Corriere della Sera - La Lettura
Nessuno ti ruba l’eternità
Il russo Evgenij Vodolazkin racconta e riallaccia destini distanti, tra Urss e Australia
ABrisbane la stagione delle piogge è lunga e tiepida e le piogge cadono ininterrotte per giorni e notti. «Al suono della pioggia è bello pensare. Leggere. E ovviamente anche dormire». E non è un caso se lì, nella lontanissima Australia, voglia disperatamente rifugiarsi Irina, insofferente ai rigori dell’inverno russo e alla non meno rigida società sovietica dove «il cibo deve restare senza sapore». Irina è la mamma di Gleb Janovskij, il protagonista del nuovo romanzo di Evgenij Vodolazkin. Una figura che spicca paradossalmente per l’assenza (ha lasciato marito e figlio in tenera età, salvo ricomparire di tanto in tanto) ma è il suo sogno, il cercare una via d’uscita al presente, a dare il titolo (anche nell’originale russo) al libro.
Fuggire dal presente, fissandosi di volta in volta una meta nel futuro, è d’altra parte anche la smania di Gleb, che crede di trovare nella musica, per la quale ha un talento cristallino, la strada maestra per riuscirvi ed esorcizzare così la paura della morte, incontrata per la prima volta da ragazzino nello sguardo vitreo e incredulo di una giovanissima annegata. Dovrà però fare i conti, a soli cinquant’anni, con il muro del limite fisico, ammalandosi di Parkinson, una condanna per chi come lui, virtuoso della chitarra, ha l’estrema necessità di padroneggiare agilmente l’uso delle dita…
Presente, futuro, vita, malattia e morte sono al centro del romanzo del cinquantasettenne scrittore di Kiev che si colloca nel pieno solco della miglior letteratura russa. Ci sono il dramma e il buio, ma ci sono anche la gioia e tanta luce nella storia di Gleb, della moglie tedesca Katja che non riesce a diventare madre, della piccola pianista Vera, malata di cancro, delle diversissime famiglie d’origine dei due coniugi. Ma c’è anche la storia, quella della lenta parabola decadente dell’Urss, con i suoi dissidi interni (nello specifico fra l’anima russa e quella ucraina), del conflittuale rapporto con l’Occidente incarnato dalla Germania Est, del progressivo sgretolarsi del blocco Stato-partito-società a partire dal 1989.
Con la forza di una scrittura matura e di uno stile dalla forte pregnanza sinestetica, Vodolazkin è abile nel tenere insieme i diversi fili dell’ordito narrativo e a intrecciarli sulla trama degli anni, sfruttando l’espediente letterario del racconto su due piani temporali che si avvicinano specularmente. Da una parte quello del presente (dal 2012) di Gleb, ricco e famoso concertista improvvisamente scopertosi malato e angosciato dal domani, il quale si racconta all’amico scrittore che ne stenderà la biografia; dall’altro quello del passato (dal 1971), in cui il ragazzino dal talento ancora inespresso cerca la sua strada, sostenuto dalla tempra di una nonna che gli fa da madre e dalla saggezza di un nonno che l’aiuta a tollerare l’idea della morte, suggerendogli di concentrarsi sugli «arabeschi» che la vita (e la musica) disegnano sul tappeto dei giorni: «Il futuro è facile da portare via, perché non esiste. È solo un sogno. Difficile è portare via il presente; ancora più difficile il passato. Ed è impossibile, ve lo dico io, portare via l’eternità».