Corriere della Sera - La Lettura
Parafulmini e donnole La via bulgara all’ironia
Antologie Ljubomir Levcev è una delle voci più significative del Paese slavo. I suoi componimenti ne rivelano lo sguardo attento e fedele alle cose: non cede mai al sarcasmo o al disamore nei confronti dell’esistenza. Ovunque, qui, c’è passione
C’è ironia e ironia, proprio come c’è poesia e poesia. Quella messa in campo nei suoi versi da Ljubomir Levcev, uno dei più riconosciuti poeti bulgari degli ultimi decenni, se non il più noto in assoluto, è un’ironia assolutamente legittima e convincente.
Levcev guarda con attenzione e fedeltà la vita, il mondo, gli altri, sé stesso, proprio come ci s’aspetta da un poeta. E lo fa spesso e volentieri per mettere in luce il rovescio, la trama nascosta, la verità e dunque la morale inattesa delle cose. Ma, e qui sta il punto, l’intelligenza e l’arguzia delle sue osservazioni non risultano affatto intrise, come quasi sempre accade, di sarcasmo, risentimento o disamore verso l’esistenza. Al contrario, è un poeta estremamente appassionato, generoso, di cuore. I tanti punti esclamativi che ricorrono nelle sue poesie potrebbero subito testimoniarlo: «Ma quando questa battaglia finirà,/ ci guarderemo/ nel profondo degli occhi!». Così, volendo chiuderlo un una definizione, dovremmo pensare a lui come a un singolare poeta ironico e sentimentale a un tempo.
Nell’introduzione a I passi dell’ombra, una bella antologia dei versi di Levcev curata da Giuseppe Dell’Agata per Bompiani, è il figlio stesso, Vladimir, a offrirci alcune indicazioni importanti sulla poesia del padre (nato nel 1935, il poeta è mancato nel 2019 a Sofia). Anzitutto, il suo lavoro va compreso come parte di un rinnovamento generazionale che, all’inizio degli anni Sessanta, ha animato la poesia bulgara in nome sia di una visione più articolata e contraddittoria della realtà, sia di un maggiore libertà formale rispetto agli schemi espressivi ereditati. Vladimir, al quale tra l’altro è dedicata una delle poesie più struggenti del libro, offre poi una precisa descrizione espressiva di questi versi. «È una poesia», scrive ad esempio, «ricca di immagini vivide e adorna di numerose metafore. È musicale, ha i ritmi sincopati della poesia moderna, ma la sua essenza si fonda sulle immagini e sul paragone. Le sue metafore sono spesso strane, moderniste, ma nascono sempre da una realtà concreta». Ma è possibile farsi una ragione di questa stranezza ricorrendo direttamente al poeta: «Quando salta la corrente,/ io vedo/ infinite cose, invisibili alla luce».
Ben prima che nelle immagini particolari o nelle singole soluzioni espressive, l’aspetto irregolare e un po’ sghembo di queste poesie va trovato dapprima nel punto d’osservazione che il poeta ha saputo ricavarsi, una posizione sempre almeno un poco eccentrica rispetto alle situazioni di cui di volta in volta tratta, come se si trovasse con un piede dentro e uno fuori. Il distacco, in sostanza, non preclude la partecipazione, e anzi si giustifica proprio per il desiderio di entrare nella vita fino in fondo.
Parabole, vicende, sogni e visioni, immaginazioni anche assurde e surreali: quasi sempre la poesia di Levcev si configura come un piccolo racconto che conduce a una qualche conquista conoscitiva. Non è affatto un poeta che insegua il fermo immagine, il quadro definito, il cosiddetto correlativo oggettivo (la situazione o l’oggetto raffigurati che esplicitano di per sé il loro significato, senza bisogno dell’accompagnamento di una voce esterna). Al contrario, si sente sempre la voce che parla, che s’accalora, che spera, patisce o gioisce, e che comunque è in vena di confidenze, di passare al lettore quello che ha scoperto, di condividere anche solo i propri dubbi e domande («Come un grillo di città/ la mia voce interiore/ si interroga»).
Tanti minimi discorsi che incrinano la visione blanda o preventivabile delle cose: i parafulmini delle case, una donnola che ha preso dimora in cantina, l’immaginazione della madre in paradiso, il tradimento di un amico, la giovinezza e la vecchiaia, i fiumi della Bulgaria, poeti e maestri scomparsi, ma anche dialoghi con Cristoforo Colombo o con artisti come Cézanne e Manet. In primo piano o in filigrana che sia, si tratterà comunque anche e soprattutto di lui: «E io capisco/ (e tutti un giorno capiranno),/ che in realtà, / l’immaginato ero io».