Corriere della Sera - La Lettura
La scienziata sventò la razzia
Verità e no Simona Lo Iacono evoca la fisica Anna Maria Ciccone che nel 1944 a Pisa sfidò i nazisti
Nel 1944, a Pisa, Anna Maria Ciccone salva da sola l’Istituto di Fisica dalla razzia tedeschi. Dal coraggioso gesto, emerso di recente, prende le mosse La tigre di Noto di Simona Lo Iacono, che riporta alla luce un atto di eroismo quotidiano e la figura di una donna capace di inseguire la passione per la scienza a dispetto dell’opposizione della famiglia in una Sicilia retriva. Storia vera e ricostruzione romanzesca si intrecciano in un racconto in prima persona che ha il passo dell’antica tradizione orale, una sorta di didascalia agli scatti dell’album di famiglia a beneficio di Rosa, l’immaginaria figlia adottiva della scienziata. Ne emergono un personaggio intenso, che non si può non amare, un’appassionata difesa dello studio e della cultura come strumenti di libertà, una vicenda di determinazione e coraggio, di silenziosa ma tenace rivendicazione femminista ante litteram, di lotta ai pregiudizi: quelli atavici contro le donne e quelli folli di chi stermina un popolo.
Marianna non ci sta, e poco importa che abbia un occhio che va per conto suo, come già si vede nel giorno del battesimo: è il 1891 e a compensare il difetto, maligna la gente, penserà una cospicua dote. Le pagine dell’album scorrono, ed eccola bambina alle prese con una lente rudimentale per esplorare il mondo e l’indifferenza della madre, personaggio ostile in un romanzo che esplora i molti volti del materno, tutta concentrata sul fratellino Salvo, nato con un’insufficienza respiratoria, e incapace di comprendere perché la figlia si ostini a volersi rovinare l’unico occhio buono sui libri. Marianna ha capito presto che per gli uomini è più facile, eppure studia, con quello sguardo strabico che limita la bellezza ma apre gli orizzonti, si iscrive alle magistrali, legge Einstein, prende due lauree, a Roma e a Pisa, dove vive in affitto presso una donna che sotterra libri in un campo per non restituirli all’ex amante, mentre i genitori restano a Noto perché «l’università la fanno solo le donne poco serie».
Intanto la storia incalza, Mussolini è al potere, la Germania in mano ai nazisti e Marianna, su invito di uno scienziato tedesco di origine ebraica, nel 1935 trascorre sette mesi a Darmstadt, dove scopre le persecuzioni in atto e riesce a mettere in salvo il collega. Anche in Italia sono tempi bui, arrivano le leggi razziali, la guerra, l’8 settembre, i bombardamenti su Pisa, e la professoressa Ciccone ormai vive nell’Istituto, decisa a presidiarlo. Durante un allarme antiaereo, qualcuno adagia una bimba tra le sue braccia: ha circa tre anni, sul vestitino una stella gialla e non dice una parola, ma su di lei l’occhio della donna trova finalmente una direzione e insieme seppelliscono i tomi dell’Istituto. La razzia comincia il 23 giugno del 1944, ma quando Marianna dalla cantina sente per la prima volta la voce di Rosa si rivolge in tedesco ai soldati stupefatti, pronta a morire pur di difendere i materiali superstiti.
Vero storico e vero poetico, per dirla con Manzoni, si fondono così in quella minaccia salvifica di un’eroina silenziosa cui il romanzo restituisce finalmente parola.