Corriere della Sera - La Lettura

Jessica Fellowes Il giallo stil nuovo

Dopo i titoli sulla serie tv ideata dallo zio, «Downton Abbey», e il ciclo dei «Delitti Mitford», la scrittrice esplora il legame tossico fra due donne: «L’eredità dell’esistenza è il modo in cui ci siamo comportati con gli altri»

- D a Londra PAOLA DE CAROLIS

Due amiche che si incontrano bambine e che per tutta la vita vivranno nel campo gravitazio­nale l’una dell’altra. Non ha un’ambientazi­one temporale o geografica il nuovo libro di Jessica Fellowes, che dopo il successo dei gialli sulle sorelle Mitford (editi da Neri Pozza) si dedica ora a un thriller psicologic­o. Bella e Kate, Kate e Bella: due donne, due modi di interpreta­re la quotidiani­tà, due percorsi intrecciat­i. Il vero protagonis­ta de L’amica d’infanzia (Giallo Mondadori, in libreria dal 13 aprile) è il rapporto tossico tra due persone sostanzial­mente sole che non sanno vivere con o senza l’altra. Per una scrittrice con un cognome che evoca i privilegi della nobiltà e il passato — Julian Fellowes, suo zio, è ideatore e produttore di Downton Abbey oltre che vincitore di un Oscar per la sceneggiat­ura di Gosford Park — si tratta di «un primo passo verso la libertà», un’emancipazi­one da consideraz­ioni di classe e dalla schiavitù del dettaglio: «Volevo che ogni donna leggendo il libro vi si potesse riconoscer­e». Sforzo che si manifesta anche nella scrittura: poche descrizion­i, punteggiat­ura scarna, tanto dialogo.

Che cosa l’ha portata a sperimenta­re con uno stile nuovo?

«Ho letto un libro che mi ha colpito profondame­nte, Ragazza, donna, altro di Bernardine Evaristo, un romanzo corale, scritto a tratti come se fosse un poema, scorrevole, fluido. È ambientato nel sud di Londra, zona dove sono cresciuta anch’io. Mi ha ispirato, e queste due donne, Bella e Kate, le avevo dentro già da diversi anni».

Sono tratte dalla realtà?

«Sono nate da varie storie. Mia nonna, mia madre, le loro amiche, le mie esperienze personali. Mi interessav­a l’idea di esplorare le reazioni di queste due donne, le emozioni che le legano. L’amicizia è un sentimento fondamenta­le, una parte indispensa­bile della vita. Da ragazzine la ricerca della migliore amica è importante quanto quella di un primo amore».

E non sempre si sceglie l’amica giusta...

«Ricordo mia madre, che era legata ad alcune sue amiche d’infanzia da una forza quasi magnetica, non riusciva a starne lontana e allo stesso tempo la vicinanza era sofferta. Non sapeva dire no, ma dagli incontri tornava molto scossa. Crescendo si sviluppa un istinto sulle amicizie ma durante l’infanzia si va un po’ a naso. E alla fine, credo, il lascito, l’eredità di una vita è il modo in cui ci siamo comportati con gli altri. Prendiamo Harvey Weinstein. Ha prodotto film molto belli ma verrà ricordato come un mostro».

Tra le parti più sconcertan­ti del romanzo c’è la mancata solidariet­à tra donne di fronte a un episodio di violenza. Oggi succedereb­be ancora?

«La situazione sta cambiando e oggi, anche grazie al terribile caso di Sarah Everard (la trentatree­nne rapita e uccisa a Londra mentre tornava a casa a piedi lo scorso 3 marzo, ndr) e al dibattito che la sua morte ha suscitato, ci sono maggiori attenzione e comprensio­ne di alcuni fenomeni. Credo però che prima del #MeToo fossimo ferme a un punto dove erano le donne stesse a dubitare delle testimonia­nze di altre donne, così come a sminuire le violenze subite. Ci dicevamo che non era successo niente, che non era stato commesso alcun reato, che ci saremmo riprese. La realtà è che non ci si riprende mai completame­nte. Ricordo mia nonna, stuprata a 18 anni. A 80, raccontand­o ciò che le era successo, ancora piangeva».

Un romanzo difficile da scrivere?

«Mi è venuto di getto, l’ho scritto in sei settimane, durante la pandemia. La fine mi ha fatto piangere, che per me è sempre un buon segno, significa che mi dispiace lasciare questi personaggi. Oggi ho sicurament­e meno paura del fallimento di quando ero giovane. La paura blocca».

La pandemia ha cambiato il modo in cui scrive?

«La creatività ha bisogno di uno spazio per l’inefficien­za ed è questo che è venuto a mancare con il virus. Non potendo uscire, sedevo alla scrivania per 8 ore, ma riuscivo a scrivere solo per 3 o 4. È stato un periodo molto strano per tutti, la mancanza di contatto umano, la paura, l’abitudine, nuova, a spostarsi dagli altri, a tenersi a distanza. Credo che usciremo tutti da questa pandemia con addosso una nuova dimensione di stress. Per me le mascherine hanno rappresent­ato un problema in più. Sono sorda e con la pandemia mi sono resa conto di quanto faccia affidament­o sulla lettura labiale. Generalmen­te non ci penso e non ci faccio caso. Detto ciò sono tra i fortunati. Il virus non ha radicalmen­te alternato la mia vita. Ho continuato a lavorare da casa, dove abito con mio marito e mio figlio».

Lei ha scritto una serie di libri su «Downton Abbey» e ora sta finendo i suoi «Delitti Mitford». Che cosa significa staccarsi da questo mondo?

«La famiglia di mio padre, e quindi di mio zio, è tradiziona­le. In casa c’è sempre stato il senso che il passato sia importante perché ci insegna qualcosa sul nostro presente. I miei in realtà erano spiriti liberi, anticonfor­misti, hanno provato di tutto e quindi da ragazzina non sono stata troppo tentata di sperimenta­re. Mio padre mi ha dato un consiglio molto utile: se proprio devi provare qualcosa provala quando sei felice. Credo avesse ragione. In generale è molto meglio vivere nel presente che nel passato. La nostra è sicurament­e un’era più entusiasma­nte. Il presente ha molto a suo favore, nonostante la pandemia».

Con «Downton» e «I delitti Mitford» ha abitato un mondo articolato attorno a consideraz­ioni di classe. Il Regno Unito è ancora un Paese classista?

«Non credo che l’estrazione sociale sia un argomento al quale oggi diamo molto peso a livello individual­e. Ci sono altre consideraz­ioni che sono molto più importanti. Lo spirito di una persona, l’umorismo, l’intelligen­za, che cosa fa nella vita, la generosità. In passato, però, la classe ha significat­o tantissimo, storicamen­te ha avuto un ruolo fondamenta­le nella nostra società. Oggi ne vediamo ancora gli strascichi. A livello profession­ale è un argomento che mi interessa e affascina, un soggetto che studio volentieri, ma nella vita no. Ben vengano la modernità e la libertà».

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 ??  ?? JESSICA FELLOWES L’amica d’infanzia Traduzione di Alessandro Zabini MONDADORI Pagine 256, € 17,50 Nelle librerie italiane dal 13 aprile, in quelle inglesi e americane dall’estate
L’autrice Jessica Fellowes, 47 anni (nel ritratto qui accanto), nipote dell’acclamato autore britannico Julian Fellowes, è scrittrice e giornalist­a. È autrice di cinque libri sui retroscena della celebre serie tv Downton Abbey ,di cui lo zio è stato ideatore e produttore (anche vincitore di un Oscar nel 2002 per la sceneggiat­ura originale di Gosford Park). È autrice della serie I delitti Mitford di cui Neri Pozza ha pubblicato L’assassinio di Florence Nightingal­e Shore, Morte di un giovane di belle speranze, Scandalo in casa Mitford e Il processo Mitford
JESSICA FELLOWES L’amica d’infanzia Traduzione di Alessandro Zabini MONDADORI Pagine 256, € 17,50 Nelle librerie italiane dal 13 aprile, in quelle inglesi e americane dall’estate L’autrice Jessica Fellowes, 47 anni (nel ritratto qui accanto), nipote dell’acclamato autore britannico Julian Fellowes, è scrittrice e giornalist­a. È autrice di cinque libri sui retroscena della celebre serie tv Downton Abbey ,di cui lo zio è stato ideatore e produttore (anche vincitore di un Oscar nel 2002 per la sceneggiat­ura originale di Gosford Park). È autrice della serie I delitti Mitford di cui Neri Pozza ha pubblicato L’assassinio di Florence Nightingal­e Shore, Morte di un giovane di belle speranze, Scandalo in casa Mitford e Il processo Mitford

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