Corriere della Sera - La Lettura

Migreremo tutti I confini non esistono

Per Parag Khanna la geografia cambia e la pausa del Covid è solo momentanea: il destino umano è il movimento, specie per i giovani. L’Europa? Resiliente. Gli asiatici? Si sposterann­o in Asia

- Di DANILO TAINO

«Vista da Est — dice Parag Khanna — la gestione che l’Occidente ha avuto della pandemia è sembrata un videogame. Un gioco del quale però non conosceva le regole. E se non conosci le regole, perdi». Questa è una delle non molte affermazio­ni «politiche» alle quali l’esperto di relazioni internazio­nali e di geografie si lascia andare in quest’intervista. Perché, dopo la crisi da virus, a suo parere è rilevante individuar­e le forze che stanno definendo la nuova realtà del mondo e queste sono spesso più determinan­ti dei governi. A cominciare dai movimenti delle persone che riprendera­nno una volta debellato il Covid-19.

Per individuar­e queste tendenze, Khanna — 43 anni, indiano-americano — ha scritto un nuovo libro, Il movimento del mondo. Le forze che ci stanno sradicando e plasmerann­o il destino dell’umanità (Fazi Editore).

Nel libro lei sostiene che siamo avviati verso un grande movimento di persone, nel mondo. Perché?

«Sarà la continuazi­one di quanto già succedeva prima della pandemia. Fino al 2018 abbiamo registrato record di migrazioni. Il virus le ha bloccate, ma non ha rovesciato la tendenza. Anzi, ogni domanda che ci facciamo ci porta a rispondere che la spinta e la capacità di muoversi saranno maggiori, non minori».

Per esempio?

«Possono essere esempi climatici, economici, culturali. Alcuni Paesi hanno risposto bene alla pandemia, altri male: fra questi ci saranno movimenti. La digitalizz­azione favorisce gli spostament­i. Il lavoro a distanza anche. I cambiament­i del clima provochera­nno migrazioni. Tra molti Paesi ci si muove ormai senza bisogno di visto. Il 2021 non è l’inizio dei tempi: negli scorsi 75 anni le migrazioni sono andate su, su, su: continuera­nno, tutti i driver sono in accelerazi­one».

Che tipo di migrazioni vede?

«Di ogni tipo. Ma è difficile separarne le ragioni, spesso sono collegate. Prendiamo la Siria. Una siccità provoca una sollevazio­ne popolare, la quale diventa una guerra civile, ne nasce una crisi umanitaria, la quale provoca una migrazione di massa verso l’Europa. Certo, la maggioranz­a di chi emigra è mosso da ragioni economiche. Ma non sempre si tratta di poveri. Tecnicamen­te, io sono un migrante economico, ma ogni volta che trasloco da un Paese all’altro divento più ricco».

Quali Paesi guadagnera­nno da questa tendenza?

«Un tempo, quando nascevano più figli, chi se ne andava da un posto era in qualche modo sostituito. Ora, con i tassi di natalità bassi, le migrazioni sono sempre più a somma zero, qualcuno guadagna e un altro perde. È difficile prevedere quali saranno i flussi e quali saranno le ragioni dello scegliere un posto rispetto all’altro. Il lavoro a distanza lo puoi fare da Milano per New York. Ci sono città alla vigilia di una rinascita: Detroit può diventare il miglior posto d’America. La Pianura padana, con Milano capitale, ha una grande capacità d’attrazione. Ma le previsioni si possono fare solo a breve periodo, a 15 anni la lista è più corta: il Canada sarà vincente, ha un governo smart, una politica sull’immigrazio­ne aggressiva, diventerà meno freddo».

Che cos’è, oggi, la geografia, nella sua analisi?

«Ci sono molti tipi di geografia. C’è la topografia, e anche questa si trasforma, a causa del cambiament­o climatico, per esempio. Anch’essa è dinamica. Come lo è la geografia politica: nel 1945 avevamo 51 Paesi, oggi siamo a oltre duecento: può essere che fra 5 anni la Siria o lo Yemen non esistano più in quanto Stati. O che la Repubblica ceca e la Slovacchia tornino assieme o che si crei una federazion­e di Visegrád o che si mettano assieme i piccoli Paesi del Pacifico a causa del climate change. C’è poi la geografia funzionale, quella fatta da oleodotti, strade, ferrovie, centri di dati, fabbriche, impianti di pannelli solari, desalinato­ri: cambia molto velocement­e. E c’è la geografia umana, dell’adattament­o genetico, della composizio­ne etnica: è quella che più ci interessa, anche se queste quattro geografie vanno lette in modo olistico. Tutte cambiano».

Lei parla anche, nel libro, di migrazione generazion­ale.

«I giovani, oggi la maggioranz­a (quelli sotto i 30 anni sono il 50,5% del totale mondiale, ndr), sono spesso senza figli e senza lavoro. Possono e devono muoversi. Nel 2050, cosa faranno coloro che nascono oggi e nei prossimi anni, i venti-trentenni? Non ce lo dicono i primi ministri».

Come vede l’Europa in questa cornice?

«Credo molto nell’Europa. Nella sua politica, nei diritti, nel sistema di welfare state che la rende resiliente. Anche i cambiament­i climatici la colpiranno meno di altri luoghi. Sono più cauto sui Paesi scandinavi: saranno più caldi, ma non è detto che accettino tanta diversità sociale».

Le migrazioni potrebbero fare crescere i nazionalis­mi.

«Occorre guardare alla realtà. La Brexit è stata in buona parte fondata sull’identità e sul problema dell’immigrazio­ne, ma oggi la politica migratoria di Londra è caratteriz­zata dalla necessità di attrarre persone. Donald Trump se n’è andato, Joe Biden vuole più immigrati. La Russia nazionalis­ta cerca di mantenere la purezza etnica, ma in realtà ha immigrazio­ne di popolazion­i di origine turkmena, caucasica, indiana. Il fatto è che le leggi della domanda e dell’offerta sono molto più forti delle posizioni politiche, più forti di Matteo Salvini».

Lei ha anche scritto un libro sul secolo asiatico. Come vede l’Asia dopo la pandemia?

«Prima della pandemia l’Occidente apprezzava poco Paesi come Taiwan, la Corea del Sud, la Nuova Zelanda, l’Australia. Ora, grazie alla loro gestione della crisi, li vede. Nota il loro livello di sicurezza, la certezza e il rispetto della legge, il buon governo. Molti si muovono verso l’Asia. E più asiatici di prima rimangono in Asia: non vogliono andare negli Stati Uniti dove ci sono attacchi contro gli asiatici, non vogliono andare in Europa per l’economia che cresce poco. Si muoveranno di più all’interno dell’Asia».

Oggi l’Occidente attrae meno?

«Vista da Est, la gestione che l’Occidente ha avuto della pandemia è sembrata un videogame».

Un vantaggio per la Cina.

«Nessuno ha fiducia in Pechino. Ma devi farci business. Non vai in Cina perché ti piace, ci vai perché ha i vaccini a buon mercato. È un Paese che non ha soft power: ha potere, influenza».

In conclusion­e, lei vede un cambiament­o dei confini nel mondo.

«Sono gli scienziati politici a ritenere i confini la cosa più importante. Ma non è così. La pandemia ha ribadito e reso ancora più evidente che lo spazio contiene gente, risorse, talenti, infrastrut­ture e pone l’interrogat­ivo di come cambiano. È questo che conta. Molti si chiederann­o sempre più spesso qual è il posto migliore in cui vivere».

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 ??  ?? PARAG KHANNA Il movimento del mondo. Le forze che ci stanno sradicando e plasmerann­o il destino dell’umanità Traduzione di Franco Motta FAZI Pagine 454, € 20 In libreria dal 15 aprile
L’autore Il politologo Parag Khanna (Kanpur, India, 1977; in alto) è autore tra gli altri volumi di La rinascita delle città-Stato (2017) e Il secolo asiatico? (2019), per Fazi L’immagine 30 marzo, migranti haitiani guadano il Río Bravo all’altezza di Ciudad Juárez, in Messico, per raggiunger­e El Paso, Texas (Stati Uniti). Sullo sfondo il reticolato del confine (Martinez/Afp)
PARAG KHANNA Il movimento del mondo. Le forze che ci stanno sradicando e plasmerann­o il destino dell’umanità Traduzione di Franco Motta FAZI Pagine 454, € 20 In libreria dal 15 aprile L’autore Il politologo Parag Khanna (Kanpur, India, 1977; in alto) è autore tra gli altri volumi di La rinascita delle città-Stato (2017) e Il secolo asiatico? (2019), per Fazi L’immagine 30 marzo, migranti haitiani guadano il Río Bravo all’altezza di Ciudad Juárez, in Messico, per raggiunger­e El Paso, Texas (Stati Uniti). Sullo sfondo il reticolato del confine (Martinez/Afp)
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