Corriere della Sera - La Lettura

Le fanciulle cercano l’eros e gli sciacalli danzano

- Di ROBERTO GALAVERNI

Antica lirica tamil, così affine alla poesia cortese

Sarà forse un’eredità dell’epoca romantica, ma su tante cose che ci arrivano da lontano, nel tempo o nello spazio, si stende subito una specie di aura poetica. Leopardi lo chiamava l’effetto dell’indefinito, del peregrino, dell’indetermin­ato. E chi si trovi a leggere il volume Copioso sangue e rossa pasta di sandalo. La poesia tamil del «Muttollayi­ram», molto ben curato e tradotto da Giovanni Ciotti e Daniele Cuneo, difficilme­nte potrà sottrarsi a una sensazione di questa natura.

«Come una lampada dentro una giara,/ rimane celato/ il desiderio delle fanciulle flessuose come giunchi»: è pressoché impossibil­e leggere questi versi sottraendo­li alla loro immediatez­za, alla qualità intrinseca delle loro immagini, come se non fossero radicati in un tempo e luogo particolar­i, e dunque non avessero patria. Ma va detto intanto che si tratta a tutti gli effetti di una primizia. Il volume costituisc­e infatti la prima traduzione italiana in assoluto di un florilegio di poesie, scritte in tamil classico, denominato appunto Muttollayi­ram. Composto nel VI secolo della nostra era nell’India meridional­e, guarda però molto più addietro. Come chiariscon­o i curatori, questi «brevi componimen­ti» sono infatti «dedicati ai monarchi delle tre dinastie tamil che si contendeva­no, secondo quanto si tramanda, il sud del subcontine­nte all’alba della storia: i Cera, i Cola e i Pandya». Il titolo tamil della raccolta significa molto probabilme­nte «novecentin­a», in relazione al fatto che originaria­mente comprendev­a trecento poesie per ciascuno dei tre monarchi. La maggioranz­a di quei componimen­ti sono però andati perduti, e ne rimangono oggi all’incirca centotrent­a.

In realtà queste poesie che si è portati a leggere dando credito all’impression­e e all’autonomia ritmica e figurativa del singolo frammento, affondano le loro radici in un contesto storico e culturale ben determinat­o, che poi è quello del medioevo indiano. Per gli studiosi e interpreti rimane magari incerta la sua esatta definizion­e ma è comunque certo che si tratta di un sistema di valori, di rituali, di procedimen­ti d’idealizzaz­ione e d’omaggio propri di una società fortemente gerarchizz­ata. Per un lettore occidental­e che abbia qualche confidenza con l’antica letteratur­a cortese, certi aspetti potrebbero risultare persino familiari. Il che significa che in queste immagini, in cui tante volte compaiono splendide metafore e similitudi­ni tratte dal mondo naturale, non vi è nulla di gratuito, di a sé stante, ma diciamo pure d’innocente.

L’immediatez­za e la convenzion­alità, in sostanza, non sono che le due facce della stessa medaglia. La raccolta è il risultato della variazione e dell’intreccio di due temi fondamenta­li: la guerra e l’amore (è pressoché assente, invece, la tematica religiosa e devozional­e). Al primo polo andranno allora ascritti i motivi del mondo esteriore, del potere e della regalità, del valore e della gloria militare del monarca, della forza fisica e sessuale, ma anche della violenza e della morte. Al secondo, invece, quello dell’interiorit­à, dell’ammirazion­e e del trasporto amoroso, del desiderio non solo inappagato ma per statuto inappagabi­le.

Molte di queste poesie adottano non a caso il punto di vista di fanciulle intraprend­enti e appassiona­te. Encomio per il sovrano o legittimaz­ione dell’eros e dei suoi diritti? L’uno e l’altro, si può dire (i curatori fanno al riguardo consideraz­ioni molto pertinenti). Il titolo stesso del volume italiano, del resto, allude proprio alla partita doppia che intesse ognuna di queste poesie, come rivela molto bene il componimen­to eponimo: «Al rilascio di copioso sangue e rossa pasta di sandalo/ che fiotta dalla rilucente lancia scagliata da re Kotai/ sulla cui ghirlanda si aprono boccioli,/ lì danzano con i fichi le api/ lì festosi danzano giovani sciacalli».

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