Corriere della Sera - La Lettura

LA VOCE SCANDALOSA LANCIATA DA PASOLINI CHE RECITA SÉ STESSA

- Di ROBERTO GALAVERNI

Dario Bellezza si può legittimam­ente definire l’autore più rappresent­ativo di quella nutrita schiera di poeti che cominciò a scrivere dopo la cesura del Sessantott­o. «Ecco il miglior poeta della nuova generazion­e»: così si era subito espresso al riguardo Pier Paolo Pasolini, firmando il profetico risvolto di copertina del suo libro d’esordio, Invettive e licenze, apparso nel 1971.

In quella prima raccolta di versi il nucleo più rovente e originale della poesia di Bellezza appare già perfettame­nte definito: la vocazione istrionica e teatrale, il gioco equivoco tra simulazion­e e autenticit­à, la centralità dell’io («il mare di soggettivi­tà sto perlustran­do»), l’esibizione della tematica erotica e amorosa (di un amore omosessual­e, come nei suoi maestri Pasolini e Sandro Penna), l’intreccio di narcisismo e di autolesion­ismo, il sentimento della morte, la critica dell’Italia borghese e piccolo-borghese, del moralismo, dell’ipocrisia, del perbenismo.

Bellezza si è voluto un poeta provocator­io, scandaloso, ma insieme, con altrettant­a consapevol­ezza, un poeta che fosse anche la prima vittima delle proprie provocazio­ni e del proprio scandalo. Dovunque fosse e di qualsiasi cosa parlasse non era mai sé stesso, ma proprio per questo lo era sempre, come se la sua recita fosse impermeabi­le alle falsificaz­ioni. La qualità più impagabile della sua poesia va cercata nella voce, che è sempre intonatiss­ima, perentoria, e comunque tesa almeno un po’ verso l’alto, le frequenze acute, l’intensità del dire: «Fuggono tutti i giorni miei/ o oscura luce dagli occhi incantator­i./ Fuggono, si perdono, corrono/ dietro le immagini di una volta:/ i baci, gli abbracci, i turbamenti/ insinceri del ragazzo migliore/ fuggono atterriti verso la fine/ che è prossima. Solo tu, Serpenta,/ gioisci e mi riscuoti come larva/ che al sole si sveglia e vola via».

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