Corriere della Sera - La Lettura
Margaret Atwood: l’ora dell’eco-femminismo
Torna in italiano un romanzo del 2003: «Oryx e Crake» è il primo volume della trilogia distopica «MaddAddam», in cui il mondo è segnato dalla
crisi climatica eun virus ha ucciso (quasi) tutti. Nel frattempo è iniziata la quarta stagione della serie «The Handmaid’s Tale». «Proteggiamo subito l’ambiente. Tra i rischi che corriamo c’è l’infertilità, come nel libro delle ancelle»
«Immaginazione», disse Crake. «Gli uomini possono immaginare la propria morte, possono vederla arrivare, e il solo pensiero della morte incombente funziona da afrodisiaco. Un cane o un coniglio non si comportano così. Prendi gli uccelli: in una stagione di magra riducono il numero di uova, o non si accoppiano affatto. Concentrano le energie per mantenersi in vita fino a tempi migliori. Invece gli esseri umani sperano di poter infilare la loro anima in qualcun altro, qualche nuova versione di sé stessi, e di vivere in eterno». «Allora, come specie siamo condannati alla speranza?». «Chiamala pure speranza. O disperazione».
È uno dei formidabili dialoghi di Oryx e Crake, romanzo di Margaret Atwood che uscì nel 2003 — in italiano: L’ultimo degli uomini — e che torna ora per Ponte alle Grazie. Primo titolo della trilogia distopica di «MaddAddam», narra un mondo segnato dalla crisi climatica, in cui Jimmy, detto Snowman, «Uomo delle nevi», pensa di essere l’unico individuo rimasto sulla Terra. A sterminare tutti gli altri, un virus prodotto in laboratorio. La piattaforma americana Hulu sta lavorando a una serie tv tratta proprio da «MaddAddam», affidata a Michael Lesslie (già sceneggiatore dei film Assassin’s Creed e Macbeth). Mentre da poco è uscita l’attesissima quarta stagione di The Handmaid’s Tale (in Italia su TimVision), serie tv dallo strepitoso successo ideata da Bruce Miller e ispirata al romanzo di Atwood del 1985 Il racconto dell’ancella (e ora anche al suo seguito I testamenti, 2019).
La scrittrice ha offerto consigli. E ha tenuto duro in questo periodo in cui il virus è uscito dai romanzi, in cui il susseguirsi dei lockdown l’ha colpita a pochi mesi dalla perdita del marito Graeme Gibson, nel settembre 2019, dopo cinquant’anni insieme. Recente vincitrice del Premio Speciale Lattes Grinzane, che al netto della situazione Covid, il 2 ottobre dovrebbe portarla ad Alba (Cuneo), Atwood ha anche partecipato a un libro collettivo ispirato alla pandemia.
Di tutto questo, orecchini corallo, sorriso gentile, immancabile ironia, l’autrice canadese, 81 anni, parla con «la Lettura» via Zoom da Toronto. «Siamo ancora in lockdown», dice, mentre aspetta di ricevere a luglio la seconda dose del vaccino: «È un po’ lontano, ma non importa. Purtroppo il mondo non era preparato».
La nostra specie è destinata alla speranza o alla disperazione?
«La speranza è intrinseca alla natura umana. Non conta che sia giustificata o meno: ti fa andare avanti. C’è un libro interessante di Les Stroud, esperto canadese di sopravvivenza (Will to Live. Dispatches from the Edge of Survival, William Morrow, 2011, ndr), in cui l’autore racconta storie di chi ha superato situazioni terribili, persone bloccate su una montagna, disperse nella neve... La loro salvezza, dice, si deve a quattro fattori: l’attrezzatura, la preparazione, la fortuna, la forza di volontà. Ecco, la forza di volontà va a braccetto con la speranza».
Come stiamo reagendo al Covid?
«L’essere umano ha un numero di reazioni tutto sommato limitato. Pensiamo alla peste del Trecento. Una risposta fu: scappa via veloce, scappa, scappa... Un’al
tra: fermati e aiuta, sebbene chi lo fece per lo più morì, perché non c’era molto allora in termini di cure e vaccini. Ci fu chi si ubriacò, rubò, commise violenza. E poi ci fu chi scrisse, ecco perché sappiamo cosa accadde. E noi oggi? Prevale la reazione di stare fermi e aiutare, ci siamo isolati perché sappiamo che funziona».
C’è più consapevolezza adesso delle nostre responsabilità rispetto alla Terra? Siamo pronti a cambiare?
«Direi di sì, già da qualche anno vengono prese più iniziative: per la difesa degli oceani, altrimenti non avremo più i pesci; oppure contro le sostanze tossiche immesse nell’ambiente, come accade per certi tipi di plastica. Già si osserva un declino della fertilità, non solo tra noi esseri umani ma anche tra gli altri animali, che sembra proprio effetto di queste sostanze. Dobbiamo agire o finiremo per avere un problema di nascite, come nel Racconto dell’ancella (in cui sono rimasti solo pochi uomini e donne fertili, le ancelle appunto, catturate dal regime e stuprate ogni mese per ripopolare la nazione totalitaria, ndr). Convincere i Paesi ad agire insieme è difficile, ma ora negli Stati Uniti c’è un governo che non nega: speriamo in una nuova leadership mondiale».
Anche in «Oryx e Crake» la specie umana non va nella direzione verde.
«Tutt’altro, e finisce sterminata da un uomo che ha creato un virus. Ma perché accade? Perché l’umanità sta distruggendo il pianeta e lui decide di sostituirla con nuovi individui generati in laboratorio: senza i nostri difetti e punti deboli. Nessuno dei vizi capitali, ma neppure i vestiti, o il romanticismo: solo accoppiamenti come gli altri animali. I nuovi abitanti della Terra hanno anche incorporati un repellente per gli insetti e la crema solare — beh, questo mi piacerebbe! (ride).
Ma il loro artefice non è riuscito a cancellare del tutto il pensiero simbolico».
Tema di «Oryx e Crake» sono anche la genetica e i suoi eccessi. Come esce la scienza dall’esperienza Covid?
«A causa di Trump, secondo il quale avresti dovuto iniettarti candeggina o qualcosa del genere, e che metteva in dubbio il capo dei suoi scienziati, molti hanno deciso di non ascoltare Anthony Fauci (porta le mani alle orecchie e chiude gli occhi): una disgrazia. La scienza non è infallibile ma corregge gli errori. È ciò che fa al suo meglio. Al suo peggio, ci sono ciarlatani anche lì. Bisogna saperlo e decidere in base alle informazioni e a chi reputiamo affidabile. Da quanto di orribile abbiamo vissuto, è anche venuto fuori un nuovo modo di realizzare un vaccino: una svolta radicale, che avrà altre applicazioni. Capita che la scienza inventi qualcosa e poi ci siano usi non previsti. In ambito tecnologico, internet è nata perché gli scienziati volevano scambiarsi rapidamente informazioni. Poi è servita anche ad altro, inclusi purtroppo incitamento all’odio e fake news».
Nella primavera 2022 uscirà in inglese «14 days. An unauthorized gathering» («14 giorni. Un raduno non autorizzato»), che in Italia arriverà da Ponte alle Grazie. Un libro ispirato alla pandemia, nato da un’idea di Douglas Preston e frutto del contributo suo e di autori che lei stessa ha scelto. Tra loro, Grisham, Eggers, Celeste Ng.
«Il volume conterrà le storie create da ogni scrittore, con una cornice alla maniera del Decameron. Solo che questa volta, al tempo del Covid, è un gruppo di vicini di casa che si riunisce su una terrazza di New York e inizia a narrare. La mia storia s’ispira all’ultima novella del libro di Boccaccio, quella della paziente Griselda. Paziente nei confronti di un marito crudele, perciò il mio racconto si chiamerà Griselda impaziente e ci saranno due protagoniste, sorelle gemelle».
A proposito di donne e parità, la pandemia ha mostrato delle leader molto capaci.
«Ce ne sono state di più brave rispetto ai colleghi uomini perché meno impegnate a proclamare: “Sono un duro, non ho bisogno della mascherina”. Invece di “Sono Ercole”, hanno detto: “Sono Florence Nightingale” (britannica, considerata la fondatrice a metà Ottocento dell’assistenza infermieristica moderna, ndr). Così la premier della Nuova Zelanda Jacinda Ardern ha fatto meglio del presidente del Brasile Jair Bolsonaro».
Eppure, perdita del lavoro, carico domestico: le donne sono più colpite dalla crisi innescata dalla pandemia.
«Negli anni Trenta ci si aspettava che se ti fossi sposata avresti rinunciato al lavoro. Negli anni Quaranta: “Un passo avanti, Rosie the Riveter” (l’icona della donna americana in fabbrica durante la Seconda guerra mondiale, ndr). E poi ancora, negli anni Cinquanta: “Non abbiamo più bisogno di te. Devi tornare a casa, avere un bungalow, una lavatrice e quattro bambini”. Quindi è tutta una questione di politiche pubbliche. Le donne sono state fondamentali nella rivoluzione francese, e poi messe da parte, sono state fondamentali nella rivoluzione russa, e poi messe da parte... Si esige da loro di essere eroiche nell’emergenza, anche se non tutte hanno chiesto di esserlo. Quindi, molto va ancora aggiustato. E c’è un’urgenza da affrontare: nel confinamento sono aumentate le donne vittime di violenza».
È appena uscita la quarta stagione di «The Handmaid’s Tale», la serie tv ispirata a «Il racconto dell’ancella». Si aspettava che il suo lavoro diventasse per le donne un simbolo così potente?
«Assolutamente no. Eravamo nel 1985, erano gli anni di Reagan e la destra religiosa già diceva: “Ragazze, restate a casa”. Poi però si è conclusa la guerra fredda, sono arrivati gli anni Novanta, la globalizzazione... “Fine della storia, andiamo a fare shopping”. Finché la rotta si è di nuovo invertita. Già durante le due elezioni di Obama si sentivano certi discorsi dei repubblicani, poi è arrivato Trump: bastava ascoltare la terminologia estrema usata contro Hillary Clinton per capire che le cose non si mettevano bene per le donne. Eppure molte lo hanno votato».
Lei e il cast avete precisato in passato che «The Handmaid’s Tale» non rappresenta una storia «femminista» ma «umana». Si definisce femminista?
«Ci sono decine di tipi di femminismo. Io sostengo un’organizzazione come Equality Now, che lavora per dare alle donne e alle ragazze gli stessi diritti di uomini e ragazzi. Questo è il mio femminismo, non quello secondo cui tutti gli uomini dovrebbero essere spinti in un dirupo, tranne un 10% a scopo riproduttivo. Ma io vengo dall’esperienza dei primi anni Settanta. Credo che in quest’epoca assisteremo a una nuova ondata di femminismo: probabilmente un eco-femminismo che coinvolgerà le Greta Thunberg di questo mondo, chi ha meno di vent’anni. Riguarderà poco la teoria e più gli obiettivi condivisi e come raggiungerli».
Ha già visto la nuova stagione di «The Handmaid’s Tale»?
«Non ancora, perché normalmente lo farei in un cinema, in uno studio, e adesso non si può. È già incredibile che siano riusciti a girarlo. Ho letto la sceneggiatura, mi sono confrontata con Bruce Miller, ma è lui che ha l’ultima parola. Tra le mie raccomandazioni: “Non uccidere Zia Lydia”. Mi ha risposto: “Beh, non l’avrei uccisa comunque!”. Ormai siamo ben oltre il libro del 1985: hanno attinto alla storia di oggi e hanno I testamenti. Si sono attrezzati per usare anche questo secondo libro, ma non posso svelare nulla...».
Nei romanzi e nella serie s’instaura negli Usa il regime totalitario di Gilead. Vede rischi oggi per la democrazia?
«Purtroppo sì. Tra l’altro, ogni volta che si diffonde una nuova tecnologia di comunicazione le persone ne sono ipnotizzate e i regimi cercano di controllarla. Era così con la radio negli anni Trenta, oggi ci sono internet e i social. Un regime come può essere la Corea del Nord cerca di non far entrare nulla dall’esterno. Trump non poteva controllare i social, li ha screditati. Se immetti notizie false, la gente non si fida più, si crea confusione, un vuoto che permette di muoversi nell’ombra e assumere il controllo».
L’attacco dei sostenitori di Trump a Capitol Hill le ha ricordato l’assalto al Congresso dei comandanti di Gilead?
«Esattamente. Oggi tanti repubblicani cercano di minimizzare: “Oh beh, non era niente...”. Ma c’è il video, abbiamo visto tutto, ed è stato spaventoso».
Lo scorso luglio ha firmato una lettera molto discussa, pubblicata da «Harper’s Magazine», in cui 153 intellettuali si schierano per la «libertà di pensiero e di parola». Il bersaglio è la cosiddetta «cancel culture», intesa in questo contesto soprattutto come la tendenza a rimuovere dalla produzione culturale persone o aziende ritenute colpevoli di avere sostenuto, anche in passato, idee o azioni contrarie a principi come i diritti delle minoranze, la parità di genere, il politicamente corretto. Che cosa sta succedendo?
«Io sono assolutamente favorevole a proteste legittime, ma riguardanti fatti di cui ci siano le prove e garantendo la possibilità di difendersi a chi viene accusato. Oggi invece sei cancellato, escluso, a partire da un social senza neppure il tempo di replicare. E che ci sia uno strumento del genere, che si possa dire alle persone di usarlo come vogliono, beh, questo è un tema di potere: accusare è un potere, e alcuni abusano di questo potere. Dunque, indaghiamo, capiamo se un’accusa è fondata prima di attaccare, attaccare, attaccare... È all’abuso che dico no».
Ha in mente nuovi progetti oggi?
«Lavoro sempre a qualcosa, ma è una sorpresa. Poi leggo di tutto, persino il retro delle scatole di cereali, fumetti, riviste. Questo che ho qui sotto il computer (lo tira fuori) è un grande libro di storia: The World Turned Upside Down di Yang Jisheng (Farrar Straus & Giroux, 2021), sulla rivoluzione culturale in Cina».
Dopo decine di romanzi, racconti, poesie, cos’è per lei la letteratura?
«Tutti i bambini sono artisti per natura: dipingono, costruiscono con i Lego, raccontano storie, cantano, ballano. L’artista è chi continua a farlo da adulto. E anche chi non ne fa una carriera, conserva ambiti in cui è creativo: l’abbigliamento, il giardinaggio, qualunque azione per rendere le cose attraenti, significative e belle. L’essere umano lo fa da sempre. Lo strumento più antico ha 35 mila anni, è un flauto fatto di osso e ha la stessa scala musicale che abbiamo ora: non è sorprendente? Ecco, tutto questo, nel mio caso, assume la forma della scrittura».
I suoi personaggi sottolineano che gli esseri umani possono «immaginare la morte». Nel 2019 ha perso suo marito. Poi la pandemia. Come reggere?
«Per un giovane che perde un coetaneo è difficile, non te lo aspetti. Alla mia età, alla sua età, era previsto. Vedi già i tuoi amici che muoiono, è questo che accade. Il dramma del Covid è che perdiamo anche i più giovani. Per quanto riguarda mio marito, sapevamo che sarebbe capitato, probabilmente non nel giro di anni ma di mesi. Non vuol dire che per me non sia stato doloroso, ma è successo forse nel momento in cui voleva, perché aveva la demenza, non voleva continuare così, non voleva diventare una persona che non era più sé stessa. Come sempre ha avuto un tempismo impeccabile e il suo modo di andarsene è stato pieno di grazia. Proprio perché immaginiamo la morte, è meglio intanto vivere. Fino all’ultimo ci siamo divertiti venendo in Italia, poi siamo andati a Londra e abbiamo lanciato I testamenti, e lui era lì».
Mio marito aveva la demenza. Ma se n’è andato prima di diventare una persona che non era più sé stessa Greta Thunberg e altre ragazze che oggi hanno meno di 20 anni condividono obiettivi e saranno protagoniste
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