Corriere della Sera - La Lettura
San Pietro sott’acqua In spiaggia a Lodi
Telmo Pievani e Mauro Varotto hanno immaginato l’Italia del 2786, con l’innalzamento del mare provocato dal riscaldamento globale. La Pianura Padana trasformata in un golfo, in Sicilia un paesaggio da deserto del Sahara
«In quell’Impero, l’Arte della Cartografia raggiunse tale Perfezione che la mappa d’una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell’Impero, tutta una Provincia. Col tempo, codeste Mappe Smisurate non soddisfecero e i Collegi dei Cartografi eressero una Mappa dell’Impero, che uguagliava in grandezza l’Impero e coincideva puntualmente con esso. Meno Dedite allo Studio della Cartografia, le Generazioni Successive compresero che quella vasta Mappa era Inutile e non senza Empietà la abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degl’Inverni». Nel celebre frammento Del rigore nella scienza, lo scrittore argentino Jorge Luis Borges immagina una mappa tanto dettagliata da divenire inutile. La mappa è per definizione sintesi degli aspetti più rilevanti di un territorio, del suo presente e della sua storia, per gli scopi di chi la utilizza: orientamento, viaggio, comprensione della diversità e del cambiamento.
Nell’epoca di Google Maps e della sua sorveglianza ubiqua tramite localizzazione e foto satellitari, l’intuizione di Borges si è realizzata in modo peculiare. Potenzialmente dettagliata tanto quanto quella del misterioso Impero, la mappa si srotola immensa nell’infosfera, ma al tempo stesso può rimpicciolirsi per stare nelle nostre tasche attraverso lo smartphone. Tuttavia, al contrario dell’utopia cartografica borgesiana di una mappa imperiale che accomunava imperatore e sudditi, la cartografia contemporanea è continuamente personalizzata e ricostruita dal singolo utilizzatore in risposta a specifici e contingenti bisogni o perfino a desideri e aspirazioni per il futuro. Così, con la funzione «My Future Map», Google registra oggi anche sogni e proiezioni dei suoi utenti, che puntano spilli digitali su Miami per goderne il clima, sulla Scozia per sognare un futuro nella danza, sull’Italia per la sua offerta culinaria.
In questo scenario, è ancora possibile concepire una mappa comune del territorio in cui viviamo? E soprattutto, è possibile immaginare la forma futura di questo stesso territorio, alla luce delle impellenti sfide ambientali e climatiche?
È questa la coraggiosa operazione intrapresa dal filosofo della biologia Telmo Pievani e dal geografo Mauro Varotto, entrambi docenti all’Università di Padova, in Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro
(Aboca). Gli autori immaginano un «viaggio in Italia» che inizia esattamente mille anni dopo il celebre viaggio di Goethe, nel 2786. In questo futuro «ipotetico, fantascientifico e distopico», scrivono gli autori, «la fusione ormai completa delle calotte glaciali continentali ha causato una nuova fase di ingressione marina che ha raggiunto i 65 metri di quota sul livello di costa attuale. Uno scenario, a dire il vero, giudicato irrealistico, ma utile per riflettere sul fatto che l’assetto ereditato del nostro territorio non è affatto scontato, e che è oggi nostra la responsabilità di orientarlo in una direzione o nell’altra».
Dopo un atterraggio a Trieste «che ha dovuto trasferire i suoi celebri caffè e librerie in altura», il viaggio in comitiva di Milordo, «turista mitteleuropeo di buona famiglia», inizia sorseggiando «prosecco di Cortina d’Ampezzo» in una Venezia ormai subacquea. Qui ponti e monumenti sono visibili soltanto partecipando a costosi tour sottomarini, e solo il Campanile di San Marco è ancora lì, «a segnare un mondo che non c’è più». Il viaggio prosegue poi in una Pianura padana quasi completamente allagata, dove i milanesi possono andare al mare ai Lidi di Lodi; tra città sommerse e altre convertite in un sistema di palafitte urbane, mentre le coste di Marche, Abruzzo e Molise hanno assunto l’aspetto di fiordi.
Su una corriera a idrogeno, Milordo raggiunge a questo punto Roma, in un paesaggio in cui il Mare Tirreno si è incuneato nella penisola «come una spada». La Roma del 2786 è divenuta una metropoli tropicale, dove anche l’intera Città del Vaticano è finita sott’acqua, costringendo il Papa a ritirarsi stabilmente a Castel Gandolfo. Qui, come altrove, i viaggiatori del XXVIII secolo si muovono in uno scenario fantascientifico con tecnologie proiettate nel futuro, ma curiosamente gli sguardi, i loro pensieri, la loro disperata ricerca di punti di riferimento sono ancora molto simili a quelli di inizio millennio.
Ne emerge un tema forte del cambiamento tecnologico, sociale e politico, in cui è la stessa idea di «destino comune» a essere messa in discussione. Un tema che è ad esempio al centro di un altro libro sul cambiamento climatico, il cui titolo è anch’esso non casualmente legato alle mappe: Tracciare la rotta di Bruno Latour (Raffaello Cortina, 2018).
Il tour di Milordo si conclude in una Sicilia arida e sfigurata dagli incendi, «un deserto roccioso del tutto simile a quello libico e tunisino dall’altro lato del Mediterraneo», dove sopravvivono solo «vegetazione bassa, arbusti e cactus». In questo scenario arido e malinconico, Milordo riparte da Punta Raisi su «un volo charter a fusione nucleare».
Al termine del libro, gli autori invitano i lettori a «fare la propria parte» nella sfida contro il cambiamento climatico. Evitando così che lo scenario apocalittico del libro si sovrapponga alla realtà come nel frammento borgesiano citato in apertura, trasformando il territorio che siamo abituati a identificare con l’Italia in «lacere Rovine della Mappa», unica «reliquia delle Discipline Geografiche».