Corriere della Sera - La Lettura
Quanta Bellezza in quegli anni
Carmen Giardina e Massimiliano Palmese hanno battuto il primo ciak di un docu-film sul poeta il 31 marzo, nell’anniversario della morte. «Memoria necessaria»
Il poeta
Dario Bellezza (Roma, 5 settembre 1944-31 marzo 1996), impegnato negli ambienti culturali della capitale, morì di Aids, malattia che lo colpì nel 1987. Omosessuale dichiarato, nel 1986 fu protagonista di una celebre lite in tv con il narratore Aldo Busi. I suoi versi sono raccolti nel volume curato da Roberto Deidier, Tutte le poesie (Mondadori, 2015): aveva esordito nel 1971 con Invettive e licenze (Garzanti), seguito, tra gli altri, da Morte segreta (Garzanti, 1976, Premio Viareggio), Libro d’amore (Guanda, 1982), Serpenta (Mondadori, 1987), Libro di poesia (Garzanti, 1990). È stato anche autore di romanzi, saggi, teatro e traduzioni dal francese
«Addio cuori, addio amori/ foste i benvenuti, gli adorati/ ascoltati meno». I versi per la lapide nel cimitero acattolico di Roma li scelse lui stesso. Sopra poco altro: «Dario Bellezza, poeta», e le due date: 5 - 9 - 1944 / 31 - 3- 1996. L’anniversario — 25 anni passati dalla sua morte, in una corsia dell’ospedale Spallanzani, dove fu ricoverato nella fase finale della malattia, l’Aids, contratta anni prima — è trascorso quasi inosservato. Non da Carmen Giardina e Massimiliano Palmese, già autori del documentario Il caso Braibanti, che hanno scelto proprio il 31 marzo, simbolicamente, per battere il primo ciak del nuovo lavoro, dedicato a Bellezza. Interviste ad amici, critici, familiari montate insieme a materiale di repertorio, tra cui immagini e video inediti. Ulteriore capitolo, spiegano, «di una ricerca sulla memoria culturale di un Paese che non ricorda. Ci siamo dati come campo d’azione quello di riportare in primo piano pagine della nostra storia letteraria». In particolare della poesia «che sembra non interessare più nessuno». E, invece, si dicono convinti, c’è un gran bisogno.
«È quasi un passaggio di consegne, quello tra Aldo Braibanti e Bellezza. Dario fu uno di quelli che lottarono insieme alla sua famiglia artistica — Moravia, Pasolini, Morante — tutti coinvolti nel raccogliere firme contro quel processo assurdo. Entrambi omosessuali, hanno patito l’omofobia e l’isolamento in forme diverse. Braibanti sul piano istituzionale, Bellezza emarginato quando la malattia, chiamata allora il cancro dei gay, diventa di pubblico dominio». In maniera traumatica. «Il suo nome finì sui giornali; il padre, ignaro, ebbe un infarto».
Un passaggio di consegne, sottolineano Giardina e Palmese, scandito da una coincidenza cronologica. «Il 1968, l’anno del processo del primo, è anche l’anno di svolta nella vita del secondo», quando pubblica le prime poesie su «Nuovi argomenti», grazie a Enzo Siciliano che lo introduce nella cerchia letteraria romana, allora vivacissima. Diventa amico di Amelia Rosselli, Anna Maria Ortese, Moravia, Morante. E, soprattutto, Pasolini. «Erano simili ma anche molto diversi. Renzo Paris, uno dei nostri intervistati, allora giovanissimo, ci racconta alcuni momenti unici, a battere a macchina versi, a discutere di poesia. La sua morte è stato un evento che lo ha segnato profondamente, ne ha scritto più volte, un trauma terribile a cui ha pensato tutta la vita».
La struttura del documentario, prodotto da Rino Sciarretta per Zivago Film, ancora senza titolo («Stiamo scegliendo fra tre ipotesi») segue i luoghi cari a Bellezza.
Trastevere, dove va a vivere uscito dalla casa di famiglia a Monteverde, Campo de’ Fiori, la libreria Ferro cavallo di via Ripetta, la tomba dove prima della pandemia si riunivano gli amici per ricordarlo, il Biondo Tevere di via Ostiense 178, rimasto pressoché identico a quando era il quartier generale di poeti e intellettuali. E, certo, la spiaggia di Castelporziano, dove nel 1979 Franco Cordelli, Simone Carella e Ulisse Benedetti si inventano il Primo festival internazionale dei poeti. «Con lo spirito di quegli anni si cercò di portare la poesia alla gente e la gente alla poesia. Su quel palco costruito in una notte arrivarono i maggiori poeti del mondo: Allen Ginsberg, William Borroughs, Evgenij Evtushenko. Un successo straordinario, nessuno se lo aspettava, oggi impensabile. Sembrava una piccola Woodstock. Una manifestazione vitale e assolutamente anarchica. Ci furono anche problemi, alcuni furono fischiati, compreso lo stesso Bellezza. Provò a provocare ma fu sopraffatto, fu un incontro-scontro, lo mostreremo. Per fortuna c’è molto materiale a disposizione».
Si racconterà del suo rapporto con la città natale. «Roma amata e odiata. Da cui, a un certo punto, è dovuto fuggire». E con la morte, presenza costante nei suoi versi. «Ho paura. Paura di morire. Paura/ di non scriverlo perché dopo, il dopo/ è più orrendo e instabile del resto./ Dover prendere atto di questo:/ che si è corpo e si muore», scrive nel 1976. «È una cosa su cui stiamo ragionando in profondità — spiegano Giardina e Palmese —: ha molto giocato con la morte, poi in realtà gli si è presentata bruscamente. Si ammala a 44 anni, le ultime composizioni sono rarefatte, il fantasma della fine fa cadere il maledettismo di facciata ed emerge il suo fascino assoluto». E sfuggente. «Che poeta è? Non somiglia a nessun altro. Influenzato certo da Sandro Penna e Pasolini ma con una formazione classica che lo porta da Shakespeare fino a Saba».
Inquieto, affascinante, sfrontato, assetato di vita, divertentissimo, capriccioso, ironico, generoso, impegnativo. «È stato il primo nostro poeta dichiaratamente omosessuale. Ha aderito alle battaglie radicali, a quelle del Fuori». Dario Bellezza vive la poesia come assoluto. «Di più, come un sacerdozio. È stata la sua forza ma anche la sua condanna». Raggiunge il successo, nel 1976 vince il premio Viareggio. «Ma vive e muore in povertà. Non è uno di quelli capaci di vendere la propria mercanzia, un puro. Per diletto ma anche per necessità frequenta i salotti televisivi, da Costanzo a Marta Marzotto ma senza mai venire a patti con la popolarità». Alcuni amici si attivano per fargli ottenere il vitalizio in base alla legge Bacchelli. La morte arriva prima dell’assegno.