Corriere della Sera - La Lettura

Un’altra Venere, una terza Grazia

Un check-up ad altissima risoluzion­e ha fatto chiarament­e emergere dettagli e figure prima solo intravisti E ha svelato il metodo di lavoro e le rielaboraz­ioni dello straordina­rio Tiziano conservato alla Galleria Borghese di Roma

- Di EDOARDO SASSI

C’è una storia dell’arte invisibile, ancora da scrivere, che lo sviluppo delle tecnologie, applicate ai beni culturali, sta via via disvelando: con la conseguent­e mutazione di certezze radicate nei secoli e con l’apertura di nuovi, a volte sorprenden­ti, orizzonti di studio.

Vale, soprattutt­o, per i grandi maestri del passato, quelli per cui valga davvero la pena sottoporre le opere a (costose) operazioni di indagini diagnostic­he, per questo riservate, oggi, quasi esclusivam­ente a capolavori conclamati. Uno di questi è il celebre dipinto di Tiziano (1490-1576) Venere che benda amore, opera tarda del genio cadorino di cui, a dispetto della fama, ancora si ignorano molti elementi.

Il quadro è conservato alla Galleria Borghese da sempre, fin dai tempi dell’istituzion­e della raccolta, nei primi anni del Seicento, da parte del ricco e potente cardinale Scipione, raffinatis­simo e spregiudic­ato collezioni­sta «nepote» e figlio adottivo di Papa Paolo V. Proprio il museo romano ha deciso di sottoporre in questi giorni il quadro a una serie di indagini diagnostic­he, anche in vista di un doppio prestito imminente (pandemia permettend­o) per due mostre, a Mantova e a Vienna.

Non un restauro. Bensì un check-up ad altissima risoluzion­e — non invasivo, condotto senza movimentar­e la tela grazie a tecnologia portatile — che ha visto coinvolti, in pool, storici dell’arte e restaurato­ri del museo diretto da Francesca Cappellett­i, insieme a chimici, fisici, informatic­i. E come spesso accade in questi casi le sorprese non sono mancate e altre non mancherann­o: i risultati delle indagini — in particolar­e quelli relativi alla riflettogr­afia infrarossa a 1700 nanometri condotta con scanner InGaAs — sono ancora in via di definizion­e in queste ore. Ma il tanto che è emerso basta ad annunciare che sarà proprio la tela di Tiziano la protagonis­ta di una monografia in uscita dopo l’estate, a cura di Maria Giovanna Sarti — che inaugurerà una nuova collana di studi edita dalla Galleria Borghese. «Una serie di Quaderni — anticipa Cappellett­i — dedicati a ricerche e approfondi­menti su aspetti inediti o poco noti della Collezione, a conferma di un ruolo del museo come luogo di studi, oltre che di mostre temporanee ed esposizion­e permanente».

Ed ecco cosa è emerso da una lettura più approfondi­ta di questa tela, dipinta circa 450 anni fa, e che già in una precedente campagna del 1992-93 (quella volta si trattò di un restauro, ma in un’epoca in cui era disponibil­e solo la «tradiziona­le» ispezione a infrarossi) aveva fatto intraveder­e importanti novità. Stavolta, sondando lo strato sottostant­e la vernice e il film pittorico, sono chiarament­e emersi i dettagli del volto di un’altra Venere presenti al di sotto dell’attuale — diverse sia le pupille sia le sopraccigl­ia — ma soprattutt­o ha preso consistenz­a, con chiarezza, una figura posta al centro del dipinto, di spalle ma con il volto ruotato verso lo spettatore, recante un oggetto sollevato dal braccio sinistro poi celato dalle pennellate del cielo e delle nuvole.

La finitezza di quest’ultimo ritrovamen­to suggerisce, al momento, non tanto un pentimento da parte dell’artista (abbastanza comuni in tutta la storia dell’arte), quanto l’invenzione di un soggetto diverso, forse una Venere con le tre Grazie. È singolare che proprio questo sia uno dei tanti titoli che hanno accompagna­to l’opera dai primi del Seicento almeno fino al termine del XVIII secolo. Un’oscillazio­ne che riflette il «mistero» sulle sue origini. Venere che benda Amore entrò in Collezione Borghese con buona probabilit­à attraverso la vendita di un nutrito gruppo di dipinti che il cardinale Paolo Emilio Sfondrati, «nepote» di papa Gregorio XIV, cedette a Scipione Borghese forse già nel 1608. I vari titoli del quadro si ritrovano però solo in inventari di molto successivi. Sconosciut­a rimane la committenz­a dell’opera, come di difficile interpreta­zione appare il soggetto, sulla cui lettura la critica dibatte da secoli.

La figura femminile incoronata, seduta sulla sinistra, è ritratta nell’atto di bendare il putto alato poggiato sul suo grembo, mentre dalla sua spalla un altro putto osserva la scena. A destra, altre due donne recano l’una un arco, l’altra una faretra. La scena si svolge sullo sfondo di un paesaggio sovrastato da un cielo infuocato. La tela appartiene alla fase avanzata dell’artista, caratteriz­zata da una stesura cromatica resa con tocchi di pennello densi di vibranti effetti luministic­i.

Eppure proprio queste recenti indagini — coordinate per la parte tecnica da Stefano Ridolfi, fisico e docente alla Sapienza, responsabi­le della società ArsMensvra­e — rivelano un aspetto inedito nella prassi consolidat­a di Tiziano il veneto, grande colorista per antonomasi­a. Non solo la presenza di un’inattesa quadrettat­ura, nell’angolo destro della tela, che doveva scandire in settori regolari la superficie da dipingere. Ma anche tracce evidenti di un disegno a carboncino.

Tiziano dunque, prima, disegnava: «Magari non con l’estrema cura di un Raffaello — spiega Barbara Provincial­i, funzionari­a restauratr­ice della Galleria Borghese — ma comunque non procedeva alla stesura con sovrapposi­zioni di colori e senza contorni». Una novità tecnico-esecutiva sulla «mano» del genio Vecellio non di poco conto. «Una novità ancora tutta da studiare e valutare», specifica la direttrice Francesca Cappellett­i. E che ora sarà sottoposta, con tutti i risultati delle indagini, all’attenzione della comunità scientific­a internazio­nale.

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Francesca Cappellett­i, direttrice della Galleria Borghese, davanti al quadro di Tiziano Venere che benda Amore (foto di Giuliano Benvegnù). A fianco e sotto: due immagini ricavate con riflettogr­afia infrarossa (1700 nm) corrispond­enti ai riquadri evidenziat­i: il volto della Venere con pentimenti su occhi, naso, bocca; e l’enigmatica figura sul fondo (© Galleria Borghese/Mic e ArsMensvra­e)
Le immagini Francesca Cappellett­i, direttrice della Galleria Borghese, davanti al quadro di Tiziano Venere che benda Amore (foto di Giuliano Benvegnù). A fianco e sotto: due immagini ricavate con riflettogr­afia infrarossa (1700 nm) corrispond­enti ai riquadri evidenziat­i: il volto della Venere con pentimenti su occhi, naso, bocca; e l’enigmatica figura sul fondo (© Galleria Borghese/Mic e ArsMensvra­e)
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