Corriere della Sera - La Lettura
Migreremo tutti I confini non esistono
Per Parag Khanna la geografia cambia e la pausa del Covid è solo momentanea: il destino umano è il movimento, specie per i giovani. L’Europa? Resiliente. Gli asiatici? Si sposteranno in Asia
«Vista da Est — dice Parag Khanna — la gestione che l’Occidente ha avuto della pandemia è sembrata un videogame. Un gioco del quale però non conosceva le regole. E se non conosci le regole, perdi». Questa è una delle non molte affermazioni «politiche» alle quali l’esperto di relazioni internazionali e di geografie si lascia andare in quest’intervista. Perché, dopo la crisi da virus, a suo parere è rilevante individuare le forze che stanno definendo la nuova realtà del mondo e queste sono spesso più determinanti dei governi. A cominciare dai movimenti delle persone che riprenderanno una volta debellato il Covid-19.
Per individuare queste tendenze, Khanna — 43 anni, indiano-americano — ha scritto un nuovo libro, Il movimento del mondo. Le forze che ci stanno sradicando e plasmeranno il destino dell’umanità (Fazi Editore).
Nel libro lei sostiene che siamo avviati verso un grande movimento di persone, nel mondo. Perché?
«Sarà la continuazione di quanto già succedeva prima della pandemia. Fino al 2018 abbiamo registrato record di migrazioni. Il virus le ha bloccate, ma non ha rovesciato la tendenza. Anzi, ogni domanda che ci facciamo ci porta a rispondere che la spinta e la capacità di muoversi saranno maggiori, non minori».
Per esempio?
«Possono essere esempi climatici, economici, culturali. Alcuni Paesi hanno risposto bene alla pandemia, altri male: fra questi ci saranno movimenti. La digitalizzazione favorisce gli spostamenti. Il lavoro a distanza anche. I cambiamenti del clima provocheranno migrazioni. Tra molti Paesi ci si muove ormai senza bisogno di visto. Il 2021 non è l’inizio dei tempi: negli scorsi 75 anni le migrazioni sono andate su, su, su: continueranno, tutti i driver sono in accelerazione».
Che tipo di migrazioni vede?
«Di ogni tipo. Ma è difficile separarne le ragioni, spesso sono collegate. Prendiamo la Siria. Una siccità provoca una sollevazione popolare, la quale diventa una guerra civile, ne nasce una crisi umanitaria, la quale provoca una migrazione di massa verso l’Europa. Certo, la maggioranza di chi emigra è mosso da ragioni economiche. Ma non sempre si tratta di poveri. Tecnicamente, io sono un migrante economico, ma ogni volta che trasloco da un Paese all’altro divento più ricco».
Quali Paesi guadagneranno da questa tendenza?
«Un tempo, quando nascevano più figli, chi se ne andava da un posto era in qualche modo sostituito. Ora, con i tassi di natalità bassi, le migrazioni sono sempre più a somma zero, qualcuno guadagna e un altro perde. È difficile prevedere quali saranno i flussi e quali saranno le ragioni dello scegliere un posto rispetto all’altro. Il lavoro a distanza lo puoi fare da Milano per New York. Ci sono città alla vigilia di una rinascita: Detroit può diventare il miglior posto d’America. La Pianura padana, con Milano capitale, ha una grande capacità d’attrazione. Ma le previsioni si possono fare solo a breve periodo, a 15 anni la lista è più corta: il Canada sarà vincente, ha un governo smart, una politica sull’immigrazione aggressiva, diventerà meno freddo».
Che cos’è, oggi, la geografia, nella sua analisi?
«Ci sono molti tipi di geografia. C’è la topografia, e anche questa si trasforma, a causa del cambiamento climatico, per esempio. Anch’essa è dinamica. Come lo è la geografia politica: nel 1945 avevamo 51 Paesi, oggi siamo a oltre duecento: può essere che fra 5 anni la Siria o lo Yemen non esistano più in quanto Stati. O che la Repubblica ceca e la Slovacchia tornino assieme o che si crei una federazione di Visegrád o che si mettano assieme i piccoli Paesi del Pacifico a causa del climate change. C’è poi la geografia funzionale, quella fatta da oleodotti, strade, ferrovie, centri di dati, fabbriche, impianti di pannelli solari, desalinatori: cambia molto velocemente. E c’è la geografia umana, dell’adattamento genetico, della composizione etnica: è quella che più ci interessa, anche se queste quattro geografie vanno lette in modo olistico. Tutte cambiano».
Lei parla anche, nel libro, di migrazione generazionale.
«I giovani, oggi la maggioranza (quelli sotto i 30 anni sono il 50,5% del totale mondiale, ndr), sono spesso senza figli e senza lavoro. Possono e devono muoversi. Nel 2050, cosa faranno coloro che nascono oggi e nei prossimi anni, i venti-trentenni? Non ce lo dicono i primi ministri».
Come vede l’Europa in questa cornice?
«Credo molto nell’Europa. Nella sua politica, nei diritti, nel sistema di welfare state che la rende resiliente. Anche i cambiamenti climatici la colpiranno meno di altri luoghi. Sono più cauto sui Paesi scandinavi: saranno più caldi, ma non è detto che accettino tanta diversità sociale».
Le migrazioni potrebbero fare crescere i nazionalismi.
«Occorre guardare alla realtà. La Brexit è stata in buona parte fondata sull’identità e sul problema dell’immigrazione, ma oggi la politica migratoria di Londra è caratterizzata dalla necessità di attrarre persone. Donald Trump se n’è andato, Joe Biden vuole più immigrati. La Russia nazionalista cerca di mantenere la purezza etnica, ma in realtà ha immigrazione di popolazioni di origine turkmena, caucasica, indiana. Il fatto è che le leggi della domanda e dell’offerta sono molto più forti delle posizioni politiche, più forti di Matteo Salvini».
Lei ha anche scritto un libro sul secolo asiatico. Come vede l’Asia dopo la pandemia?
«Prima della pandemia l’Occidente apprezzava poco Paesi come Taiwan, la Corea del Sud, la Nuova Zelanda, l’Australia. Ora, grazie alla loro gestione della crisi, li vede. Nota il loro livello di sicurezza, la certezza e il rispetto della legge, il buon governo. Molti si muovono verso l’Asia. E più asiatici di prima rimangono in Asia: non vogliono andare negli Stati Uniti dove ci sono attacchi contro gli asiatici, non vogliono andare in Europa per l’economia che cresce poco. Si muoveranno di più all’interno dell’Asia».
Oggi l’Occidente attrae meno?
«Vista da Est, la gestione che l’Occidente ha avuto della pandemia è sembrata un videogame».
Un vantaggio per la Cina.
«Nessuno ha fiducia in Pechino. Ma devi farci business. Non vai in Cina perché ti piace, ci vai perché ha i vaccini a buon mercato. È un Paese che non ha soft power: ha potere, influenza».
In conclusione, lei vede un cambiamento dei confini nel mondo.
«Sono gli scienziati politici a ritenere i confini la cosa più importante. Ma non è così. La pandemia ha ribadito e reso ancora più evidente che lo spazio contiene gente, risorse, talenti, infrastrutture e pone l’interrogativo di come cambiano. È questo che conta. Molti si chiederanno sempre più spesso qual è il posto migliore in cui vivere».