Corriere della Sera - La Lettura
LA RICERCA INFINITA DI CHI SIAMO NEGLI ANGOLI SEGRETI DEL NOSTRO CERVELLO
Escono sempre nuovi libri di aggiornamento e di riflessione sul fenomeno della coscienza, intesa come coscienza di sé e coscienza di essere cosciente, l’unica nostra caratteristica che ci può autorizzare ad affermare: «Sento e provo sensazioni, quindi sono». Un valido motivo per scriverne è rappresentato dalla constatazione che questo è uno dei più importanti problemi non chiariti della moderna esplorazione della mente. Va detto inoltre che è in ogni caso difficile resistere al fascino sottile, ma prepotente, dell’argomento coscienza, della quale tra l’altro non conosciamo né quando né come sia comparsa nel processo evolutivo che ha portato a noi, né quale vantaggio conferisca il possederla, se ce n’è uno.
Uno degli ultimi libri pubblicati su questo tema è Sentirsi vivi. La natura soggettiva della coscienza di Christof Koch, uscito di recente presso Raffaello Cortina ( traduzione di Angelica Kaufmann, pagine 326, € 25). Si tratta di un autore di tutto rispetto, che ha dedicato la vita a questo tipo di ricerca, scegliendo la strada dello studio dei correlati neurali della coscienza stessa. Questa strategia è tutt’altro che scontata e richiede anzi una notevole autonomia di pensiero, nonché un’apprezzabile dose di coraggio. Tutti sappiamo che nella testa c’è il cervello, ma pochi concederebbero che ci sia soltanto il cervello. E se c’è un fenomeno che si presta a giustificare questo salto nell’immateriale, questo è senza dubbio la coscienza. Ma se essa ha a che fare in qualche maniera con il cervello, ciò non può non riferirsi a certi angoli del cervello stesso, che poi sarebbero quelli che vengono chiamati di solito i correlati neurali della stessa.
Sembra tutto molto logico e piano, ma il numero delle persone convinte che questi correlati neurali si possano studiare è piccolissimo. Tutti sono attratti dai misteri, ma i più amerebbero che restassero tali! Molte persone ritengono che alcuni problemi rilevanti del mondo non abbiano una spiegazione e, se ce l’hanno, che non possa in alcun modo essere raggiunta. Ritengono che questa sia prudenza, ma tale prudenza sfiora la vigliaccheria.
Qualche anno fa Koch pubblicò un famoso articolo lungo sull’argomento in collaborazione con Francis Crick, uno degli scopritori della struttura a doppia elica del Dna. L’articolo era interessante e propositivo, ma ricordo distintamente il coro di commenti di disapprovazione che si levarono dalle autorità culturali italiane più diverse. Un po’ come era successo a suo tempo, nel 1970, con Il caso e la necessità dello scienziato francese, premio Nobel per la Medicina, Jacques Monod. L’idea che si potessero studiare i correlati neurali della coscienza suscitava piuttosto ilarità, nonostante che si parlasse chiaramente solo di coscienza visiva, cioè di una coscienza specificamente riservata al senso della vista.
Il presente libro ripercorre il cammino degli altri saggi sull’argomento, che ruotano essenzialmente attorno a due domande principali: quale altro essere vivente oltre a noi possiede una coscienza o, almeno, una qualche forma di coscienza? E: riusciranno mai ad avere una coscienza i circuiti elettronici di un computer o di un automa?
È abbastanza comprensibile, del resto, che rispondere a queste due domande si possa dimostrare un buon modo di iniziare la ricerca. Che però in questo libro si sviluppa in altra maniera. E qui sta la novità. Nonostante l’autore affermi di ispirarsi alla recente teoria chiamata Iit — sigla che sta per Integrated information theory — la sua riflessione va verso l’unificazione della coscienza e del vissuto esperienziale, come si può indovinare già dal titolo Sentirsi vivi.
La coscienza, insomma, è esperienza. Con qualche «aiutino» da parte della memoria. «Ma forse», dice l’autore, «il messaggio del libro è ancora più profondo e ha un sapore esistenziale. È un incoraggiamento a rivalutare e preservare, con cognizione di causa scientifica, il sentire intrinseco della vita». Come dire che oltre la superficie del vissuto non si va.
D’altra parte dice Italo Calvino nel suo libro Palomar: «Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile».
E più non dimandare.