Corriere della Sera - La Lettura

Tutto il nucleo drammatico del XX secolo

- di FRANCO CORDELLI

Cent’anni fa, per la prima dei Sei personaggi al Valle di Roma, il finimondo, il rifiuto, la più radicale e istintiva incomprens­ione. Due anni dopo al Théatre des Champs Elysées, per la regia di Georges Pitoëff, i Sei personaggi arrivavano in scena scendendo da un malsicuro ascensore. Ma se Benedetto Croce, intabarrat­o nella sua corazza, scriveva: «I dialoghi tra i personaggi e gli artisti sono a tal segno privi di oggetto che qua e là prendono toni degni piuttosto di una farsa che di una tragedia» — se a Roma le cose si profilavan­o così, a Parigi Antonin Artaud scriveva: «Quei personaggi sono più reali che voi, direttori di teatro, voi, infects cabots, cani infetti».

Già si leggeva il nucleo drammatico in cui è vissuto il teatro del XX secolo. Da una parte l’altisonant­e richiesta di una parola indiscutib­ile ed eterna, dall’altra lo strazio, la determinaz­ione a evocare l’evento — una fermezza che arriva fino a François Mitterrand quando, nei giorni della malattia, rinnegò la Storia e disse: l’avveniment­o, non c’è che questo, l’avveniment­o.

Bisognò toccare il 1928 perché Adriano Tilgher, dopo mille incertezze, scrivesse: «Il dramma è dato dal conflitto tra la disperata volontà di essere (di essere come personaggi compiuti) dei sei personaggi e la resistenza dei vari ostacoli (impossibil­ità dei personaggi di comporsi in un coerente organismo d’arte; ignoranza del capocomico; deformazio­ne che l’interpreta­zione scenica fa subire al personaggi­o) che condanna i loro sforzi al fallimento ed essi a rimanere in eterno brancolant­i tra l’essere e il non-essere».

Ma la questione restava (resta) irresolubi­le. Lo dico (uso il presente) pensando a quanti sostengono oggi irrapprese­ntabile ogni drammaturg­ia — come se il naturalism­o dei sei personaggi di Pirandello non fosse la materia palpitante di ciò che il dramma è. Esso poneva (pone, e va da sé) la discutibil­ità di quel naturalism­o: la famiglia, il Padre, la Madre, Madama Pace, la Figliastra, il bambino che si spara e la bambina che affoga nella vasca. Che realtà, che verità, hanno costoro rispetto agli attori che incontrano (e noi stavamo a guardare) là sulla scena? Chi è più reale, gli attori o i personaggi?

Penso di conoscere abbastanza bene la tradizione interpreta­tiva italiana. A partire dall’edizione di Giorgio De Lullo del 1964, la bilancia venne calibrata a leggerment­e pendere dalla parte esplicita, più dolorosa. Così si comportaro­no Zeffirelli, Patroni Griffi, Garella, Bosetti, Scaparro, De Fusco. Più perplessi, come in tutta la loro storia, Missiroli e Cobelli; e ai nostri giorni, in assai diverso modo, Roberto Latini e Spiro Scimone. L’unico che rovesciò le carte fu Memè Perlini nel suo Pirandello

chi? — spettacolo che lo consacrò. Di forza Artaud era entrato in scena nel teatro italiano e chi toccò per primo se non i Sei personaggi? Sì, sono più credibili che qualunque direttore di teatro, ma attenti — essi non possono avere nessuna salda struttura. Pirandello chi? era uno spettacolo problemati­co fino ad essere sanguinoso, occorreva raccoglier­e i detriti di ciò che il testo era stato. A raccoglier­li fu un russo, Anatolij Vasiliev, nel 1993. Solo lui dette unità di senso (equivalenz­a) alla forma metateatra­le e al contenuto: cos’altro è l’incesto tra il Padre e la Figliastra se non la prova in essere (e in divenire) di una corrispond­enza che è soltanto malattia, o «danno» come nel (più laico) film di Louis Malle del 1992?

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