Corriere della Sera - La Lettura
NOI ATTORI, LA FAMIGLIA DI GIORGIO
Ho passato 40 anni della mia lunga vita al Piccolo Teatro di Milano. Il suo direttore, Paolo Grassi, mi vide nel saggio dell’Accademia Nazionale d’Arte drammatica a Roma nel 1956. Alla fine dello spettacolo salì in camerino e mi disse che dovevo venire a Milano per un’audizione con il regista Giorgio Strehler.
Avevo visto due spettacoli meravigliosi del Piccolo e l’incontro con il Maestro mi terrorizzava. Partii per Milano e andai in teatro, salii sul palcoscenico di via Rovello, tremante, e non riuscii ad aprire bocca. Strehler, salì lui sul palcoscenico, mi chiese il testo che avevo preparato e si mise a recitarlo. Alla fine mi chiese se mi era piaciuto come attore; naturalmente io dissi che era un genio. Mi convocò per fare il Coriolano di
Shakespeare. Gli domandai allora perché mi aveva preso e la risposta fu: «Ho visto come sei entrato in palcoscenico e so che sei un attore».
Con Giorgio, nel tempo, siamo diventati molto amici. Lui aveva un fascino eccezionale: dava a ogni sua scelta interpretativa, la sua interiorità poetica unica ma anche la sua idea politica, il grande rispetto per il pubblico di teatro e il senso di un giudizio meravigliosamente perfetto e meditato sui suoi spettacoli. Giorgio mi ha donato il privilegio della sua tenerezza fraterna ma anche della sua follia istrionica. A volte era molto aggressivo nei nostri rapporti ma, dopo pochi momenti, l’aggressività era dimenticata e affiorava il suo straordinario senso di umanità.
Credo che sia stato indiscutibilmente il più grande regista teatrale del Novecento. Anche con gli attori della compagnia era sempre pieno di conflitti ma anche ricolmo di fraternità. Strehler amava molto gli attori. Senza di loro, «senza la famiglia del teatro — diceva — che è sempre la stessa, io non potrei fare il regista».
Da sempre abito al numero 2 di via Medici, anche Strehler abitava in via Medici. A volte, la sera, in genere all’ora di cena, sentivo suonare il citofono: era lui che si annunciava per venire da me. Parlava del suo teatro, dei suoi sogni, delle sue disperazioni, delle sue paure, e usciva di casa quasi sempre tra le 5 e le 6 del mattino. Quante volte provo una nostalgia infinita per quegli incontri. Irripetibili.