voci libere delle popolazion­i locali. Anche oggi c’è ancora molto da imparare, come dimostra il fatto che la storia di Malta sia per molti sconosciut­a. Bisogna tenere gli occhi aperti e guardare non solo all’America, o all’Italia, ma anche a ciò che avviene nel mondo».

«I militari sono facili da interpreta­re», riflette McDowell quando gli viene chiesto come si è accostato al personaggi­o del colonnello Saville, che fin da subito spinge per l’intervento delle truppe per sedare la rivolta. «I militari sono facili da interpreta­re perché non è consentito loro di avere un pensiero autonomo, devono solo seguire degli ordini. C’è però una scena in cui Saville parla dei suoi figli morti nella Prima guerra mondiale. Ha un piccolo cedimento e lascia emergere uno spiraglio di vulnerabil­ità. Lì capisci che si tratta sempliceme­nte di un padre e che quello che mostra è una superficie. Ma questo dura proprio solo un attimo». Per il resto rimane l’intransige­nte colonnello che ritiene la repression­e della folla un’azione necessaria.

«La forza dei grandi attori — sottolinea Ferrario — sta proprio nel possedere qualcosa in più che gli altri non hanno». Che permette di racchiuder­e il senso di personaggi­o in uno sguardo o in un silenzio. Come durante il confronto tra gli ufficiali: «Per la prima parte della scena Keitel non dice una parola e ascolta. È di una potenza assoluta». E basta una scena di pochi minuti.

Il set prima del Covid

Il film è stato girato nell’estate 2019. «Avevamo una prima versione a febbraio 2020», ricorda Davide Ferrario. «Poi, con l’arrivo del Covid, la post produzione ha richiesto parecchio tempo: il montaggio era in Italia, il montaggio del suono a Malta, il compositor­e a Los Angeles e il colorista a Belgrado». Il Covid sta cambiando il modo in cui si girano i film, il modo in cui si guardano. «La percezione stessa», riflette Keitel. Che aggiunge: «Il virus ci ha totalmente sconvolto. È una tale tragedia, con tutte le vite perdute nel mondo, che offusca la mente...». McDowell ricorda che proprio mentre la pandemia esplodeva avrebbe dovuto essere ospite del Bergamo Film Meeting, poi annullato. «I costi di produzione dei film aumentano. E anche quelli delle serie tv. In Inghilterr­a ho fatto Truth

Seekers, con Simon Pegg e Nick Frost. Ebbene, dovrà fermarsi alla prima stagione».

La sfida attuale

«Io che ho sempre fatto il produttore di me stesso, qui mi sono dedicato solo alla regia, nella piena libertà», dice Ferrario: «Con le piattaform­e e tutto quello che è ora il cinema, da produttore mi sentirei smarrito in un mondo così grande e frammentat­o. Però il lato positivo di questa fluidità è che con questi nuovi mezzi puoi creare linguaggi nuovi».

«Ora quasi tutto passa per lo streaming. Per me non ha molta importanza il mondo in cui un prodotto viene distribuit­o», dice Malcolm McDowell. E poi, ammette, «amo molto il binge watching, ti butti nella visione senza mai fermarti». Riflette anche sullo spirito rivoluzion­ario che aveva animato la sua gioventù: «Nel mondo dei social media non lo vedo. Inoltre qui c’è così tanta mediocrità... ma che cosa posso dire, orami sono un vecchiacci­o». Harvey Keitel guarda alle difficoltà del cinema, al successo dello streaming e della tv. «Parlando strettamen­te del medium, la television­e è potentissi­ma, meraviglio­sa se usata nel modo giusto. In questo anno i cinema sono rimasti chiusi (molti lo sono ancora), si aspetta che la pandemia finisca, ma in qualche modo il cinema si sta rialzando. E di fatto la pandemia ha colpito anche la tv. Tutto sta nel talento delle persone... la tv può essere potente quanto il cinema e viceversa».

Quello di cui un attore ha bisogno

Torniamo al set di Blood on the Crown.

Un’esperienza che i protagonis­ti ricordano con piacere. Malcolm McDowell sottolinea l’intesa nata con il regista: «È molto in gamba, e in più conosceva il mio caro amico Lindsay Anderson, con cui ho fatto i primi film». Harvey Keitel aggiunge: «Davide è il sogno di ogni attore. Con me ha fatto quello di cui tutti noi abbiamo bisogno: essere ascoltati dal regista. Un giorno mi stavo preparando per una scena e quando lui è arrivato per girarla mi sono seduto nel giardino della casa. Aveva preparato tutto per girare in cima alle scale ma avevo la sensazione che in quella posizione fosse meglio. Lui ha spostato tutto: era più interessat­o alla performanc­e che al resto. È quel che fanno i grandi registi come Scorsese, Tarantino, Wes Anderson». A McDowell chiediamo: che cosa cerca un attore in un regista? «Convinzion­e e un punto di vista, una visione da trasmetter­e».

Il «generale» Keitel «Sono stato nei Marine e mi è sempre piaciuto l’ordine permanente del corpo di servire chi non può difendere sé stesso»

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