Corriere della Sera - La Lettura
I nuovi giardinieri dell’anima
Due volumi, un saggio e un romanzo, affrontano le opportunità che coltivare la terra offre per riparare le ferite La psichiatra inglese: «La mente non è un computer, si cura con il tempo». La scrittrice francese: «Le piante consolano»
Basta una piantina appoggiata sul davanzale. Innaffiarla, proteggerla, vederla crescere. E poi cambiare prospettiva, immaginare che siamo noi ad avere bisogno di cure, a chiedere di essere «riparati» da quelle foglioline che spuntano dal terriccio. Potere della natura. In una primavera che ci vede ancora segnati e prostrati dalla pandemia, due libri ci parlano dell’impatto che il giardinaggio — a tutti i livelli, non servono grandi metrature — può avere sulle anime colpite da lutti, traumi, depressione, dipendenze. Si tratta di un saggio, Coltivare il giardino della mente scritto dall’inglese Sue Stuart-Smith; e di un romanzo, I quaderni botanici di Madame Lucie, della francese Mélissa Da Costa. Niente a che vedere con i manuali di self-help, non aspettatevi facili ricette. Ma due modi, uno più scientifico e uno più letterario, per mostrare gli effetti del verde su noi umani. E aiutarci a coltivare il nostro io profondo.
Gran Bretagna, culla del gardening. Dove già i reduci della Prima guerra mondiale — tra i primi a cui fu diagnosticato il disturbo da stress post traumatico — venivano curati affidando loro pezzi di terra da coltivare. È il caso di Ted, nonno di Sue Stuart-Smith: da lui, sommergibilista devastato nel corpo e nello spirito, parte la narrazione dell’autrice, psichiatra e psicoterapeuta che con il marito Tom ha creato il celebre Barn Garden nell’Hertfordshire. E da una considerazione: «Un giardino offre uno spazio fisico protetto che aiuta ad acuire il senso dello spazio mentale e dona tranquillità, permettendo di ascoltare i propri pensieri».
Scienza e letteratura, psicoanalisi e consigli pratici, ricordi personali, ricerche sulle malattie neurologiche, casi singoli, esperienze di gruppo, poesie: in quasi 400 pagine, Sue Stuart-Smith esprime il suo infinito amore per l’orticultura. Passa dalla badessa Ildegarda di
Bingen, pioniera nel XII secolo del concetto di viriditas, il legame spirituale tra l’uomo e la terra, alle esperienze di recupero tra i migranti; dagli ottimi risultati dei programmi di ortoterapia, ai dati sconcertanti di uno studio: un bambino passa all’aria aperta meno ore settimanali di un detenuto in un carcere di massima sicurezza; dai benefici dell’esposizione alla luce, all’odore calmante della terra, dalle trincee fiorite sul fronte occidentale della Somme, agli orti cittadini che riducono la violenza di quartiere.
Sono lezioni universali, alla portata di tutti: lavorare con la natura significa immergersi nel bene; il giardinaggio aiuta l’autostima; la salute mentale va curata per tutta la vita, «come giardinieri tenaci». Senza avere fretta, senza pensare di riparare il cervello come una macchina o immaginarlo come un computer. «Una simile visione — dice l’autrice — ci porta spesso a interpretare i nostri processi mentali quasi fossero programmi, capaci di offrirci soluzioni rapide e lineari. Paragonarci alle macchine ci porta a travisare la nostra natura». Meglio coltivare il nostro io lentamente, «proprio come faremmo con un giardino». Scoperta recente: alberi e piante neurali crescono secondo le stesse leggi matematiche.
I carcerati; i giovani a rischio; gli anziani; i richiedenti asilo; i veterani di guerra; i ragazzi del vivaio di San Patrignano. Persone e fatti: Sue Stuart-Smith rivela a «la Lettura» il segreto profondo del giardinaggio: «Unisce all’esercizio fisico l’uso delle mani, ha a che fare con lo stare all’aperto, lavora simultaneamente su tanti livelli, da quello fisiologico come la pressione sanguigna, a quello spirituale ed esistenziale. Certo, correre diminuisce lo stress, ma il giardinaggio conduce alla fonte della vita e ha un significato simbolico e metaforico. E a differenza di altre attività, unisce la creatività della natura a quella dell’uomo. In più è a portata di tutti e tiene compagnia: in giardino si può essere soli, ma mai isolati».
È un passaggio fondamentale, questo, per Amande Luzin, trentenne protagonista del romanzo di Mélissa Da Costa, fenomeno francese il cui esordio, Tout le bleu du ciel, è stato tra i dieci libri più venduti nel 2020 in Francia. Amande, di Lione, ha preso in affitto una casa nelle campagne dell’Auvergne. Per nascondersi dal mondo: il marito è appena morto in un incidente stradale e per il dolore la donna ha perso la bambina che stava aspettando, «avrebbe dovuto chiamarsi Manon». Nella grande dimora dove questa ragazza-fantasma si è rifugiata, le finestre non sono mai aperte, la luce non entra. Fino a quando Amande trova le agende e i calendari della vecchia proprietaria, Madame Lucie, anche lei vedova — «aveva iniziato a stendere liste per non lasciarsi andare» —: fogli zeppi di indicazioni, promemoria, ma soprattutto appunti per la cura del giardino. Uno spiraglio si apre. Forse è arrivato il momento di indossare stivali e guanti. Amande interra il primo seme, il dolore è sempre lì, ma qualcosa si sta riparando. Fa entrare in casa un gatto grigio e rachitico. Il resto — compresa l’amicizia con Julie — arriva con il tempo. Come sempre.
«Sono convinta — racconta la scrittrice, che sta studiando i fondamenti della naturopatia — del potere benefico della natura sul corpo e sull’anima. Conosco il benessere che il giardinaggio procura, la serenità che deriva dal lavorare la terra. È un’attività contemplativa e meditativa». Che porta linfa nuova ad Amande, attore unico di questo romanzo che non ha niente di retorico o scontato, semmai di leggermente misterioso, in equilibrio tra il non detto e il suggerito, fino all’ultima pagina. «Io ho questo — dice la protagonista —: la terra, gli alberi, le piante che nascono e muoiono, ma poi rinascono ancora, ho il vento che canta e fa danzare i colori tra i rami».
Inno alla rinascita. Anche se è la stessa autrice a precisare a «la Lettura»: «Il mio è un romanzo, non pretendo di dare risposte assolute, di dire sì, si può guarire da un dolore del genere grazie alla natura. Ma allo stesso tempo penso che il verde possa calmare e consolare, rendere alcune ferite meno strazianti».
Dopo la pubblicazione del romanzo in Francia, Mélissa Da Costa ha ricevuto molte lettere: «Alcuni lettori avevano vissuto drammi simili a quelli di Amande. Mi hanno confessato che la natura li aveva aiutati a ritrovare una forma di pace, un posto nel mondo. Il verde, l’alternarsi delle stagioni, gli animali».
Nei momenti di crisi l’uomo tende a tornare alla terra, illustrano gli studiosi. «Perché conforta — riflette Sue StuartSmith —, perché unisce e crea connessioni con gli altri». Anche Amande, personaggio di fantasia ma paradigma per molti, arriva alle stesse conclusioni: «Chiudere le porte e custodire il tesoro appartiene all’inverno. La primavera è arrivata. E la prova è il messaggio scritto nero su bianco sulla parete della mia cucina: Condividi».