Corriere della Sera - La Lettura
Pareto denuncia il doppio inganno
Una lettera e un memorandum sulle pensioni del 1892. In Italia, scrive lo studioso, l’opposizione fa promesse illusorie in tema di previdenza, ma anche il governo alimenta aspettative infondate
Apartire dagli anni Ottanta del XIX secolo, la questione operaia assunse proporzioni e intensità sempre maggiori, soprattutto nell’Italia manifatturiera del Settentrione. Le società di mutuo soccorso e le casse volontarie non avevano più né le risorse né la capacità per rispondere ai bisogni crescenti dei propri associati. Il movimento dei lavoratori accelerò la propria organizzazione e mobilitazione.
Preoccupate per la stabilità sociale, le classi dirigenti del Paese aprirono un dibattito sulla modifica delle leggi sul lavoro e l’introduzione di schemi pubblici di protezione. Anche se i liberali e gli industriali erano fermamente contrari, i governi della Sinistra storica (Depretis e poi Crispi) mossero i primi passi in queste direzioni, ispirati dalle idee del cosiddetto «socialismo della cattedra» e dalle politiche di Bismarck. Nel 1883 fu istituita una Cassa nazionale contro gli infortuni, nel 1886 vennero regolate le società di mutuo soccorso, nel 1890 Crispi portò sotto il controllo dello Stato il mare magnum delle Opere Pie, trasformandole in Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.
Il tema della previdenza divenne centrale per gli studiosi, fra i quali Vilfredo Pareto. Negli anni Ottanta del XIX secolo, Pareto faceva il manager a Firenze, ma gli interessava la politica e cercò due volte di farsi eleggere, senza successo. Partecipò tuttavia intensamente alle discussioni di quel decennio, sostenendo posizioni liberiste e anti-protezionistiche. Dalle sue pubblicazioni e dalle lettere di quel periodo, è possibile ricostruire i semi di quella che diventerà poi la teoria economica e sociale delle opere mature e, al suo interno, il particolare punto di vista paretiano sulle politiche sociali.
In linea di principio e di «dottrina», per Pareto lo Stato non doveva interferire con l’attività economica, pena il turbamento dell’equilibrio spontaneo del mercato. Sul piano pratico, tuttavia, il suo pensiero era più sfumato. L’analisi delle situazioni concrete indica che l’economia non funziona come vorrebbe la teoria: essa è infatti già imbevuta di perturbazioni. Ciò richiede una «correzione di giudizio» rispetto alla teoria. Bisogna infatti chiedersi: quali sono le perturbazioni osservabili e quali categorie avvantaggiano?
Pareto riconosceva che la situazione concreta dell’Italia di Depretis era chiaramente sbilanciata a favore della borghesia industriale. Se si transige, argomenta lo studioso, sui vantaggi che lo Stato concede al capitale, allora «giustizia vuole» che si sia tolleranti anche nei confronti di misure a favore dei lavoratori. Dopo l’incontro con l’economista Maffeo Pantaleoni, Pareto ampliò il quadro. La questione sociale interessava più acutamente le campagne. Soffrivano anche gli operai, ma l’industria italiana era meno sviluppata delle concorrenti straniere: la legislazione sociale rischiava di danneggiarla ulteriormente. Più che compensarli attraverso la legislazione sociale, sarebbe stato meglio «non derubare i lavoratori con spese militari, fiscalità esose e dazi». Insomma, essere più liberisti: non solo in nome dell’efficienza, ma anche della giustizia.
Il realismo economico-sociale di Pareto lo indusse anche a individuare le cause delle «perturbazioni», delineando una sintetica teoria realista della democrazia. Come avrebbe più compiutamente argomentato Joseph Schumpeter, la democrazia si basa sullo scambio tra interessi sociali che cercano favori ed élite politiche che lottano per il potere. Dallo scambio politico non può dunque emergere la tutela dell’interesse generale, ma solo misure particolaristiche di spoliazione delle risorse fiscali.
I documenti inediti presentati da «la Lettura» esprimono bene questo punto di vista. Nel 1892 una conoscente inglese, Caroline Fitzgerald, moglie del politico liberale Edmond George Fitzmaurice, invia a Pareto un pamphlet scritto da Lord Moulton Fletcher sul tema delle pensioni. La signora chiede l’opinione di Pareto, che le risponde allegando un breve memorandum sulla situazione italiana (qui accanto riportiamo un estratto del testo,
ndr). Dalla lettera traspare non solo la simpatia di Pareto per la signora Fitzgerald e suo marito, ma anche una valutazione molto positiva del pragmatismo inglese. In quella fase, anche in Gran Bretagna si iniziava a discutere di previdenza sociale, in particolare dei rapporti fra lo Stato e le friendly society dei sindacati (in condizioni ben più floride rispetto a quelle italiane). Come già John Stuart Mill, anche Pareto riteneva che l’associazionismo operaio inglese costituisse un esempio virtuoso di articolazione della società civile, che combinava l’auto-soccorso con rivendicazioni responsabili nei confronti degli industriali. Nell’opera I
sistemi socialisti, uscita nel 1902, Pareto avrebbe scritto: «Le unioni (i sindacati inglesi, ndr) non sacrificherebbero un soldo al più bel principio di intervento o non intervento dello Stato... Le unioni cercano di ottenere dagli imprenditori tutto quello che possono, ma non desiderano la loro rovina; al contrario, desiderano che questi guadagnino molto per avere la propria utilità».
Nel memorandum preparato per la signora Fitzgerald, Pareto critica invece duramente il movimento socialista italiano, interessato solo ad accollare il costo della previdenza allo Stato: soluzione totalmente impraticabile a causa delle cattive condizioni della finanza pubblica italiana. Pareto aggiunge però di comprendere le ragioni dei lavoratori, i quali denunciavano i profitti che i propri datori di lavoro facevano grazie ai favori dello Stato.
Sia nella lettera sia nel memorandum, Pareto denuncia a chiare lettere anche le responsabilità della politica italiana di quegli anni. I due documenti furono scritti alla vigilia delle elezioni del 1892. A differenza dell’Inghilterra, che ha «partiti ben chiari», in Italia nessuno sa, dice Pareto, che cosa vuole il governo. La maggior parte dei candidati si dicono «ministeriali» per poter salire sul carrozzone governativo.
Nella lettera, Pareto prevede una larghissima maggioranza a favore dei ministeriali, appunto: i quali una volta eletti non penseranno «ad altro che ad ottenere il maggior numero possibile di favori per loro e per gli amici». Nel memorandum, egli formula un ragionamento più generale: a ciascuna elezione, i deputati d’opposizione introducono nel proprio programma l’istituzione di una cassa per le pensioni. Il governo rilancia proponendo anch’esso una riforma espansiva. Nessuno però si preoccupa delle conseguenze finanziarie. I primi poi non propongono nulla per i veri poveri. Il secondo non prende neppure in considerazione l’idea di ridurre altre spese, a cominciare da quelle per gli armamenti.
Il ragionamento di Pareto illustra con chiarezza due fenomeni che avrebbero caratterizzato — e non solo in Italia — la politica novecentesca del welfare: l’approccio «operaistico» della sinistra, poco interessato a tutelare gli interessi delle categorie sociali davvero vulnerabili; e l’irresponsabilità fiscale dei governi, incapaci di fare promesse sostenibili per le casse dello Stato.
I due documenti inediti provengono dell’archivio Passigli, in quanto Caroline Fitzgerald sposò in seconde nozze nel 1901 Filippo De Filippi, antenato di Alvise Passigli. I testi aggiungono un piccolo, ma importante tassello per ricostruire e comprendere l’evoluzione del pensiero di Pareto, confermando la sua lucida capacità di critica sociale e politica, nonché una profonda sensibilità umana. Nel momento in cui scriveva la lettera all’amica, Pareto aveva già deciso di lasciare il posto di manager e di dedicarsi allo studio. Una scelta che lo portò ad affermarsi come uno dei pensatori europei più acuti, curiosi e originali del primo Novecento.