Corriere della Sera - La Lettura
Un vero europeo come Carlo Magno
Thierry Lentz: «Tra duecento anni non importerà se fosse francese o tedesco. Ma a noi connazionali la sua figura crea imbarazzo»
Misogino, guerrafondaio, imperialista, schiavista. Visto con certi occhi francesi contemporanei, Napoleone commise atti imperdonabili, ed è per questo che il bicentenario della sua morte suscita imbarazzo presso le autorità che dovrebbero commemorarlo. Il 5 maggio si avvicina, e ancora non è chiaro come l’Eliseo e le altre istituzioni intendano ricordare l’Imperatore. Contro il vizio di giudicare i grandi del passato attraverso i valori del presente lo storico Thierry Lentz, direttore della Fondation Napoléon, ha scritto il suo quarantaseiesimo libro sull’argomento dandogli un titolo senza ambiguità: Pour Napoléon (Perrin).
Perché difendere Napoleone?
«Dobbiamo a lui quel che siamo oggi, il suo codice civile è alla base della vita quotidiana dei cittadini e fino all’ora della morte, perché Napoleone ha disciplinato pure le successioni. In Europa c’è una specie di fascinazione per la figura storica, studiata con grande interesse dalla Russia a Napoli. In Francia, invece, c’è grande imbarazzo».
Qual è il rapporto tra Napoleone e l’Europa?
«Penso che tra duecento anni Napoleone sarà come Carlo Magno, un grande personaggio europeo del quale non importerà neanche più sapere se fosse francese o tedesco. Non ha voluto certo creare l’Unione europea, ma questo è normale perché un’idea simile è piuttosto recente, nasce dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Fino ad allora la storia del continente è una storia di guerre per l’egemonia europea, è stato così con Carlo V e con gli Asburgo, i Borboni, con Napoleone e poi con i tentativi tedeschi del XX secolo».
Quanto ha contato la personalità di Napoleone nello scatenamento delle guerre della sua epoca?
«Ha sicuramente accelerato i conflitti internazionali, ma se guardiamo sul lungo termine Napoleone segna l’apice e la fine di un “momento francese” in Europa, che va da Luigi XIV alla sua caduta. È la fase in cui la Francia vuole essere preponderante in Europa, ha l’occasione di farlo e ci prova, prima di fallire: uno spazio temporale di circa 150 anni».
Che cosa resta di quell’era?
«Per via della Rivoluzione francese e delle riforme politiche, istituzionali e civili di Napoleone, la traccia è rimasta. Bonaparte s’impone nel momento in cui il sistema feudale europeo arriva alla sua conclusione e c’è bisogno della scossa conclusiva per sotterrarlo. Questo è il grande apporto di Napoleone: la fine del feudalesimo in Europa. Lo si sente nella conservazione, un po’ ovunque, del suo codice civile, magari alla tedesca o all’italiana, ma è il codice napoleonico. Napoleone è all’origine di una sorta di “modello francese”, che significa la fine del feudalesimo e anche una forma di rigore amministrativo che oggi appare scontato, ma che prima di lui non esisteva».
Napoleone razionalizza la gestione dello Stato...
«...Al punto che anche dopo la restaurazione le sue riforme restano: quando il Papa torna a Roma, decide di conservare i funzionari e le strutture francesi, perché funzionano. Lo stesso accade in Germania, in Belgio e sotto certi aspetti anche nell’Italia del Nord. Questo gli viene globalmente riconosciuto fuori dalla Francia. Gli spagnoli, sorprendentemente, non lo odiano affatto e anzi si chiedono se il momento liberale legato a Napoleone non sia stato un’occasione mancata per la modernizzazione del loro Paese. È in Francia, paradossalmente, che gestire la memoria di Napoleone diventa complicato».
Da che cosa dipende quest’imbarazzo?
«Dal fatto che da una cinquantina d’anni la Francia è impegnata in una messa in discussione totale della sua storia, lo sport nazionale è diventato l’autocritica, perdendo di vista il necessario equilibrio. Per esempio, prima del celebre libro su Vichy dello storico americano Robert Paxton, amavamo pensare che durante l’occupazione nazista fossimo stati tutti partigiani, poi siamo diventati tutti collaborazionisti. Adesso lo stesso atteggiamento eccessivo viene applicato a Napoleone».
«Sì, troppa ideologia e poca conoscenza storica. Qualche giorno fa ho sentito persino una deputata della sinistra radicale, Clémentine Autain, accusare Napoleone di antisemitismo, cosa che è una totale sciocchezza. Ma così si cerca di fare dimenticare le compromissioni della propria parte politica con gli islamisti. Prima o poi daranno a Napoleone anche dell’omofobo, quando invece era totalmente disinteressato alla questione. Cambacérès, determinante per il codice civile, era omosessuale come molti altri stretti collaboratori di Napoleone, e questo non è mai stato un problema».
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Troppa ideologia?
In questi mesi in cui si buttano giù le statue è tornato in primo piano il fatto che Napoleone ripristinò la schiavitù.
«È vero, dopo l’abolizione rivoluzionaria, ristabilì la legislazione dell’Ancien Régime e quindi il “codice nero”, e lasciò massacrare gli insorti in Guadalupa e Santo Domingo. Ma trovo sbagliato giudicare una grande figura storica di 200 anni fa alla luce dei valori contemporanei e soprattutto ridurla a questo. È come dire che François Mitterrand non è stato nient’altro che le esecuzioni capitali in Algeria o che tutto Charles de Gaulle si riassume nell’abbandono degli arabi che avevano combattuto per la Francia nella stessa guerra coloniale algerina. Lo stesso Napoleone a Sant’Elena riconobbe che il ripristino della schiavitù era stato un errore, che aveva dato troppo ascolto ai mercanti delle colonie e avrebbe dovuto negoziare con il generale nero Toussaint Louverture».
E poi c’è la questione della condizione della donna.
«Ma anche questa è un’assurdità, non si possono imputare a Napoleone costumi propri della sua epoca. La coscienza femminista esiste oggi, non c’era oltre due secoli fa. Si dibatteva di dare più libertà alla donna, ma era impensabile la parità come la concepiamo oggi».
Napoleone è stato influenzato da Machiavelli?
«Moltissimo, diceva che il Principe fosse l’unico libro obbligatorio. In realtà ne lesse moltissimi altri, ma a Machiavelli si deve la sua idea che il capo deve essere freddo, razionale. Napoleone è stato espressione dell’età dei Lumi. Voleva incidere sulla realtà, agire, fare le cose, con una convinzione senza confini. Compie il massacro di Giaffa (3 mila prigionieri uccisi nella campagna d’Egitto, ndr) per mostrare quanto può essere violento, in modo da non esserlo più».