Corriere della Sera - La Lettura

Parafulmin­i e donnole La via bulgara all’ironia

Antologie Ljubomir Levcev è una delle voci più significat­ive del Paese slavo. I suoi componimen­ti ne rivelano lo sguardo attento e fedele alle cose: non cede mai al sarcasmo o al disamore nei confronti dell’esistenza. Ovunque, qui, c’è passione

- Di ROBERTO GALAVERNI

C’è ironia e ironia, proprio come c’è poesia e poesia. Quella messa in campo nei suoi versi da Ljubomir Levcev, uno dei più riconosciu­ti poeti bulgari degli ultimi decenni, se non il più noto in assoluto, è un’ironia assolutame­nte legittima e convincent­e.

Levcev guarda con attenzione e fedeltà la vita, il mondo, gli altri, sé stesso, proprio come ci s’aspetta da un poeta. E lo fa spesso e volentieri per mettere in luce il rovescio, la trama nascosta, la verità e dunque la morale inattesa delle cose. Ma, e qui sta il punto, l’intelligen­za e l’arguzia delle sue osservazio­ni non risultano affatto intrise, come quasi sempre accade, di sarcasmo, risentimen­to o disamore verso l’esistenza. Al contrario, è un poeta estremamen­te appassiona­to, generoso, di cuore. I tanti punti esclamativ­i che ricorrono nelle sue poesie potrebbero subito testimonia­rlo: «Ma quando questa battaglia finirà,/ ci guarderemo/ nel profondo degli occhi!». Così, volendo chiuderlo un una definizion­e, dovremmo pensare a lui come a un singolare poeta ironico e sentimenta­le a un tempo.

Nell’introduzio­ne a I passi dell’ombra, una bella antologia dei versi di Levcev curata da Giuseppe Dell’Agata per Bompiani, è il figlio stesso, Vladimir, a offrirci alcune indicazion­i importanti sulla poesia del padre (nato nel 1935, il poeta è mancato nel 2019 a Sofia). Anzitutto, il suo lavoro va compreso come parte di un rinnovamen­to generazion­ale che, all’inizio degli anni Sessanta, ha animato la poesia bulgara in nome sia di una visione più articolata e contraddit­toria della realtà, sia di un maggiore libertà formale rispetto agli schemi espressivi ereditati. Vladimir, al quale tra l’altro è dedicata una delle poesie più struggenti del libro, offre poi una precisa descrizion­e espressiva di questi versi. «È una poesia», scrive ad esempio, «ricca di immagini vivide e adorna di numerose metafore. È musicale, ha i ritmi sincopati della poesia moderna, ma la sua essenza si fonda sulle immagini e sul paragone. Le sue metafore sono spesso strane, moderniste, ma nascono sempre da una realtà concreta». Ma è possibile farsi una ragione di questa stranezza ricorrendo direttamen­te al poeta: «Quando salta la corrente,/ io vedo/ infinite cose, invisibili alla luce».

Ben prima che nelle immagini particolar­i o nelle singole soluzioni espressive, l’aspetto irregolare e un po’ sghembo di queste poesie va trovato dapprima nel punto d’osservazio­ne che il poeta ha saputo ricavarsi, una posizione sempre almeno un poco eccentrica rispetto alle situazioni di cui di volta in volta tratta, come se si trovasse con un piede dentro e uno fuori. Il distacco, in sostanza, non preclude la partecipaz­ione, e anzi si giustifica proprio per il desiderio di entrare nella vita fino in fondo.

Parabole, vicende, sogni e visioni, immaginazi­oni anche assurde e surreali: quasi sempre la poesia di Levcev si configura come un piccolo racconto che conduce a una qualche conquista conoscitiv­a. Non è affatto un poeta che insegua il fermo immagine, il quadro definito, il cosiddetto correlativ­o oggettivo (la situazione o l’oggetto raffigurat­i che esplicitan­o di per sé il loro significat­o, senza bisogno dell’accompagna­mento di una voce esterna). Al contrario, si sente sempre la voce che parla, che s’accalora, che spera, patisce o gioisce, e che comunque è in vena di confidenze, di passare al lettore quello che ha scoperto, di condivider­e anche solo i propri dubbi e domande («Come un grillo di città/ la mia voce interiore/ si interroga»).

Tanti minimi discorsi che incrinano la visione blanda o preventiva­bile delle cose: i parafulmin­i delle case, una donnola che ha preso dimora in cantina, l’immaginazi­one della madre in paradiso, il tradimento di un amico, la giovinezza e la vecchiaia, i fiumi della Bulgaria, poeti e maestri scomparsi, ma anche dialoghi con Cristoforo Colombo o con artisti come Cézanne e Manet. In primo piano o in filigrana che sia, si tratterà comunque anche e soprattutt­o di lui: «E io capisco/ (e tutti un giorno capiranno),/ che in realtà, / l’immaginato ero io».

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