Corriere della Sera - La Lettura

Cos’hanno in comune Vermeer e Magritte? Il presente èil passato

- Di STEFANO BUCCI

go. Le storie della storia dell’arte; una presenza fissa su Raitre nella trasmissio­ne di Massimo Gramellini Le parole della settimana (dove mettendo insieme Chiara Ferragni e Francesco Vezzoli riesce a parlare degli «influencer nella storia dell’arte»): Jacopo Veneziani usa con successo l’idea di contaminaz­ione per dimostrare che l’anacronism­o delle immagini («Sempre, di fronte a un’immagine, ci troviamo di fronte al tempo» era l’opinione di Georges Didi-Huberman) è in realtà solo apparente. E che chi guarda ha assolutame­nte tutto «il diritto di vedere» nei pigmenti schizzati a distanza da Beato

Angelico sulla parete del corridoio orientale del convento di San Marco a Firenze una forma di dripping (il libero sgocciolam­ento dei colori sulla tela, tanto amato dalla Pop Art) quattrocen­tesco ante litteram, molto prima di Jackson Pollock.

Sfidando le (possibili) accuse di sacrilegio e le ombre dell’anacronism­o (che lo storico francese Lucien Febvre considerav­a «l’intrusione di un’epoca in un’altra, un peccato capitale, un demone da esorcizzar­e») ma «restando ovviamente attento a non dare libero sfogo a interpreta­zioni soggettive deliranti», Veneziani prova a stabilire confronti inediti «per sbloccare nuovi punti di vista sull’arte di ieri e di oggi». Arrivando così a proporre gli stratagemm­i adottati da Paolo Uccello nel Monumento equestre a Giovanni Acuto (1436, Firenze, Cattedrale) o nelle tre tavole della Battaglia di San Romano (1438, oggi divise tra Londra, Parigi e Firenze) per rappresent­are il movimento in pittura come strumenti utili per capire il senso della Ruota di bicicletta di Marcel Duchamp recuperata nel 1913 che sarebbe diventata il primo ready-made della storia dell’arte (a rappresent­arlo nel libro di Veneziani la versione del 1951 oggi conservata al MoMa di New York).

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