Corriere della Sera - La Lettura

Un diluvio americano sui sogni dei semplici

Ron Rash percorre gli stessi luoghi di William Faulkner e Flannery O’Connor, ma conferisce alla durezza della vita rurale toni gotici tutti suoi. Esce soltanto ora in Italia il suo primo lavoro, che apparve quasi vent’anni fa

- Di CRISTINA TAGLIETTI

C’è uno scrittore da scoprire per chi ama le atmosfere della narrativa del Sud degli Stati Uniti, quella che ha i suoi maestri in William Faulkner, Flannery O’Connor, Eudora Welty. Si chiama Ron Rash, ha pubblicato sette romanzi, varie raccolte di racconti e di poesie, ma in Italia arriva soltanto ora, benché nel 2014 sia uscito Una folle passione, film con Jennifer Lawrence e Bradley Cooper, tratto dal suo libro più noto in America, Serena. La Nuova frontiera pubblica il primo romanzo di Rash, Un piede in paradiso (2002), con cui inaugura la nuova collana, La frontiera selvaggia. Un libro in cui l’ambientazi­one può ricordare un po’ Larry McMurtry, ma con un tono da tragedia shakespear­iana che mescola la brutalità di un mondo vicino alla terra con la malinconia di vite destinate a restare incompiute.

Siamo negli anni Cinquanta nel nord della Carolina del Sud, negli Appalachi (qui ha le sue radici la famiglia dello scrittore) dove la società elettrica Carolina Power minaccia di inondare la Jocassee Valley. Jocassee in lingua cherokee significa la «vallata degli scomparsi» e, secondo la tradizione nativa, prende il suo nome da una principess­a annegata in quel luogo e il cui corpo non venne mai trovato. Anche qui c’è un uomo scomparso, si chiama Holland Winchester, è il piantagran­e della cittadina di Seneca, uno di quei reduci dalla guerra di Corea che portano con sé come souvenir le orecchie dei nemici uccisi e sono usciti dal conflitto senza che il conflitto sia mai uscito da loro. A molti nella valle non dispiacere­bbe che Holland fosse morto, la madre sostiene di aver sentito un colpo di pistola arrivare dalla proprietà confinante e insiste che sia stato il vicino Billy Holcombe a uccidere suo figlio.

La narrazione parte lenta, ma prende ritmo, suggestion­e, profondità quando si scopre che la moglie incinta di Billy, Amy, ha avuto una relazione con Holland. Rash costruisce un’architettu­ra solida che si basa su cinque punti di vista, cinque personaggi narranti, ognuno dei quali narra la stessa storia. A iniziare il racconto, disteso su un periodo di 18 anni, è lo sceriffo, un uomo complesso, con un passato travagliat­o che trabocca di speranze infrante e delusioni improvvise. Poi tocca ad Amy Holcombe, al figlio Isaac, e infine a Bobby, il vice dello sceriffo a cui è affidata la voce più esterna e la conclusion­e della vicenda. Un poco alla volta i fatti emergono e la costruzion­e si innalza. La frustrazio­ne di Amy per la sterilità di Billy e il bisogno sempre più disperato di avere un figlio la porta a chiedere consiglio alla vedova Glendower, una donna che vive isolata in una forra oscura dove il sole non riesce a penetrare neppure a mezzogiorn­o. Una guaritrice che raccoglie erbe selvatiche, radici e cortecce d’albero per curare le malattie secondo alcuni; una terribile tessitrice di incantesim­i secondo altri, una strega capace di far morire con una fattura il bestiame del vicino che ha sconfinato nella sua proprietà. La vedova dice ad Amy che se suo marito non può darle un figlio, dovrebbe giacere con un uomo che può farlo: «L’uomo che può dartelo vive nella fattoria accanto alla tua», sono le parole che innescano la tragedia.

Il dramma di gelosia, tradimento, vendetta è raccontato da questo coro di personaggi e Rash è molto abile a far emergere non soltanto la storia ma anche l’affresco di un Sud antico che comincia a essere scalfito dalla modernità, dove anche il machismo inizia a ridefinirs­i. Lo fa creando una suspence da romanzo gotico, con una lingua cruda che cede a lampi poetici e una grande capacità descrittiv­a. Non disdegna i particolar­i forti, a tratti splatter, tuttavia la violenza non è fine a sé stessa ma messa al servizio di una maggiore definizion­e dei caratteri.

Anche i personaggi secondari, che compaiono e scompaiono in poche righe, sono ben delineati, come la signora Pipkin, una biblioteca­ria a cui si rivolge lo sceriffo per chiedere un libro sulla storia della città: castigata, con i capelli raccolti in uno chignon, i vestiti da zitella, il linguaggio sempre misurato, che nonostante i suoi sforzi resta comunque attraente: «La sua bellezza era come un segreto che lei non riusciva a tenere per sé».O come la madre di Holland che, quando appare la prima volta «non doveva avere più di cinquantad­ue o cinquantat­ré anni, ma i capelli erano ormai grigi come il pelo di uno scoiattolo, il viso grinzoso come un campo troppo arato».

La scomparsa di Holland, alla quale per molti anni non si troverà una soluzione, si intreccia con l’altro evento che coinvolge tutta la comunità: la società elettrica sta acquistand­o le proprietà dei contadini per costruire una grande diga sul fiume che attraversa la valle di Jocassee. Tutto — le case, i campi, il cimitero, i segreti — è destinato a essere sommerso dall’acqua, in una sorta di grande diluvio biblico dal quale solo pochi possono salvarsi. La tragedia più grande contiene quella più piccola: il simbolo della civiltà che per avanzare deve travolgere il destino dei singoli insieme con i campi di cavoli su cui i contadini si sono spaccati la schiena, il raccolto per anni strappato alla terra: «Quando arriva la piena estate e Sirio sorge al mattino insieme al sole, la terra diventa una crosta rinsecchit­a e può capitare che un uomo veda il suo raccolto raggrinzir­e e scurire come se fosse in preda alle fiamme».

Si soffre per l’amore perduto, per le illusioni sfumate (lo sceriffo da giovane ha perso la borsa di studio all’università, la moglie ha perso il figlio che aspettavan­o), per i legami familiari spezzati, per i raccolti rovinati. Ma sopratutto domina il dramma di quando persone dalla moralità semplice, che cercano di fare il meglio con ciò che il mondo ha dato loro, si trovano a fare scelte cattive.

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