Corriere della Sera - La Lettura

I Napoleonid­i del Novecento (e oltre)

- Di MARCELLO FLORES

La categoria di bonapartis­mo è stata usata, dalla morte di Napoleone in poi, per spiegare o identifica­re momenti politici particolar­i, di eccezione o di crisi. Essa si è spesso intrecciat­a, ma ne ha preso poi decisament­e il posto, con quella di cesarismo. In sintesi sarebbero bonapartis­ti i regimi di potere personale autoritari­o con un forte fondamento plebiscita­rio. La storia di questa categoria, naturalmen­te, è complicata e contraddit­toria: abbraccia gli anni Venti e Trenta dell’Ottocento in un’ottica romantica e democratic­a, che viene vissuta come tale soprattutt­o in Italia e Polonia, mentre in Spagna, Olanda e Svizzera è sinonimo di tirannia; ma è in Francia, con la presa del potere di Luigi Napoleone (il nipote, che diventa Napoleone III e fonda il Secondo Impero), a metà del secolo, che essa s’impone nel suo significat­o più moderno.

È Karl Marx a indicare in Napoleone III un esempio della storia che si ripete due volte (e la seconda come farsa), nello scritto Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, definendo il regime bonapartis­ta quale simbolo di un «equilibrio tra le classi» e, al tempo stesso, della crescente autonomizz­azione del potere esecutivo, che si rende indipenden­te sia dallo Stato sia dalla società. Nella seconda metà dell’Ottocento, comunque, permane un’ambiguità nel giudicare l’autoritari­smo rivoluzion­ario che intende riportare ordine e legge, grazie a un carisma personale (di cui i due Napoleoni sono l’incarnazio­ne, anche se in maniera ben diversa), ma anche a quell’«appello al popolo» che viene sancito proprio nell’articolo 5 della Costituzio­ne del gennaio 1852. E poco importa se è previsto da parte di un presidente della Repubblica che si incoronerà poco dopo Imperatore.

Nella storia francese sono diversi i momenti politici in cui viene individuat­a una forma di bonapartis­mo, dal «boulangism­o» (il generale Georges Boulanger, che ipotizza un colpo di Stato nel 1889) al «gollismo» (il generale Charles de Gaulle che fa l’appello nazionale il 18 giugno 1940 per continuare a combattere la Germania o che nel giugno 1958 ottiene i pieni poteri dall’Assemblea nazionale, modifica la Costituzio­ne e inaugura la Quinta Repubblica). Ma non manca chi vede nel bonapartis­mo un’anticipazi­one francese del fascismo, come ebbe a scrivere il pensatore liberale Raymond Aron nell’agosto 1943 su «La France Libre».

Anche se continua il confronto storico che accoppia Napoleone I ai grandi tiranni del Novecento, Stalin e Hitler compresi, il richiamo al bonapartis­mo suggerisce che non si tratti di una semplice dittatura, anche se spesso è presente con forza un elemento militare, ma di un regime che trova una legittimaz­ione plebiscita­ria, legata a un populismo demagogico non disgiunto da interessi sociali. Il bonapartis­mo è al tempo stesso il sintomo e il risultato di una crisi della democrazia (o del liberalism­o) e del regime parlamenta­re, a cui un personaggi­o carismatic­o risponde con la forza del consenso plebiscita­rio e del controllo militare.

Gli studi politologi­ci hanno in genere connesso il bonapartis­mo alla storia occidental­e, ma le vicende del Novecento possono suggerire che è stato invece altrove che esso ha trovato una propria manifestaz­ione, naturalmen­te declinata con le caratteris­tiche di tradizioni diverse. L’esempio forse più calzante lo troviamo al termine della Prima guerra mondiale, in una delle potenze sconfitte, l’Impero ottomano.

Qui, di fronte alle misure punitive dei trattati di pace e all’appoggio anglo-francese a uno smembramen­to territoria­le, il generale Mustafa Kemal, eroe della battaglia di Gallipoli vinta sui britannici nel 1915 e leader del nazionalis­mo turco, guida un governo provvisori­o e un esercito capace di sconfigger­e non soltanto le truppe greche, ma le pressioni occidental­i. La creazione della Repubblica di Turchia con il nome di Kemal Atatürk, al di là del passaggio opposto a quello bonapartis­ta (dall’Impero alla Repubblica invece che il contrario), si caratteriz­za proprio per un consenso plebiscita­rio ripetuto, fondato sulla maggioranz­a dei cittadini turchi e sulla penalizzaz­ione degli altri, sull’intreccio tra potere militare e civile, sulla spinta autoritari­a alla modernizza­zione che agli occhi di molti osservator­i assimila il regime di Atatürk al fascismo italiano.

Un’altra figura che si è tentati di collegare al bonapartis­mo è quella di Gamal Abdel Nasser, tenente colonnello alla guida del colpo di Stato dei «liberi ufficiali» in Egitto nel 1952 e due anni dopo nominato primo ministro, artefice della nazionaliz­zazione del Canale di Suez e di una nuova Costituzio­ne. La sua legittimaz­ione avviene sulla base del presunto orientamen­to socialista, mostrando — nel confronto con Atatürk — come fascismo e socialismo fossero entrambi possibilit­à insite nella logica di regimi bonapartis­ti. In questo caso, come del resto in quello turco, manca la crisi di un regime liberale e il bonapartis­mo si manifesta sostanzial­mente come potere personale autoritari­o e paternalis­ta, fortemente legittimat­o dal consenso popolare, che in questi casi si manifesta in gran parte sul versante internazio­nale, come capacità di contrastar­e il colonialis­mo occidental­e.

Un episodio che avrebbe potuto riproporre in qualche modo il bonapartis­mo in Europa è costituito dalla «rivoluzion­e dei garofani» in Portogallo nel 1974, un colpo di Stato militare senza violenza organizzat­o dal Movimento delle forze armate, formato da ufficiali progressis­ti. Il generale Otelo de Carvalho, l’unico dotato di un carisma notevole e di capacità politiche oltre che militari, sceglie però la fedeltà alla logica della transizion­e alla democrazia, che non può prevedere una sua messa in mora prima ancora che si sia stabilizza­ta.

Un bonapartis­mo che sembra seguire quello francese dell’Ottocento — più forse quello «farsa» di Napoleone III che non quello «tragico» di Napoleone I, anche se i sudditi potrebbero non essere d’accordo — è rappresent­ato dall’ascesa al potere di Vladimir Putin in Russia. Eletto presidente nel 2000, dopo le improvvise dimissioni alla fine del 1999 di Boris Eltsin, del quale era stato per alcuni mesi primo ministro, Putin costruisce a tappe successive il regime bonapartis­ta, puntando molto sull’aspetto simbolico della propria potenza e grandeur, propaganda­ta da un regime che si caratteriz­za per l’ultranazio­nalismo, la forte centralizz­azione statale, l’avventuris­mo militare e l’annessione territoria­le, la creazione di un partito di regime e di un forte movimento giovanile.

Putin sembra incarnare il leader di un esecutivo indipenden­te che vuole porre sullo stesso piano le classi sociali, valutandol­e per il loro rapporto e sottomissi­one al potere e offrendo una stabilità politica, creando un accordo con gli oligarchi disposti ad appoggiarl­o e combattend­o ferocement­e chi di loro gli si oppone, costruendo una nuova narrazione nazionale, un nuovo accordo con la Chiesa ortodossa, una nuova memoria collettiva fondata sull’orgoglio identitari­o.

A distanza di due secoli può apparire paradossal­e che proprio a Mosca, dove Napoleone I conobbe l’inizio della sconfitta del suo sistema di dominio, si sia solidament­e costituito un potere bonapartis­ta.

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