Corriere della Sera - La Lettura
L’ossessione delle parole pulite
Debutti «Lingua madre», ambientato tra Bolzano e Berlino, di Maddalena Fingerle
Compie un grande salto di qualità Maddalena Fingerle (1993) con questo suo Lingua madre, Premio Calvino 2020, rispetto ai racconti che era venuta pubblicando su varie riviste, e in particolare a
Emme come Marta, nel quale già si provava nella tecnica narrativa e nel ritmo qui adottati. Un romanzo d’esordio in quattro tempi nel suo cadenzare il rapporto del protagonista Paolo Prescher con quella «parola» che, anziché «mamma», è stato il primo lemma da lui pronunciato. Un rapporto osmotico ove si consideri che Paolo Prescher altro non è che l’anagramma di quelle «parole sporche» che ne costituiscono quasi uno stato di natura da peccato originale, che gli comporterà una sorta di biblica «lotta con l’angelo» di purificazione.
La lotta inizia in casa, ove vive l’ossessione per il sudiciume che alle parole appiccicano la madre Giuliana e la sorella Luisa Prescher (nomi tutti anagrammabili), l’una che «fa le cose per moda»; l’altra che «parla come una rivista femminile». «Due false finte insopportabili» cui Paolo attribuisce la colpa della scelta dell’afasia da parte del padre, nei confronti del quale avvertirà sempre un senso di colpa per non aver trovato parole pulite per comunicare con lui; a maggior ragione dopo
che si sarà «affacciato» al balcone, finendo «sfracellato sotto casa», per una protesta, «Crepai, borghesi», già presente nel suo nome Biagio Prescher. Di qui la scelta del diciottenne Paolo di andarsene da una Bolzano «che gli fa schifo» con quel suo bilinguismo di facciata, mai realmente praticato, alla ricerca di parole pulite.
È Berlino a offrirgli quelle «parole pulite» che «sono così: dici una cosa e intendi quella cosa, sono vere e limpide, non ci sono associazioni mentali che le rovinano, che le macchiano o che le sporcano» e che «dicono quello che devono dire senza fare la doppia faccia». Ed è lì che conosce e si innamora di Mira di Pienaglossa, ossia «Sapone di Marsiglia», «bellissima soprattutto perché sincera», che trascorre le giornate nella biblioteca dove Paolo lavora, trovando il coraggio di confessare la sua ossessione.
Con Mira, rimasta incinta, torna in una Bolzano che riscopre diversa. Almeno sinché con la nascita della figlia, avverte intorno a lei il ritorno dello sporco delle parole che «pizzica e prude e brucia»
e dal quale vuol salvare anche la figlia, la piccola Maëlys che gli altri chiamano con la parola sporca «creatura», «questa bambolina che ha già sentito parole sporche e non ho parole pulite da dirle e le vorrei già chiedere scusa, se solo avessi parole pulite per farlo». L’espressione, al pari di «mi dispiace, cercherò parole pulite e poi te lo richiederò» pronunciata a inizio e fine romanzo (pagine 17 e 184), sottolinea come ci si muova in una storia di ossessione: per le parole, certo; ma soprattutto per quanto esse rappresentano di un rapporto sincero. Ossessioni dunque solo apparentemente linguistiche, perché ciò che Paolo vive è un problema identitario: con sé stesso, prima che con un luogo; o, se si vuole, con sé stesso proprio attraverso quel luogo. Proprio di chi vive il Sollbruchstelle ,il «punto di rottura prestabilito che può essere quello delle tavolette di cioccolata e per me significa confine», col timore di «sembrare strano» e non essere capito nelle sue scelte.
Maddalena Fingerle gestisce la storia con maestria nei suoi svolgimenti di tono e di ritmo: da quello tragicomico della situazione familiare e bolzanina, scoppiettante linguisticamente; al clima di armonia e pacificazione di Berlino; per poi precipitare, a Bolzano, in una scrittura che va facendosi via via sempre più strettamente e intimamente sincopata e concitata in un aggrovigliarsi di italiano e tedesco nel delirante strozzamento interiore di Paolo.
In tutto questo, per ogni fase, la scrittura opta per una mimesi linguistica dell’ossessione del protagonista, nella quale trovano posto anche associazioni letterarie, filosofiche e psicologiche esplicite e implicite, in una sorta di registrazione in diretta dei suoi pensieri: tese a «non sporcare le parole» che l’autrice offre al lettore.