Corriere della Sera - La Lettura
Sono Ginevra e mi chiamo Blu
Giorgia Tribuiani racconta la ricerca della propria identità da parte di una diciassettenne
Con Blu (Fazi) Giorgia Tribuiani si conferma una delle voci più interessanti della nostra narrativa, costruendo un secondo romanzo complesso e mosso nelle struttura con un linguaggio, che porta al limite l’ossessività paranoica, già caratterizzante l’opera prima. Centro della narrazione è la performance: Blu, il cui vero nome è Ginevra, è una diciassettenne colma di talento e paure, che spinta dalla sua professoressa d’arte del liceo viene in contatto con Dora Leoni, una delle più importanti performer artist della scena europea. La visione dell’istallazione della Leoni, una sorta di lavacro purificatore all’interno di una vasca da bagno, la bellezza della donna, la capacità di capire il nucleo oscuro di Blu spingeranno la ragazza a percorrere una sorta di viaggio nelle profondità dei propri peccati e ossessioni fino a una pacificazione e a un nuovo inizio.
Ad essere profondamente originale in Blu sono le scelte stilistiche; la prima e più evidente è legata all’elezione di una seconda persona singolare narrante, che permette alla Tribuiani un continuo passaggio tra interiorità ed esteriorità. L’esteriorità è rappresentata dagli altri, mentre l’interiorità è racchiusa in una fantomatica «stanza delle punizioni», dove la protagonista lava, monda e confessa i propri peccati.
L’altra caratteristica del romanzo è lo stile intessuto da un ritmo ossessivo e un ripetersi di frasi e giri di parole, che conducono il lettore dentro la mente della protagonista: «Blu, apri gli occhi. Chiudili. Aprili e chiudili: tre. Apri e chiudili: quattro. Aprili e chiudili: cinque. Non vorrai che accada qualcosa di brutto — aprili e chiudili, sei — a tua madre; non vorrai che tua madre — aprili e chiudili, sette — finisca al manicomio». La citazione dell’incipit rende visibile il fraseggiare sincopato e la riflessione sul male: Blu si vede come una sorta di urna che lo raccoglie tutto. La vita di Blu, le sue scelte esistenziali e artistiche, la sua ossessione per Dora e per la sua bellezza e per la
€ sua vita segreta diventano una sorta di rituale di espiazione. Blu assume su di sé, senza che nessuno glielo chieda, l’idea di essere il capro espiatorio e l’agnello sacrificale. Il lettore è così portato, per mezzo di una prosa avvolgente, nella mente di questa diciassettenne e dei suoi pensieri di morte, di violenza e di infinita tenerezza. Tutte queste tensioni si coagulano nella performance; l’arte si configura come una sorta di esperienza di ricomposizione della propria identità: l’artista è tale perché tramite l’invenzione produce una nuova immagine di sé. A dominare i deliri paranoici di Blu è, appunto, l’immagine di uno specchio, in cui si riflette il volto di Ginevra, di cui Blu è un soprannome/maschera.
Nella diade Ginevra/Blu, il «tu» diventa un dialogo intimo, in cui la protagonista è chiamata a scegliere il proprio nome, dismettendo la voce farneticante che ci ha guidato per l’intero libro. Così nelle righe finali leggiamo: «Sono Ginevra», dove il passaggio in prima persona sancisce la ritrovata identità della protagonista e chiude uno dei romanzi più interessanti della stagione.