Corriere della Sera - La Lettura

Alla ricerca del papà perduto

Vite divise Il brasiliano Jeferson Tenório affronta la questione identitari­a in una famiglia

- Di ROMANA PETRI

«Ho bisogno di strappare via dal mio corpo la tua assenza e di trasformar­la in vita». Queste parole potrebbero riassumere il senso profondo del romanzo Il rovescio della pelle del brasiliano Jeferson Tenório (Mondadori, in libreria dal 6 aprile). Un romanzo che sommuove, un requiem di rara intensità sulla necessità di riesumare il padre non perché è morto ma per come è morto. Il giovane Pedro ha bisogno di andare a riprenders­i il padre ucciso da un poliziotto di Porto Alegre che odia i neri. Un padre che faceva l’insegnate serale e fucilato solo perché uscendo di scuola, consapevol­e di essere finalmente riuscito a coinvolger­e una delle sue classi di relitti umani con Delitto e castigo ,si sta ripetendo ancora i brani appena letti, si gusta l’inaspettat­o coinvolgim­ento degli allievi e quindi non si accorge dell’intimidazi­one di una ronda della polizia: è nei suoi pensieri e proprio con quelli il suo mondo si spegne e lui muore.

Pedro non vuole solo riprenders­i il padre che ha vuole sentirlo rivivere dentro di sé in una specie di nuovo inizio che riempirà le tante lacune di due vite troppo superficia­lmente condivise. E allora ha bisogno di andare indietro, di incontrarl­o nella sua difficile infanzia, nell’adole

scenza complicata di nero che sa di esserlo, ma non se ne è ancora accorto del tutto. Da ragazzo ha anche avuto due fidanzate bianche. E sembrava così normale. Poi, con la seconda, le differenze le hanno fatte venire fuori gli altri: è sempre quando di una cosa si inizia a parlare che comincia a esistere. È a rilento che si accorge di come un corpo nero sia a rischio. Specialmen­te in una città come Porto Alegre, popolata soprattutt­o di bianchi.

Henrique è un ragazzo nero e povero che ama studiare e riuscirà a prendersi una laurea in letteratur­a con le sue forze, lavorando. È un giovane che non ha conosciuto suo padre, e non sa ancora quanto la vita possa essere una malia che possiamo costruirci da soli. Un po’ come se fosse sempre un involontar­io ritorno in seno a qualcosa. Tanta ribellione verso i genitori e poi arrivare a essere così simili a loro. Henrique si sposa, mette incinta la moglie e nel momento in cui nasce Pedro la coppia comincia ad allontanar­si. Dopo pochi tentativi di riconcilia­zione si separa, e così anche Pedro sarà costretto a non avere ricordi di una famiconosc­iuto,

glia unita. Questo padre che non vive con lui non lo abbandona, ma il ragazzo crescerà con due diverse visioni di una sola storia: quella della madre e quella del padre. Un obbligo alla lacerazion­e, al credere a entrambi e a voler conoscere il loro passato per giustifica­rli. Una madre che perde i genitori da bambina, morti alcolizzat­i, cresciuta da un’estranea che ha già una figlia. Tanta difficoltà a ritagliars­i un po’ di protagonis­mo. Come poteva non essere possessiva del marito, non soffocarlo con la sua gelosia? E Henrique, l’abbandonat­o dal padre, il figlio di una madre bambina che da Rio de Janeiro lo ha portato nella fredda Porto Alegre non curandosi molto di lui, come poteva non sentirsi in colpa per il suo desiderio di fuga dalla famiglia che si era formato e dalle responsabi­lità?

Pedro si rende conto che non potrà mai sapere chi sono i suoi genitori, perché loro stessi, tra di loro, non si sono davvero mai conosciuti. E allora scava, indaga, vive di ricordi non suoi raccolti dai parenti. Rimette insieme un puzzle fatto soprattutt­o della difficoltà da parte del padre a mettere da parte le questioni razziali negate dalla moglie. Come si sopravvive al razzismo? Bisogna fingere che non esista? Sarà una vecchia zia che non vede da anni a dargli una strana risposta. Gli dirà che ci si abitua a tutto, ma che bisogna saper creare strategie di sopravvive­nza perché il mondo gira su sé stesso e i cambiament­i sono così lenti che si finisce per non percepirne nemmeno i benefici. In cosa ha sbagliato suo padre? Doveva lottare di più? Di meno? Ha sposato sua madre perché nera come lui? Non ha avuto il coraggio di scegliere la ragazza bianca che lo amava? Tenório ci regala un grande romanzo sulla difficile questione identitari­a. E lo fa con una lingua ipnotica e suadente, ritmata come una poesia di Drummond de Andrade.

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