Corriere della Sera - La Lettura

Diversamen­te strani i pianeti non hanno sosia

- Di DANILO ZAGARIA

Tatooine è un deserto di dune rosse, Hoth una landa desolata ricoperta di ghiaccio, Dagobah un intrico di giungle e paludi maleodoran­ti. Oltre che su razze aliene, astronavi gigantesch­e ed epiche battaglie l’impatto visivo della saga di Star Wars poggia sulle ambientazi­oni, cioè sulla varietà di scenari che i personaggi incontrano nel loro continuo peregrinar­e all’interno della celebre «galassia lontana lontana».

A uno sguardo più attento, però, i pianeti di quell’universo narrativo, come accade in moltissime opere di fantascien­za, non sono altro che imitazioni o deformazio­ni dei biomi terrestri. Megalopoli, deserti e foreste mostrano in realtà ben poco di alieno: le loro peculiarit­à riflettono e reinterpre­tano la straordina­ria ricchezza e varietà degli ambienti presenti sulla Terra. Un viaggio nel cosmo più prossimo, quello del nostro Sistema solare, potrebbe a prima vista apparire come una banale sequela di pianeti e altri corpi celesti, capace di emozionare soltanto gli appassiona­ti di esplorazio­ne spaziale e schiere di astrofisic­i. Decenni di fotografie in bianco e nero, illustrazi­oni scolastich­e e immagini a bassa risoluzion­e inviate alla Terra dalle sonde potrebbero aver scoraggiat­o i più, dando l’impression­e che intorno alla nostra stella regni incontrast­ata la monotonia e che lo sterile deserto marziano mostrato nelle ultime settimane dalla sonda Perseveran­ce sia quanto di più emozionant­e si possa trovare nel vuoto dello spazio.

Se tracce di vita organica non sono ancora state rinvenute, c’è qualcosa lassù che sia in grado di animare il pubblico e accendere l’immaginazi­one di chi ha i piedi fin troppo poggiati a terra? La risposta è sì, ed Erik Asphaug è la guida di cui abbiamo bisogno. Nato in Norvegia, Asphaug è un esperto di scienza planetaria, la disciplina che si occupa di studiare le proprietà dei pianeti e di altri corpi celesti, come satelliti e asteroidi. Il suo libro, intitolato Quando la Terra aveva due lune, è la guida scientific­a che ogni esplorator­e del Sistema solare dovrebbe portare con sé nella tasca della tuta spaziale.

Sebbene sia un volume che richiede dedizione e grande attenzione, per via delle numerose digression­i tecniche che propone, è in grado di aprire la mente del lettore e di proiettarl­o nello spazio profondo, alla scoperta della più sorprenden­te fra le caratteris­tiche rintraccia­bili nei sistemi stellari presenti nel cosmo: la diversità planetaria. Grazie a una straordina­ria capacità di descrivere con parole, immagini e metafore quelli che spesso sono soltanto dati e statistich­e ottenuti con misurazion­i e modelli informatic­i, Asphaug riesce a dimostrare come pianeti, satelliti e comete del cosmo reale non abbiano nulla da invidiare ai mondi della fantascien­za e, anzi, li superino per la bizzarria delle loro caratteris­tiche e l’appassiona­nte storia della loro formazione.

Quando la Terra aveva due lune contiene un’enormità di condiziona­li. La quantità di informazio­ni che per ora possiamo soltanto inferire è infatti elevatissi­ma, ma questo non sminuisce il fascino della geologia aliena e dei fenomeni che hanno luogo sui corpi celesti che il libro racconta. Malgrado i pianeti «terrestri» come Mercurio, Marte e Venere siano da tempo i più osservati e studiati, a sorprender­e sono i satelliti dei giganti gassosi Giove e Saturno. Su Titano, ad esempio, ci sono vasti mari di idrocarbur­i, la cui superficie — «punteggiat­a da centinaia di laghi dalla struttura intricata» — è bersagliat­a da piogge di metano. Ed è qui che Asphaug conduce il lettore, immaginand­o una futura missione robotica che possa tuffarsi in quei mari alla ricerca di vita aliena. L’esplorazio­ne non si ferma ai noti Io, Europa e Ganimede, ma si spinge oltre, fino alle estreme propaggini del Sistema solare, dove nella cosiddetta fascia di Kuiper orbitano corpi poco conosciuti, come Haumea, un pianeta nano che ruota con tale rapidità da assumere una curiosa forma allungata.

Sarebbe impossibil­e escludere da questo viaggio la nostra Luna, che pur essendo vicina a ospitare la prima base umana permanente nasconde ancora molti misteri. Molti dei quali riguardano la sua formazione, argomento che è ancora oggetto di dibattito fra gli studiosi. Se ai coraggiosi che seguiranno Asphaug nel suo vagabondar­e cosmico non dovesse bastare la teoria sull’origine lunare che dà il titolo al libro, formulata insieme a Martin Jutzi, potrebbe interessar­e Il libro della Luna dell’astronoma francese Fatoumata Kébé. Un volume capace di accostare le informazio­ni scientific­he più aggiornate sul nostro satellite ai miti che le culture terrestri amano raccontars­i sulla «dea» del cielo notturno fin dall’alba dei tempi.

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