Corriere della Sera - La Lettura
Cos’hanno in comune Vermeer e Magritte? Il presente èil passato
go. Le storie della storia dell’arte; una presenza fissa su Raitre nella trasmissione di Massimo Gramellini Le parole della settimana (dove mettendo insieme Chiara Ferragni e Francesco Vezzoli riesce a parlare degli «influencer nella storia dell’arte»): Jacopo Veneziani usa con successo l’idea di contaminazione per dimostrare che l’anacronismo delle immagini («Sempre, di fronte a un’immagine, ci troviamo di fronte al tempo» era l’opinione di Georges Didi-Huberman) è in realtà solo apparente. E che chi guarda ha assolutamente tutto «il diritto di vedere» nei pigmenti schizzati a distanza da Beato
Angelico sulla parete del corridoio orientale del convento di San Marco a Firenze una forma di dripping (il libero sgocciolamento dei colori sulla tela, tanto amato dalla Pop Art) quattrocentesco ante litteram, molto prima di Jackson Pollock.
Sfidando le (possibili) accuse di sacrilegio e le ombre dell’anacronismo (che lo storico francese Lucien Febvre considerava «l’intrusione di un’epoca in un’altra, un peccato capitale, un demone da esorcizzare») ma «restando ovviamente attento a non dare libero sfogo a interpretazioni soggettive deliranti», Veneziani prova a stabilire confronti inediti «per sbloccare nuovi punti di vista sull’arte di ieri e di oggi». Arrivando così a proporre gli stratagemmi adottati da Paolo Uccello nel Monumento equestre a Giovanni Acuto (1436, Firenze, Cattedrale) o nelle tre tavole della Battaglia di San Romano (1438, oggi divise tra Londra, Parigi e Firenze) per rappresentare il movimento in pittura come strumenti utili per capire il senso della Ruota di bicicletta di Marcel Duchamp recuperata nel 1913 che sarebbe diventata il primo ready-made della storia dell’arte (a rappresentarlo nel libro di Veneziani la versione del 1951 oggi conservata al MoMa di New York).