Corriere della Sera - La Lettura
Per la poesia e per l’Europa Vita di un umile egocentrico
La biografia Cristina Battocletti attraverso oltre 300 voci ha ricostruito il percorso (opera lirica compresa) di Strehler, artista internazionale che nacque a Trieste, rese grande Milano e morì a Lugano
Triestino, madre slovena, padre tedesco, nonni franco-balcanici, partigiano, laico, illuminista, rinnovatore della drammaturgia goldoniana, interprete brechtiano per eccellenza, grande esegeta cechoviano, Giorgio Strehler fu uomo di grandi passioni. Anche musicista, la madre era una violinista impegnata in concerti in tutta Europa, fu un innovatore e riconosciutissimo regista d’opera, dal Don Giovanni al Così fan tutte, che non vide mai andare in scena nella nuova sede del Piccolo Teatro di Milano, oggi intitolata alla sua memoria.
Ostacolato dalla giunta leghista di Palazzo Marino si era, come diceva, «dimesso» da italiano, ed era andato a vivere a Lugano, ma prima, nel 1968, sull’onda della contestazione si era già «dimesso», quella volta dal Piccolo. Fu, come disse, uno choc salutare, «una terribile lezione: scoprirsi una mattina di destra, di essere di retroguardia per tanti, mentre la sera prima ti sentivi di sinistra e all’avanguardia». Ritornò al Piccolo quattro anni dopo e vi rimase fino al giorno della sua morte, avvenuta in Svizzera il 25 dicembre 1997.
Ora una biografia di Cristina Battocletti, giornalista e scrittrice, ripercorre la vita e l’arte di questo genio del teatro. Giorgio Strehler. Il ragazzo di Trieste. Vita, morte e miracoli, con 24 pagine di racconto fotografico (La nave di Teseo), è una biografia scritta con lievità, ponderosa, ben informata, supportata da quelle che potremmo chiamare le voci del tempo, testimonianze, interviste di tutti quelli che sono stati vicini in ogni senso al regista. Gli «attori», partecipi di questo viaggio con il Maestro, sono più di trecento: amici, collaboratori, giornalisti, direttori d’orchestra e molti altri, voci della storia e della cronaca per cercare di leggere nella vita i segni dell’arte e nell’arte quelli della vita, suddivisa in sette parti, ognuna delle quali divisa in cinque atti — e quelli di Strehler non potevano che essere atti di una straordinaria commedia della vita — da Le origini a La fine con intervalli e partendo a ritroso dall’ouverture È morto un re.
L’autrice puntualizza come il peso di Giorgio Strehler si intuisca anche dallo spazio che prende «il dibattito sulla sua figura, tra verità, opinioni e pettegolezzi di bassa lega». Lo sfoglio dei giornali è impressionante, pagine e pagine dedicate al Maestro, come il tempo che gli riservano le emittenti radiofoniche e le televisioni. Sì, partendo proprio dalla sua morte, quando la stampa di tutto il mondo ne diede notizia. In Italia, prosegue Battocletti, «è una sequela di cronaca minuta dei fatti ultimi, di ricostruzioni della carriera, di interviste ad amici e colleghi,di analisi politiche e culturali. Chi l’aveva odiato fino a un minuto prima depone l’ascia e ne tesse le lodi. Per tutti i veri estimatori valga il commento di Giovanni Raboni, che lo chiama “eroe dell’arte teatrale”. Strehler, scrive il poeta sul “Corriere della Sera”, incarna l’artista che lotta accanitamente e drammaticamente per la sopravvivenza, i cui veri giudici sono i posteri. Questo grande egocentrico, quest’uomo affascinante e irritante che dava tanto spesso l’impressione di parlare di sé, è stato in realtà un grande, grandissimo altruista, il più fedele, persino il più umile servitore di quell’entità misteriosamente anonima e universale, di quel bene senza proprietari che lui chiamava — con insistenza che colpiva — la poesia».
Raboni parla del suo teatro come di una «magia laica, alla cui radice sta una formidabile, multiforme, inesauribile capacità d’amore. L’amare nello stesso tempo, e con la stessa forza, Goldoni e Brecht, Shakespeare e Cechov, e trovare per ciascuno di loro il suono giusto, il giusto ritmo, è già la prova di una disponibilità, di una capacità di comprensione quasi sovrumane», parole che Battocletti riporta e che segnano, con la forza di un poeta come Raboni, la vita nell’arte e l’arte nella vita.
Grandi anche gli amori, celebri le sue donne, passioni, liti furibonde, abbandoni, da Rosita Lupi, la prima moglie, a Valentina Cortese, a Ornella Vanoni, a Milva ad Andrea Jonasson, la seconda moglie, a Mara Bugni, raccontate con puntualità e leggerezza dall’autrice ben lontana dal pettegolezzo.
Grandi e piccole testimonianze disegnano una vita, quest’ultima indissolubilmente legata al Piccolo Teatro, da lui fondato con Paolo Grassi — ai tempi li chiamavano i Dioscuri — e Nina Vinchi, quando nel gennaio del 1947, grazie a un sindaco illuminato come Antonio Greppi, nacque il primo Teatro Municipale, il Piccolo appunto. Una istituzione lontana dalla mondanità, dallo svago fine a sé stesso, ma che crebbe con l’orgoglio della cultura. Tra le fiamme della politica qualcuno gettò il fiore del teatro. Il Piccolo si affermò nei decenni e nel 1991 divenne Teatro d’Europa. Del resto, come amava ripetere Strehler, egli stesso era nato da «una bella mescolanza», aveva l’Europa in casa. La vita scorre e si intreccia con l’arte ben delineata dall’autrice, un’arte che ha saputo leggere con straordinaria lucidità e forza alcune opere di Goldoni, molto lontane da parrucche e merletti, ma spaccati della decadenza di un mondo, ma un’arte che non ha mai voluto «sfidare il cinema» come invece fece il «rivale» Luchino Visconti.
È facile a questo punto ricordare le sue interpretazioni di Brecht, tra le altre L’anima buona di Sezuan, che vide insieme Massimo Ranieri e Andrea Jonasson, e l’indimenticabile Opera da tre soldi, alla presenza del grande drammaturgo tedesco, o i molti spettacoli che hanno segnato culturalmente generazioni, ne hanno educato i sentimenti, il senso estetico.
Spettacoli di parole, luci e immagini, di contenuti porti con forza e eleganza, in una vita vissuta sempre al massimo e spesso contro: Cristina Battocletti offre con abilità discreta, con la forza di una documentazione molto ampia e con uno stile piano, un appassionato ritratto a tutto tondo di un uomo e di un artista che, come disse Ornella Vanoni, «Era tutto teatro, dai piedi ai capelli, la sua carne era il teatro».