Corriere della Sera - La Lettura
Il segugio di Velasco nell’Aula di Falcone
La mafia non conosce distanziamento, non va in lockdown. E per sfidare l’azione di Cosa nostra, il piano di «design sociale» Spazi Capaci/Comunità Capaci dissemina opere e installazioni a Palermo nel 29° anniversario della strage in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie e la scorta. Tra le iniziative, Velasco Vitali
porta 53 sculture di cani (più uno d’oro) nel luogosimbolo della lotta alla criminalità: l’Aula Bunker
La mafia non agisce da remoto. «Compa’, a presenza è potenza».
Ad Agrigento i due padrini si vantano. Al vuoto esasperato dalla pandemia l’organizzazione risponde chirurgica. Niente distanziamento.
Le intercettazioni dei carabinieri rimandano un’immagine nitida. Febbraio 2021: la procura di Palermo colpisce diversi mandamenti nel cuore della Sicilia, tra i 23 fermi disposti dal gip c’è quello di Matteo Messina Denaro, di cui però non si sa più niente dal 1993. L’inchiesta ridisegna la mappa degli interessi, il metodo di controllo, inchioda mele marce dentro lo Stato («abbiamo un joystick che colpisce questo o quel nemico») e dimostra che non c’è virus che tenga: «A presenza è potenza».
La reazione civile usa anche la creatività come mezzo. E parte da qui. «Quando ho letto quelle frasi mi si è gelato il sangue. La pandemia genera solitudine, i rapporti si sfilacciano, le persone sono chiuse in casa e l’economia arranca. La crisi è diventata il nuovo bancomat del consenso sociale per i clan: sfruttano il vuoto». Alessandro de Lisi, giornalista, scrittore, curatore, si dà da fare: «Il vuoto dobbiamo riempirlo. La presenza deve essere la nostra. Bisogna ricominciare a essere comunità». È nato così, a Palermo,
Spazi Capaci/Comunità Capaci, un piano di «design sociale» curato da de Lisi e prodotto da Fondazione Giovanni Falcone e ministero dell’Istruzione per il ventinovesimo anniversario della strage costata la vita al giudice, alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
«Abbiamo costruito, con alcuni tra i maggiori artisti italiani ed europei, un programma di interventi urbani nei luoghi simbolo del riscatto contro le mafie, in omaggio alla città», spiega Maria Falcone, sorella del magistrato e presidente della fondazione. L’idea è riagguantare gli spazi, portarci le scuole, «tornare a viverli, partendo da Palermo e viaggiando poi in tutto Paese. Un cammino lungo tre anni». Traguardo: 2023, trentennale degli attentati di via dei Georgofili a Firenze, delle chiese di Roma, di via Palestro a Milano.
Si parte ufficialmente il 23 maggio, lo stesso giorno in cui Cosa nostra faceva saltare a Capaci 500 chili di tritolo — è atteso a Palermo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi — eppure le tracce sono già evidenti. Il messaggio si veste di impalcature pop, in grado di agganciare i più giovani: «Mai scadere nella retorica o nella liturgia della commemorazione», sottolinea Maria Falcone. Per vedere il primo intervento della serie bisogna puntare sul rione Brancaccio: un murale ancora fresco ritrae padre Pino Puglisi, prete scomodo che difendeva i ragazzi, lì dove è stato assassinato nel 1993. «Se fai don Pino alto tre piani — afferma il curatore — stai dicendo che hai spento una vita ma acceso un incendio». Altre opere si intrecciano, realizzate, realizzande, progettate da qui a settembre, in un crescendo che si avvita al simbolo
tra i simboli: l’Aula Bunker del carcere Ucciardone, teatro del primo, grande processo alla mafia nella storia d’Italia. «È la straordinaria struttura in cui si è salvata la reputazione di una nazione». Dove ancora oggi si celebrano regolarmente udienze, arriva l’arte contemporanea. Ed è un’arte che corre fra i banchi, entra nelle gabbie degli imputati, sale sugli scranni, fra le tribune e preme agli ingressi blindati dei cortili. L’installazione è fatta di cani randagi plasmati nel cemento, nel ferro, nel bronzo. È il Branco che fa irruzione.
L’operazione ad alto impatto nell’Aula Bunker è firmata da Velasco Vitali: 54 sculture a grandezza naturale punteggiano interni ed esterni da oggi, 16 maggio, a domenica prossima (visite ultra-contingentate per i livelli di sicurezza massimi, ma la performance sarà immortalata in un docufilm), spostandosi poi, fino al 23 settembre, tra la strada e gli ingressi. Un punto visibile da ogni passante, lo stesso in cui il 16 dicembre 1987, giorno delle condanne in primo grado, un avvocato dettava ai cronisti: «Tutte storie, in Cassazione ci assolvono». Finirà diversamente. «Ecco perché — continua de Lisi — questo è il più importante monumento non permanente d’Europa contro il ricatto criminale».
Branco 2021 deriva da un’ispirazione a cui l’artista lecchese lavora da 20 anni. Metafora della ricerca d’identità e della lotta per l’affermazione del potere, il gruppo ha geometrie variabili: si arricchisce di elementi, si alleggerisce, cambia e viaggia. Gli animali hanno movimenti carsici, nel tempo sono apparsi e scomparsi: alla Reggia di Venaria a Torino, al Palazzo Reale di Milano, nelle piazze di Pietrasanta (Lucca), al Vittoriale di Gardone Riviera. «Ma qui è diverso, qui è di più», spiega Velasco. L’immagine dei randagi all’Ucciardone è potente e sfiora la provocazione. Lui stesso lo ammette: «Mi muovo su un piano sdrucciolevole, so che forse il lavoro può essere male interpretato. È un rischio che devo correre. In questo luogo lo scontro fra legge e fuorilegge è all’ennesima potenza, portarci il
Branco significa forzare la metafora al livello più profondo e più feroce».
I cani sciolti evocano aggressione, difesa, occupazione, discriminazione. «Le bestie oscure sono i violenti, gli abusivi che, forti del gruppo, tentano la risalita dall’inferno e assaltano gli spazi democratici». Eppure trovano un argine. «Solitario, un segugio d’oro è a guardia delle carte giudiziarie». Sta stoicamente piantato fra gli scaffali a difendere l’istruttoria monstre che ha portato a 349 udienze, 1.314 interrogatori, 475 imputati, pene per 2.665 anni di reclusione, 19 ergastoli, 327 condanne, 114 assoluzioni. «Le sculture sono 54, come gli anni di Giovanni Falcone più uno, ed è un auspicio: la giustizia non si ferma. Tra quelle pareti lo Stato ha vinto, con un’immagine voglio affermare che la società può migliorare davvero». Non è semplice. «Ricordo il primo sopralluogo. Ho pensato: forse è una cosa più grande di me. È un onore essere coinvolto».
Il maxiprocesso avviato il 10 febbraio 1986 a Palermo cristallizza la reazione delle istituzioni a una guerra tra cosche che, negli anni precedenti, era costata quasi mille vittime. È uno spartiacque nella lotta al crimine organizzato — mai prima di allora in un tribunale erano comparsi i vertici di Cosa nostra e decine di criminali, estorsori e uomini d’onore — e la vittoria del pool formato da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. Lo spazio in cui viene celebrato è edificato ad
hoc. Non solo gabbie e sistemi di sicurezza avveniristici: i rischi sono tali che anche la copertura è a prova di attacco missilistico. Oggi resta un monumento vivo e in piena attività — ogni statua di Velasco, prima di essere installata, è stata bonificata e passata ai raggi X — in cui de Lisi già nel 2018 aveva ottenuto di celebrare la memoria esponendo l’Adorazione dei
pastori di Gherardo delle Notti (15921656), sfregiata nella strage dei Georgofili.
«Adesso andiamo oltre. L’arte contemporanea, con tutta la sua energia, entra in un polo operativo della giustizia: sono convinto che non possa essere spettatrice. Serve riportare, e presto, all’attenzione del pubblico e nell’agenda delle istituzioni la lotta alla criminalità. Siamo grati a Velasco Vitali per avere accettato la sfida». La scelta è caduta su di lui perché «il messaggio del suo lavoro è molto chiaro e oggi è ciò di cui abbiamo bisogno: lo scontro fra il bene e il male, con la vittoria del bene, diventa plastico».
I primi pezzi del gruppo sono nati proprio in Sicilia, molto tempo fa. «Alcuni restano — prosegue lo scultore —, altri sono stati sostituiti». Il bracco è la razza predominante ma non è la sola. «Parecchi cani sono meticci». Questo agglomerato in costante evoluzione racconta «un’architettura sociale» e l’identità che si fa, si ricrea, si disfa, si perde. «A ogni randagio ho dato il nome di una città fantasma, abbandonata: Varosha, Pripjat, Bodie, Kopachi, Capomaggiore Vecchia». La ricerca filtra anche nella scelta dei materiali: «Mi è capitato di recuperarli nelle discariche. Io sono uno scultore senza studi d’accademia, dunque abusivo: perciò ho deciso di servirmi degli scarti dell’abusivismo edilizio». Gli animali di cemento nascono in un giorno, per quelli di lamiera raddrizzata a martellate servono anche due o tre mesi. Il cane di bronzo dorato negli archivi dell’Aula Bunker ha preso forma con la tecnica della cera persa, un’alchimia antica riservata solo ad alcuni esemplari. Preziosa, come il messaggio che a lui è stato affidato.