Corriere della Sera - La Lettura
IL MASSIMO CON EDIPO RE E AMLETO SÌ, SONO UN «PIRANDELLISTA»
Roma, 9 maggio 1921 (alcuni riportano il 10 maggio), Teatro Valle, ore 21. Chissà se il pubblico romano del ’21 fu puntuale alle ore 21, quello storico giorno del ’21. Fu il giorno in cui andò in scena uno «strano» testo espressionista-futurista-come definirlo? Un capolavoro assoluto. Aveva un titolo bizzarro: Sei personaggi in cerca d’autore. Una vertigine. Credo che dopo Edipo Re e Amleto i Sei personaggi sia l’opera più «grande» che sia mai stata scritta per il teatro. Ma questa è una mia opinione. Sono un «pirandellista».
La «ricerca di un autore» è la «ricerca di una risposta» al «perché» della propria esistenza, «poiché» l’esistenza è l’unica possibilità umana di dare una risposta, anche sbagliata, alla propria domanda «...io che sono?» come diceva Leopardi. Risposta che possa dare un fondamento, una ragione, al proprio «essere nel mondo». Alla fine, i Sei personaggi restano sulla scena. Fissati per sempre. Nella loro impossibilità di «essere». Per sempre in attesa. Destinati, senza speranza di riscatto, a essere i tragici e goffi «fantocci» di una vita reale, su cui echeggia una risata sguaiata, volgare.
La risata della figliastra, altro fantoccio, che torna al suo «mestiere». «Fissata» nel suo correre a «vendersi», che è un’altra «recita» senza «perché». L’errore o l’erranza di ogni «errare» è forse cercare il «perché». Angelo Silesio dice: «La rosa è senza perché...». E Goethe gli fa eco: «Attieniti al “poiché” e il “perché” non domandare».
Quel 9 maggio 1921, al Teatro Valle, alla «prima» dei Sei personaggi in cerca d’autore c’erano proprio tutti... Meno uno. Non c’era Silvio d’Amico: il critico italiano più importante, amico di Pirandello che, prudentemente... stava male. E così la «critica» alla «première» della messinscena del «testo» che avrebbe cambiato per sempre il teatro, la «critica di Silvio d’Amico»... non c’era. Al suo posto andò Arnaldo Frateili, appassionatissimo ammiratore e giovane amico del genio di Agrigento. Il 10 maggio 1921 i «sostenitori» di Pirandello erano preparati. Erano pronti a tutto. Remigio Paone, Galeazzo Ciano (che non aveva ancora incontrato la famiglia e Mussolini), il musicista Mario Labroca, due maniaci di teatro Bruno Frattini e Paolo Giordani e, la persona più importante in questa «squadra di difesa per Pirandello» (così la chiamarono), un pugile, peso massimo, Paolo Bosisio. Pirandelliano pure lui. Pronti a menare le mani se fosse stato necessario. Le «prove» dei Sei personaggi erano iniziate circa tre mesi prima. Beati loro, quanti giorni di prove! Pensare che, allora, si provava una settimana!...
Alla fine della rappresentazione ci fu il «delirio»!... Fischi, insulti, minacce, cazzotti... tra i pirandelliani e gli antipirandelliani. Si dovettero menar le mani! Cosa darei per esserci stato!... Protetto dal comitato di difesa, Pirandello, sorridente, e la figlia Lietta, uscirono dal Teatro Valle mentre gli spettatori inferociti lo aspettavano all’«Uscita degli Artisti» per tirare addosso al grande drammaturgo delle monetine. Monetine addosso al «ciarlatano» Pirandello, gridandogli «manicomio... manicomio...».
Poi, una carrozza, che qualcuno aveva miracolosamente trovato, riportò l’«Autore» nella sua casetta, «in una traversa in fondo alla Nomentana, alla vista degli orti» (come aveva scritto in una novella). Per tutta la strada Lietta e suo padre non dissero una parola. E rimase per tutto il tragitto, Luigi Pirandello, con un sorriso, come se lo avesse dimenticato sulle labbra. Come una maschera.