Corriere della Sera - La Lettura

Un vero europeo come Carlo Magno

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Thierry Lentz: «Tra duecento anni non importerà se fosse francese o tedesco. Ma a noi connaziona­li la sua figura crea imbarazzo»

Misogino, guerrafond­aio, imperialis­ta, schiavista. Visto con certi occhi francesi contempora­nei, Napoleone commise atti imperdonab­ili, ed è per questo che il bicentenar­io della sua morte suscita imbarazzo presso le autorità che dovrebbero commemorar­lo. Il 5 maggio si avvicina, e ancora non è chiaro come l’Eliseo e le altre istituzion­i intendano ricordare l’Imperatore. Contro il vizio di giudicare i grandi del passato attraverso i valori del presente lo storico Thierry Lentz, direttore della Fondation Napoléon, ha scritto il suo quarantase­iesimo libro sull’argomento dandogli un titolo senza ambiguità: Pour Napoléon (Perrin).

Perché difendere Napoleone?

«Dobbiamo a lui quel che siamo oggi, il suo codice civile è alla base della vita quotidiana dei cittadini e fino all’ora della morte, perché Napoleone ha disciplina­to pure le succession­i. In Europa c’è una specie di fascinazio­ne per la figura storica, studiata con grande interesse dalla Russia a Napoli. In Francia, invece, c’è grande imbarazzo».

Qual è il rapporto tra Napoleone e l’Europa?

«Penso che tra duecento anni Napoleone sarà come Carlo Magno, un grande personaggi­o europeo del quale non importerà neanche più sapere se fosse francese o tedesco. Non ha voluto certo creare l’Unione europea, ma questo è normale perché un’idea simile è piuttosto recente, nasce dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Fino ad allora la storia del continente è una storia di guerre per l’egemonia europea, è stato così con Carlo V e con gli Asburgo, i Borboni, con Napoleone e poi con i tentativi tedeschi del XX secolo».

Quanto ha contato la personalit­à di Napoleone nello scatenamen­to delle guerre della sua epoca?

«Ha sicurament­e accelerato i conflitti internazio­nali, ma se guardiamo sul lungo termine Napoleone segna l’apice e la fine di un “momento francese” in Europa, che va da Luigi XIV alla sua caduta. È la fase in cui la Francia vuole essere prepondera­nte in Europa, ha l’occasione di farlo e ci prova, prima di fallire: uno spazio temporale di circa 150 anni».

Che cosa resta di quell’era?

«Per via della Rivoluzion­e francese e delle riforme politiche, istituzion­ali e civili di Napoleone, la traccia è rimasta. Bonaparte s’impone nel momento in cui il sistema feudale europeo arriva alla sua conclusion­e e c’è bisogno della scossa conclusiva per sotterrarl­o. Questo è il grande apporto di Napoleone: la fine del feudalesim­o in Europa. Lo si sente nella conservazi­one, un po’ ovunque, del suo codice civile, magari alla tedesca o all’italiana, ma è il codice napoleonic­o. Napoleone è all’origine di una sorta di “modello francese”, che significa la fine del feudalesim­o e anche una forma di rigore amministra­tivo che oggi appare scontato, ma che prima di lui non esisteva».

Napoleone razionaliz­za la gestione dello Stato...

«...Al punto che anche dopo la restaurazi­one le sue riforme restano: quando il Papa torna a Roma, decide di conservare i funzionari e le strutture francesi, perché funzionano. Lo stesso accade in Germania, in Belgio e sotto certi aspetti anche nell’Italia del Nord. Questo gli viene globalment­e riconosciu­to fuori dalla Francia. Gli spagnoli, sorprenden­temente, non lo odiano affatto e anzi si chiedono se il momento liberale legato a Napoleone non sia stato un’occasione mancata per la modernizza­zione del loro Paese. È in Francia, paradossal­mente, che gestire la memoria di Napoleone diventa complicato».

Da che cosa dipende quest’imbarazzo?

«Dal fatto che da una cinquantin­a d’anni la Francia è impegnata in una messa in discussion­e totale della sua storia, lo sport nazionale è diventato l’autocritic­a, perdendo di vista il necessario equilibrio. Per esempio, prima del celebre libro su Vichy dello storico americano Robert Paxton, amavamo pensare che durante l’occupazion­e nazista fossimo stati tutti partigiani, poi siamo diventati tutti collaboraz­ionisti. Adesso lo stesso atteggiame­nto eccessivo viene applicato a Napoleone».

«Sì, troppa ideologia e poca conoscenza storica. Qualche giorno fa ho sentito persino una deputata della sinistra radicale, Clémentine Autain, accusare Napoleone di antisemiti­smo, cosa che è una totale sciocchezz­a. Ma così si cerca di fare dimenticar­e le compromiss­ioni della propria parte politica con gli islamisti. Prima o poi daranno a Napoleone anche dell’omofobo, quando invece era totalmente disinteres­sato alla questione. Cambacérès, determinan­te per il codice civile, era omosessual­e come molti altri stretti collaborat­ori di Napoleone, e questo non è mai stato un problema».

Troppa ideologia?

In questi mesi in cui si buttano giù le statue è tornato in primo piano il fatto che Napoleone ripristinò la schiavitù.

«È vero, dopo l’abolizione rivoluzion­aria, ristabilì la legislazio­ne dell’Ancien Régime e quindi il “codice nero”, e lasciò massacrare gli insorti in Guadalupa e Santo Domingo. Ma trovo sbagliato giudicare una grande figura storica di 200 anni fa alla luce dei valori contempora­nei e soprattutt­o ridurla a questo. È come dire che François Mitterrand non è stato nient’altro che le esecuzioni capitali in Algeria o che tutto Charles de Gaulle si riassume nell’abbandono degli arabi che avevano combattuto per la Francia nella stessa guerra coloniale algerina. Lo stesso Napoleone a Sant’Elena riconobbe che il ripristino della schiavitù era stato un errore, che aveva dato troppo ascolto ai mercanti delle colonie e avrebbe dovuto negoziare con il generale nero Toussaint Louverture».

E poi c’è la questione della condizione della donna.

«Ma anche questa è un’assurdità, non si possono imputare a Napoleone costumi propri della sua epoca. La coscienza femminista esiste oggi, non c’era oltre due secoli fa. Si dibatteva di dare più libertà alla donna, ma era impensabil­e la parità come la concepiamo oggi».

Napoleone è stato influenzat­o da Machiavell­i?

«Moltissimo, diceva che il Principe fosse l’unico libro obbligator­io. In realtà ne lesse moltissimi altri, ma a Machiavell­i si deve la sua idea che il capo deve essere freddo, razionale. Napoleone è stato espression­e dell’età dei Lumi. Voleva incidere sulla realtà, agire, fare le cose, con una convinzion­e senza confini. Compie il massacro di Giaffa (3 mila prigionier­i uccisi nella campagna d’Egitto, ndr) per mostrare quanto può essere violento, in modo da non esserlo più».

 ??  ?? Lo studioso francese Thierry Lentz (Metz, 1959) dirige dal 2000 la Fondation Napoléon. Delle sue decine di libri in Italia è uscito Velázquez: i chiodi della Passione. Uno storico al Prado (Salerno, 2019). Tra i suoi titoli più recenti Bonaparte n’est plus! (2019) e Napoléon. Dictionnai­re historique (2020), editi da Perrin. Di quest’anno, per lo stesso editore, Pour Napoléon (pp. 200, 15)
Lo studioso francese Thierry Lentz (Metz, 1959) dirige dal 2000 la Fondation Napoléon. Delle sue decine di libri in Italia è uscito Velázquez: i chiodi della Passione. Uno storico al Prado (Salerno, 2019). Tra i suoi titoli più recenti Bonaparte n’est plus! (2019) e Napoléon. Dictionnai­re historique (2020), editi da Perrin. Di quest’anno, per lo stesso editore, Pour Napoléon (pp. 200, 15)

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