Corriere della Sera - La Lettura
L’Italia rischia l’estinzione
Nei mesi di novembre e dicembre del 2020, condizionati dall’effetto Covid, le nascite sono calate del 9 per cento. La popolazione del nostro Paese, sempre più anziana, potrebbe dimezzarsi alla fine del secolo per la mancanza di ricambio. E il tempo per rimediare sta scadendo, anche perché l’inquinamento chimico fa diminuire gli spermatozoi, come dimostra un saggio pubblicato negli Stati Uniti
dovuto mettere in atto organiche politiche nataliste da quel dì e invece possiamo segnalare solo oggi una misura importante che va in questo senso: l’assegno unico fino a 250 euro al mese per figlio fino all’età di 18 anni, prorogabile nell’eventualità di prosecuzione degli studi.
Chi si illudesse che una misura come questa basti da sola a colmare il gap accumulato dall’accoppiata motore-pilota in decenni di prestazioni inguardabili sbaglia di grosso. Per ridare slancio alle nascite in un Paese strutturalmente, economicamente e culturalmente votato alle non nascite come il nostro, ce ne vogliono di misure, a cominciare da uno stravolgimento del mercato del lavoro e delle abitazioni a smaccato vantaggio dei giovani in generale e di quelli che intendono sposarsi in particolare. Ma intanto il passo in avanti va segnalato. Non foss’altro per stimolarne altri e di ancora più decisivi, perché tutte le previsioni danno l’Italia destinata in futuro, nel futuro ch’è già oggi, a un autentico tracollo di abitanti.
Tra l’inizio del 2015, punta del massimo popolamento, e l’inizio del 2021 l’Italia è passata da 60 milioni e 796 mila a 59 milioni e 258 mila abitanti, perdendo 1 milione e 538 mila abitanti e il 2,53 per cento in sei anni. E che sarà mai, viene da sbottare, oltretutto pensando che 100 mila almeno di quella perdita sono morti dovuti alla pandemia. Massimo Livi Bacci, un’autorità indiscussa in campo demografico, dice di credere che «il Paese potrebbe funzionare benissimo con dieci milioni in meno». Salvo aggiungere subito dopo che il problema è in quali condizioni arrivarci. Con questa natalità, e con un saldo del movimento migratorio che ormai compensa assai poco il divario crescente tra nati e morti, il disastro è servito, perché in quei 50 milioni di italiani ci sarebbero sempre meno giovani e sempre più vecchi, e tanto il motore quanto il pilota sarebbero ancora più imbrocchiti, incapaci di una pur minima reazione.
Ma non ci fermeremo a 50 milioni. Scenderemo a 40. Forse sprofonderemo a 30. Forse per la fine del secolo non arriveremo a essere neppure la metà di quelli che siamo oggi. Con il Giappone saremo tra i grandi ammalati del futuro. Pericolosamente moribondi. Ci sono due elementi che letteralmente sgomentano, se guardiamo alle differenze strutturali tra la popolazione italiana di oggi e quella del censimento del 2011, solo pochi anni fa, quando il numero di abitanti era analogo a quello di oggi: gli ultraottantenni fanno un balzo di quasi 800 mila unità e di oltre il 21 per cento della loro consistenza, arrivando a superare 4,4 milioni; la popolazione di 25-49 anni, la fascia più vitale produttivamente e riproduttivamente parlando, arretra di quasi 2,3 milioni e dell’11 per cento, scendendo da 21,2 a 18,9 milioni. La divergenza abissale tra le due dinamiche ci dice che cosa può succedere in 30 e 50 anni a una popolazione, qual è la nostra, che abbia infilato a tutta velocità la china discendente.
Succede che in provincia di Biella nel 2020 ci sono stati 366 morti ogni 100 nati. In provincia di Savona 318. Sembravano impossibilità nude e crude. La pandemia ha pesato sui dati, ma negli anni precedenti i valori erano pur sempre largamente sopra i 250 morti ogni 100 nati. Ce ne sono un bel po’, di province così, peggio che stremate. Enormi case di riposo. Dalle province alle città: Torino, Genova, Firenze, Taranto, Reggio Calabria, Palermo, Messina, Catania, Cagliari, molte delle nostre più grandi città hanno perso dalla fine del 2014, in sei anni, poco meno o poco più del 6 per cento degli abitanti, a una media dell’1 per cento all’anno che suggerisce l’orizzonte di un secolo di vita. Cagliari, capitale di un’isola dove le italiane non arrivano a un figlio in media per donna, il top dell’autoannientamento, è stata capace di una natalità di 4,8 nascite annue per 1.000 abitanti, per trovare la quale occorre scendere da una natalità di 10,6 a livello mondiale a una di 9,3 a livello europeo a una di 6,8 a livello italiano. E continuare a scendere.
E poi? E poi si può aggiungere che 23 donne su 100 nate nel 1976 restano senza figli, percentuale doppia di quella delle donne nate nel 1950, loro madri. Cosicché c’è da aspettarsi che le figlie delle donne nate nel 1976 resteranno senza figli in una quota tra il 30 e il 40 per cento...
Segni. Sommati assieme prefigurano il disastro. Tempo per rimediare? Nessuno. E sia, diciamo che siamo agli sgoccioli.