Corriere della Sera - La Lettura
La reinvenzione dell’Egitto
Nel 1798 il condottiero corso avvia una spedizione sul Nilo che fallirà sul piano militare ma porterà all’attenzione del mondo un’intera civiltà antica, grazie anche alla famosa «stele di Rosetta»
Nel 1798 Napoleone organizzò una spedizione militare in Egitto, con un’armata di oltre 36 mila uomini, per porre un freno all’influenza inglese nel Mediterraneo. Con lui partì anche un drappello di 167 savants, scienziati, artisti e studiosi di tutte le discipline, con il compito di documentare tutto ciò che di notevole avessero incontrato durante le soste tra un combattimento e l’altro. Tra i membri di questa Commission des Sciences et des Arts non c’erano egittologi, per la semplice ragione che l’egittologia non era ancora nata.
Tra immani fatiche e disagi, vestiti di pesanti uniformi di lana sotto il caldo africano, tra fucilate e colpi di cannone, sopportando numerose malattie e con pochi strumenti a disposizione, questi dall’età media di 25 anni, riprodussero centinaia di oggetti e di monumenti con la precisione dei matematici e degli ingegneri. I loro appunti confluirono in un monumentale «inventario dell’Egitto», la Description de l’Égypte, il cui primo volume, pubblicato nel 1809, fece scoppiare in Europa un’egittomania duratura.
Primo esploratore dell’Alto Egitto fu il diplomatico, artista e uomo di cultura Dominique Vivant Denon, al seguito del generale Desaix che inseguiva il capo mamelucco Murad Bey. Durante le brevi soste dell’armata, Denon disegnava febbrilmente: «Matita alla mano, passavo d’oggetto in oggetto: distratto dall’uno per l’interesse dell’altro, sempre attirato, sempre conteso, mi mancavano occhi, mani e una mente abbastanza grande... Avevo vergogna dei disegni insufficienti che facevo di cose così sublimi».
Intanto, verso la metà di luglio 1799, il giovane ufficiale Bouchard scopriva, durante i lavori a un forte presso Rosetta, un blocco in granito coperto dai segni di tre scritture diverse: in alto c’era il geroglifico, in basso il greco, mentre l’iscrizione centrale era il demotico di cui parla Erodoto, una scrittura corsiva diffusasi nel VII secolo a.C. La «stele di Rosetta», la scoperta più celebre della spedizione, fu decifrata nel 1822 dallo storico e linguista Jean-François Champollion: fu l’inizio di una più approfondita comprensione della civiltà egizia. Nel 2020, il ritrovamento nella British Library di Londra degli apstudiosi, punti del medico Thomas Young, con i tentativi di decifrare la stele con metodi matematici, hanno rivelato che anche in questo caso la competizione anglo-francese fu all’ultimo sangue.
Nel 1801 le forze francesi in Egitto, abbandonate da Napoleone, dovettero arrendersi. I britannici si fecero consegnare le antichità raccolte, inclusa la stele di Rosetta, che infatti oggi si trova al British Museum e non al Louvre. Gli inglesi non riuscirono però a mettere le mani sulle annotazioni, che confluirono nella Description. Seguì la cosiddetta «Epoca dei Consoli», cioè dei diplomatici europei, che, presi da un’ossessione per le antichità egiziane, si dedicarono in modo competitivo alla ricerca di pezzi da vendere al mercato antiquario. Tra loro c’era anche il torinese Bernardino Drovetti, che raccolse più di 5.000 antichità e convinse il re Carlo Felice di Savoia a comprarle per 400 mila lire, facendo di Torino la capitale dell’egittologia internazionale.
I disegni e gli appunti della Description restano di fondamentale importanza per la modernità e il rigore scientifico delle rilevazioni, e sono tuttora utilizzati dagli egittologi. A volte costituiscono l’unico appiglio per studiare monumenti nel frattempo distrutti, come il mammisi («cappella della natività») costruito ad Armant da Cleopatra per la nascita del figlio Cesarione, smantellato nel 1860 per costruire uno zuccherificio, o la cappella di Amenhotep III a Elefantina, distrutta nel 1822 per dare alloggio ai soldati di Mohammed Ali. Nella Description si avverte l’influenza che aveva sui savants la formazione classica basata sullo studio dell’arte greca e romana, che li portava a provare sentimenti contraddittori verso i monumenti visitati, espressione di un’arte e di un gusto «diversi». Édouard de Villiers riferisce che la «lotta tra la bellezza reale dell’architettura, che avevamo sotto gli occhi, e i nostri pregiudizi a favore delle proporzioni e delle forme greche, ci tenne qualche tempo in sospeso: ma quasi subito fummo presi da un movimento unanime di ammirazione».
Dal 1972 non è più possibile esportare manufatti dall’Egitto, anche se purtroppo questo talvolta avviene illegalmente. Oggi lo Stato egiziano rivendica orgogliosamente il passato: l’apertura del gigantesco National Museum of Egyptian Civilization al Cairo e l’incredibile cerimonia di traslazione delle mummie dei faraoni a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi dimostrano quanto l’antichità sia ancora un oggetto politico. Il legittimo slancio alla decolonizzazione, però, non può offuscare il sentimento di curiosità e ammirazione per l’Egitto che traspare nell’opera dei giovani savants, testimoni consapevoli di una scoperta epocale.