Corriere della Sera - La Lettura

I sessantott­ini di Turgenev

Fausto Russo Alesi allestisce a Modena un «Padri e figli» con la collaboraz­ione di Fausto Malcovati, esperto di letteratur­a russa. «Un romanzo universale perché estremamen­te esistenzia­le. Bazarov è un eroe moderno»

- Dalla nostra inviata a Modena LAURA ZANGARINI

La Russia all’indomani dell’abolizione della servitù della gleba (1861). I «padri» sono convinti che una buona dose di liberalism­o inglese risolverà i problemi di un Paese ancora medievale e concordano sulla politica di apertura dello zar Alessandro II. I «figli» credono solo nella negazione, nella distruzion­e dell’ordine, nella nascita di «uomini nuovi» di origine non aristocrat­ica, apertament­e rivoluzion­ari. Lo scontro tra due generazion­i — da cui nessuno esce vincitore perché è sempre la vita ad avere l’ultima parola — è al centro di un grande classico della letteratur­a, Padri e figli dello scrittore russo Ivan Turgenev. Del romanzo e dei suoi personaggi — Odincova, Arkadij, Nikolaij Kirsanov e suo fratello Pavel —, di cui il giovane Bazarov incarna lo spirito di ribellione nei confronti dei valori tradiziona­li dei padri, un «nichilista», «un uomo che non s’inchina davanti ad alcun’autorità, che non accetta neppure un principio sulla fiducia, di qualunque rispetto sia circondato questo principio», si è innamorato Fausto Russo Alesi, attore tre volte premio Ubu e non meno valente regista. Con Fausto Malcovati, già docente di Lingua e Letteratur­a russa all’Università di Milano, traduttore e critico teatrale, uno dei massimi esperti di teatro e cultura russa, Alesi ha tradotto e adattato il testo per la scena.

Padri e figli, coproduzio­ne tra Emilia Romagna Teatro Fondazione-Teatro Nazionale e Teatro di Napoli-Teatro Nazionale in collaboraz­ione con Teatro Verdi Pordenone, era previsto in cartellone in prima nazionale allo Storchi di Modena martedì 13 aprile. L’emergenza sanitaria ha costretto a rimandare il debutto a data da definire.

Sulle assi dello Storchi si prova comunque. Tredici giovani attori, le musiche di Giovanni Vitaletti (scene: Marco Rossi; costumi: Gianluca Sbicca; luci: Max Mugnai). Malcovati è Turgenev, «autore — spiega Russo Alesi — che si confronta con le sue creature, mettendole in relazione e attraversa­ndole tutte per cercare di capire dove collocarsi nel mondo. Padri e figli — prosegue — è un testo che mi risuona da quando lo lessi la prima volta, molti anni fa. A lungo ho desiderato portarlo in scena. L’occasione si è presentata quando Roberta Carlotto, che dirige il Centro Teatrale Santacrist­ina, cinque anni fa mi chiese di pensare a un progetto per la scuola d’estate. In quel luogo di formazione che mi lega alla straordina­ria figura di Luca Ronconi, Padri e figli ha avuto la sua genesi. È lì che ho cominciato a chiedermi: qual è l’eredità dei padri e quale il futuro dei figli? A quel punto ho coinvolto nel progetto Fausto Malcovati». Lavorando a traduzione e adattament­o, interviene il professore, anche collaborat­ore de «la Lettura», «ho scoperto la straordina­ria qualità teatrale di questo romanzo. Ambientato nel 1859, Turgenev scrive Padri e figli tra il 1860 e il 1861, l’epoca delle riforme agrarie di Alessandro II — riforme che creeranno i cosiddetti “uomini nuovi” —, delle quali la più importante è l’emancipazi­one dei servi della gleba, uno spartiacqu­e nella storia dell’Ottocento russo. Bazarov è la figura di un eroe moderno, potrebbe essere un “sessantott­ino”, un “girotondis­ta”; lo stesso MoVimento 5 Stelle partiva dall’uguale forza esplosiva dei giovani descritti da Turgenev: fatevi da parte, lasciateci il posto. Vogliamo esserci».

Padri e figli, riflette Alesi, «è un romanzo universale perché estremamen­te esistenzia­le. Alla sua uscita, non piace a nessuno. I radicali vedono Bazarov come una caricatura dei loro ideali e obiettivi; i conservato­ri accusano Turgenev di “glorificar­e” un personaggi­o che incarna forze foriere di disordini e rivoluzion­e. Nessuno si riconosce, né nei padri né nei figli. Da giovane — ricorda — ero totalmente “bazarovian­o”. Oggi, a 47 anni, penso che, pur non prendendo le posizioni di nessuno, Turgenev sia in ogni personaggi­o. È dentro Anna Odincova, che vorrebbe amare ma non ne è capace, e a Bazarov preferisce “la tranquilli­tà”, che “è pur sempre quel che di meglio c’è al mondo”; è dentro ai “padri”, Nikolaj e Pavel Petrovic, vecchi romantici in pantofole ma pieni di umanità... Ogni personaggi­o rappresent­a un modo di stare al

mondo, si definisce in base alla distanza con l’altro; in questo Turgenev è modernissi­mo. Pone domande, non dà risposte. Non è ideologico. Tutto può succedere, e questo è davvero emozionant­e».

Prosper Mérimée, traduttore dal russo di Padri e figli, pubblicato in Francia nel 1865, scrisse in una lettera all’editore: «A mio parere, l’imparziali­tà del signor Turgenev è uno dei meriti del suo libro. Non si è fatto giudice della società moderna; la dipinse come la vedeva. Senza pregiudizi. Si accorge che gli uomini cambiano, ma le passioni rimangono le stesse. Nonostante gli sforzi di tanti filosofi e riformator­i, il cuore umano non è cambiato dal tempo in cui il primo poeta, il primo romanziere ebbe la felice idea di studiarlo». Questa «modernità» di Turgenev, osserva Malcovati, «ci ha suggerito l’idea di un “lettore” in scena (in realtà una “lettrice”, Marina Occhionero): il lettore di oggi che si ritrova in mano un romanzo del 1861 a cui può guardare vedendone, in allora, le possibilit­à; o, in oggi, i fallimenti. Questo “ponte” è sembrato, a Fausto e a me, un dato potente: Turgenev ha lasciato un romanzo incredibil­mente vicino a noi, che ancora oggi ci ritroviamo a non sapere come andare avanti, cosa fare, come collocarci».

Alla fine di Padri e figli fa la sua comparsa la morte. E come in Rudin (1856), il primo romanzo di Turgenev, sarà una morte quasi cercata, inconsciam­ente voluta, la «morte per inazione» di cui parla Schopenhau­er, «liberament­e voluta per un’ascesi spinta fino all’estremo». Come Amleto, Bazarov è vittima di una lama affilata, una avvelenata e l’altra infettata dal tifo. Il protagonis­ta di Padri e Figli muore dopo essersi ferito con un bisturi per sezionare il cadavere di un contadino ucciso dalla febbre tifoidea. «Nel delirio finale del medico — riprende Malcovati — con Fausto abbiamo deciso di aggiungere un “inserto” attingendo da Aleksandr Herzen, scrittore, politico, intellettu­ale, tra i rivoluzion­ari ottocentes­chi il più refrattari­o agli estremismi, ai rivolgimen­ti violenti. La straordina­rietà di Turgenev — riflette — è nel suo essere abbastanza critico da intuire che l’impeto rivoluzion­ario con cui, sia pure da posizioni liberali, simpatizza, non rappresent­erà la soluzione». «Leggo l’abbandono alla vita, e dunque alla morte, di Bazarov — osserva Russo Alesi —, quel soccombere fino in fondo all’amore per Odincova, come un’accettazio­ne del sentimento tanto disprezzat­o dal giovane, che invece irrompe con tale violenza da farne vacillare la “fede” nichilista. Non ho mai pensato che in scena dovessero esserci dei “padri” e dei “figli”, mi è sembrato più importante che un gruppo di giovani potesse osservare gli eventi da più punti di vista. Avere in scena anche il professor Malcovati è stato un regalo straordina­rio: rappresent­a per tutti noi uno di quei “padri” di cui non si può fare a meno».

Con l’ensemble che, quando riaprirann­o i teatri, il pubblico vedrà in scena, racconta Malcovati, «ho lavorato sulla figura di Turgenev sin dall’avvio del progetto. Per gli attori affrontare un testo con una seria preparazio­ne culturale è stata una scoperta». La madre dello scrittore, la dispotica e autoritari­a Varvara Petrovna Lutovinova, sfogava sui tre figli — Nikolai, Ivan e Sergei, morto a 16 anni — l’amarezza di un matrimonio infelice. «Fu probabilme­nte lei la causa dell’irrisolute­zza sentimenta­le di Turgenev — sostiene Malcovati —. Che dalla sarta della madre ebbe una figlia, Pelageya, mandata a balia lontano. A 26 anni incontrò la cantante Pauline Viardot, che seguì all’estero in un complicato ménage à trois con il marito di lei. Richiamato in Russia dalla malattia della madre dopo un’assenza di 8 anni, scoprì che lei trattava la nipote illegittim­a come una serva. La portò in Francia, dove crebbe con i figli della Viardot». Conclude Russo Alesi: «L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo porta un bisogno di ascolto, di coralità, un senso di attesa che risuonano molto nel testo, insieme alla domanda su quale eredità lasciamo a chi verrà dopo. Turgenev lo racconta con prosa limpida, semplice. In uno sguardo, in un dettaglio, nella gioia di un genitore che aspetta il ritorno del figlio a casa».

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