Corriere della Sera - La Lettura
Kyoto mon amour Lì faccio rifiorire la vita
«Se non siamo pronti a soffrire non siamo pronti a vivere», sono tra le prime parole che Rosa si sente dire arrivata a Kyoto, dove è stata convocata per la lettura del testamento del padre giapponese mai conosciuto. La protagonista del nuovo romanzo di Muriel Barbery è una donna di quarant’anni, dai capelli rossi e gli occhi verdi, che fino a quel momento «quasi non aveva vissuto». Giovinezza tetra, amanti evanescenti, madre che ha abbandonato il ricco padre tornando in Europa prima della nascita della bambina e che alla figlia ha trasmesso malinconia e assenza: Rosa non si affezionava a nessuno, nessuno si affezionava a lei. In queste condizioni poco promettenti la donna arriva nell’antica capitale imperiale del Giappone.
In videochiamata dalla casa della campagna francese dove vive, Muriel Barbery parla a «la Lettura» del suo quinto romanzo, Una rosa sola, quindici anni dopo L’eleganza del riccio.
Kyoto non è solo lo sfondo della storia: è un personaggio fondamentale. È questa città ad averla spinta a scrivere «Una rosa sola»?
«Sì, ho vissuto due anni a Kyoto nel 2008 e nel 2009, prima ospite della residenza per artisti Villa Kujoyama, poi ho prolungato il soggiorno. Da allora ci torno molto spesso, Kyoto è uno dei pochi luoghi decisivi della mia vita».
Qual è stata l’ispirazione iniziale?
«Volevo scrivere di una donna che ha sofferto molto e che riesce a trasformare questa sofferenza incontrando la città di Kyoto, in particolare grazie alle passeggiate nei favolosi giardini e a qualche nuova conoscenza. Da tanto tempo volevo scrivere a proposito di Kyoto ma non mi sentivo in grado, per me era come scalare l’Everest, temevo di non riuscire a esprimere lo choc, la meraviglia che ho provato quando ci ho vissuto. E poi non lo dico solo io, Kyoto è una sorta di santuario di bellezza e spiritualità, ogni giapponese deve andarci almeno una volta nella vita per una sorta di pellegrinaggio culturale essenziale. Quindi scrivere a di Kyoto mi era sembrato a lungo un’impresa quasi impossibile».
Eppure lei stessa descrive luoghi orribili, prima di arrivare ai giardini si attraversano zone di grande squallore. La sua visione non è idealizzata.
«È vero, le due realtà coesistono. La zona che mi ha affascinato è molto piccola: come se un giapponese rimanesse incantato, in Francia, dai castelli della Loira. Certo sono magnifici ma non rappresentano tutta la Francia. Ed è vero che a Kyoto e in generale in Giappone ci sono aree davvero respingenti, inospitali, disumanizzate, affollate, prive di bellezza e di grazia. La strada che porta dall’aeroporto di Osaka a Kyoto è orribile, piena di cemento, un’urbanizzazione che non lascia alcuno spazio agli alberi e agli uomini. All’inizio non è facile passare da una realtà all’altra».
Come se, non potendo raggiungere