Corriere della Sera - La Lettura
L’ebreo errante arriva in Giappone dove gli uomini sterminano i demoni
Il pessimismo etico di Akutagawa Ryunosuke
C’è l’orientalismo e c’è il rovescio dell’orientalismo. C’era il japonisme, l’infatuazione per un Paese più fantasticato che reale, che fecondò tanti, da van Gogh al Puccini della Madama Butterfly; e, sull’altro versante, l’emulazione dell’Occidente che animò il Giappone tra fine Ottocento e l’inizio del Novecento, letteratura compresa. E ci sono, anche, mondi intermedi dove suggestioni di tradizioni distanti si ibridano in equilibrio sul crinale tra il qui e l’altrove: i racconti di Akutagawa Ryunosuke (1892-1927) sembrano abitare proprio quel territorio, dissodato durante una vita breve, sigillata dal suicidio. Considerato uno dei maestri del Novecento del Giappone, autore tra l’altro di quel
Rashomon che nel 1950 ispirò il titolo del film di Kurosawa Akira, dà il nome a uno dei premi letterari più prestigiosi.
Akutagawa rimase fedele alla formula del racconto senza mai addentrarsi nel romanzo e l’antologia Sotto il segno del
drago (Marsilio), curata da Luisa Bienati, dà conto delle varie declinazioni. Si parte con una variazione sul tema dell’«ebreo errante», condannato a vagare senza requie per aver irriso Gesù durante la Passione. Akutagawa lo immagina imbattersi nel missionario gesuita Francesco Saverio «imbarcato a Hirado per tornare in Kyushu»: i due discorrono insieme e l’ebreo errante rivela che, essendo consapevole del proprio peccato, «in futuro solo io potrò essere salvato».
Si procede poi con una serie di apologhi, ora edificanti in senso classico (il «gran birbante» Kandata perde la possibilità di scampare all’inferno perché dimostra un egoismo più tenace della misericordia del Buddha), ora portatori di un disincanto morale radicale. Momotaro è forse un racconto esemplare. Citando, rimpastando e rovesciando una serie di leggende tradizionali, l’autore accompagna il personaggio del titolo in «uno splendido paradiso naturale» che è l’isola dei demoni: questi «vivevano nella pace più assoluta, suonando il koto, danzando nel paesaggio tropicale, recitando liriche di antichi poeti». Momotaro e gli animali suoi compagni li massacrano.
È l’uomo il demone dei demoni, quindi. E il male si nasconde dovunque, persino nella quotidiana, innocua banalità, come quella delle Storie di Yasukichi, ciclo di bozzetti su un alter ego dell’autore: anche lo scherzo crudele di un paio di ufficiali che obbligano un mendicante ad abbaiare è espressione di quella demoniaca umanità che Akutagawa sentiva e vedeva un po’ dappertutto.