Corriere della Sera - La Lettura

Poteri accentrati e plebiscita­ri Il bonapartis­mo tra Cesare e Perón

L’eredità amministra­tiva (i prefetti) e legislativ­a (il codice) di un’esperienza storica

- Di SABINO CASSESE

La leggenda napoleonic­a continua con il bonapartis­mo. C’è un mito e persino un culto di Napoleone Bonaparte. L’Imperatore è stato osannato nell’iconografi­a (penso a un famoso dipinto dell’artista Jacques-Louis David) e ammirato da grandi scrittori (Honoré de Balzac, Johann Wolfgang Goethe, Alessandro Manzoni), da musicisti (Ludwig van Beethoven, che gli dedicò inizialmen­te la sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55, detta l’Eroica), da filosofi (come Georg Wilhelm Friedrich Hegel). Ma Napoleone Bonaparte continua a vivere in particolar­e con il bonapartis­mo, parte essenziale della sua eredità.

Ma che cosa è il bonapartis­mo, e in che cosa consiste? Esso è realtà storica, prassi di governo inaugurata da Bonaparte, ed è anche nozione teorica, modello, ideal-tipo, sviluppato proprio su quella prassi di governo.

Come prassi di governo, consiste di molte idee fondanti. Innanzitut­to, di una intelligen­te salvaguard­ia del passato. Il bonapartis­mo come realtà storica consiste nella preservazi­one dei principi della Rivoluzion­e francese, a partire da quello di eguaglianz­a dei cittadini davanti alla legge. Ma — come noterà scrivendo dopo la Restaurazi­one il pensatore liberale Alexis de Tocquevill­e — il bonapartis­mo ha riutilizza­to anche elementi propri dell’Ancien Régime, come l’istituto dell’intendente, che avrà nuova vita grazie a Bonaparte, che lo farà diventare il prefetto.

Seconda componente del bonapartis­mo è la preminenza dell’esecutivo, con un capo dello Stato legittimat­o dal voto popolare e assistito da un’élite fondata sul merito, posta al vertice di un’amministra­zione centralizz­ata e governata da regole uniformi che ne garantisca­no l’unità.

Al vertice, come osservato dallo storico di Friburgo Wolfgang Reinhard (Storia del potere politico in Europa, a cura di Edoardo Tortarolo, traduzione di Cristina Caiano, il Mulino, 2001, pp. 501-502), vi fu un crescente aumento del potere del capo dello Stato, a danno del legislativ­o. L’Imperatore governò con decreti, affiancato da un Senato con membri a vita, ma principalm­ente da un Consiglio di Stato, ispirato dal «Consiglio del Re» preesisten­te, e composto di esperti giuristi. Il potere esecutivo di Napoleone era amplissimo, anche perché nominava i funzionari e i giudici fino al livello più basso.

Uno dei più acuti studiosi della storia amministra­tiva francese, Pierre Legendre (la sua principale opera storica è stata tradotta da Marina Gigante e Marcello Romei con il titolo Stato e società in Francia. Dallo Stato pa

terno allo Stato provvidenz­a: storia dell’amministra­zione dal 1750 ai nostri giorni, Edizioni di Comunità, 1978), ha osservato che, con Bonaparte, centralizz­azione politica, prepondera­nza della capitale e rigida concentraz­ione dell’autorità vanno di pari passo. Scomparsi gli organi elettivi, viene istituito il prefetto, vero delegato dell’Imperatore in ciascun dipartimen­to, incaricato essenzialm­ente dell’attività esecutiva. Jean-Antoine Chaptal, un chimico, ministro di Napoleone durante il Consolato, e poi senatore, scrisse che il prefetto serve alla trasmissio­ne della legge e degli ordini del governo fino alle ultime ramificazi­oni dell’ordine sociale «con la rapidità della corrente elettrica».

Bonaparte disegna la prima amministra­zione uniforme (la sua aspirazion­e è assicurare uniformité d’action), unitaria, accentrata, nella quale il governo della periferia è affidata a un solo uomo: il prefetto, nominato e revocato dall’Imperatore, nomina gli amministra­tori di grado inferiore e controlla i comuni.

Il conte Emmanuel de Las Cases, che fu vicino a Napoleone nell’esilio di Sant’Elena e ne raccolse il messaggio, ha scritto nel famoso Memorial de Saint-Héléne: «I prefetti, con tutta l’autorità e le risorse locali di cui disponevan­o — diceva l’Imperatore — erano essi stessi piccoli imperatori». L’altra grande «invenzione» di Bonaparte è la codificazi­one. Napoleone non voleva solo un’organizzaz­ione amministra­tiva razionale e uniforme, ma anche l’unificazio­ne e un corpo unitario di leggi civili. Bonaparte temeva il caos nell’applicazio­ne del diritto, prodotto dalla molteplici­tà di leggi contraddit­torie e dalla difficoltà di sfuggire all’arbitrio dei giudici chiamati ad applicarle.

Las Cases ha lasciato scritto che Bonaparte aveva cominciato pensando di «ridurre le leggi a semplici dimostrazi­oni di geometria». Convintosi dell’impossibil­ità di ciò, non voleva avere «altre leggi che quelle scritte in un solo codice». Ne affidò il compito al Consiglio di Stato, le cui sedute presiedett­e, per assicurars­i che venisse prodotto il codice che porta ora il suo nome e che costituisc­e ancora oggi un modello di codificazi­one del diritto nel mondo.

Il bonapartis­mo ha una sua storia in Francia. Ad esempio, l’accentrame­nto statale e il suo ordinament­o uniforme, con il tempo, sono andati adattandos­i anche a un maggiore riconoscim­ento delle collettivi­tà locali e più tardi persino all’introduzio­ne delle regioni.

Il bonapartis­mo, fenomeno tipicament­e francese, è peraltro diventato un punto di riferiment­o, modello o tendenza di carattere generale di tutti i Paesi nei quali si è affermato un esecutivo forte e si è sviluppato sia in contesti propri della sinistra, sia in contesti opposti,

mantenendo però al suo centro l’idea di un capo di Stato con investitur­a popolare plebiscita­ria e del riconoscim­ento del principio di eguaglianz­a dei cittadini davanti alla legge.

Il bonapartis­mo s’è anche sviluppato in una accezione negativa, specialmen­te dopo gli esperiment­i autoritari del Novecento, quali il nazismo e il fascismo, come esempio di un esecutivo forte fino a diventare autoritari­o.

In questo senso, nella sua essenza di potere concentrat­o e accentrato, il bonapartis­mo viene spesso indicato come una variante del cesarismo e, a sua volta, ha subito altre varianti come il gollismo e il peronismo argentino, perché in molti Paesi riaffioran­o periodicam­ente tentazioni bonapartis­te, nel senso di esecutivi forti, anche se non autoritari né totalitari.

Infine, fa parte della storia del bonapartis­mo anche l’uso che se ne è fatto proprio dai regimi autoritari e da parte di quelli totalitari, che si sono valsi di istituti propri del bonapartis­mo manipoland­oli e modellando­li in funzione della limitazion­e delle libertà dei cittadini (un esempio è costituito dall’uso dei prefetti durante il fascismo in Italia).

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