Corriere della Sera - La Lettura

Gita dal faro. Ma verso dove?

- Di ANTONELLA LATTANZI

La britannica Emma Stonex si è ispirata alla sparizione di tre guardiani su un’isoletta delle Ebridi nel 1900 per elaborare una storia sulla solitudine, sui rimpianti, sui segreti e sulle bugie che raccontiam­o alle persone che amiamo

In Bambini nel tempo, Ian McEwan usa un’espression­e che non mi è mai passata di mente. La figlia del protagonis­ta è scomparsa, la sua vita è finita, eppure quando lui torna a casa tutto è come l’ha lasciato, come non fosse successo niente. McEwan la chiama «la cospirazio­ne testarda delle cose». Il lavabo è rimasto dov’era, il divano non si è spostato di un millimetro, lo sporco per terra è lo stesso di sempre. Le cose non sanno cosa ti è successo, non sanno quando la tua vita è finita, e non lo sanno, in realtà, nemmeno le persone. Continuano a ridere, fare figli, buttare cibo avariato che staziona da chissà quanto in frigo: continuano a farlo anche quando a te è accaduta una tragedia. O quando muori.

Non c’è niente di sbagliato in ciò, è la vita, come si dice: ma quando ti accade qualcosa di orribile, ti sembra assurdo che tutto il mondo non esploda con te. Nel dicembre del 1900, tre guardiani sparirono da un faro sull’isola di Eilean Mòr (Ebridi, Scozia). Non se ne seppe più nulla. Oggi Emma Stonex, autrice al suo esordio, prende ispirazion­e da quel fatto realmente accaduto per raccontare, attraverso la storia inventata di tre guardiani scomparsi nel nulla il 31 dicembre 1972 da un faro di nome la Fanciulla, costruito in mezzo al mare in Cornovagli­a, la cospirazio­ne testarda delle cose e delle persone che rimangono. Le cose che sono rimaste in quel faro da cui i guardiani sono scomparsi: la porta chiusa dall’interno, una tazza con un fondo di tè, la tavola apparecchi­ata, due orologi fermi alle otto e tre quarti. Le persone e le cose che, fuori dal mare, sulla terraferma, sono rimaste.

Il romanzo si intitola I guardiani del faro (traduzione di Marco Rossari) e non è solo la storia di un mistero — che fine hanno fatto Arthur, Bill e Vince? — e non è solo la storia delle loro donne rimaste a terra senza una risposta. Non è solo la storia di uno scrittore che, vent’anni dopo, torna sul posto per risolvere il mistero. Tutto ciò è il vestito di questo romanzo. La pelle, il sangue, le ossa di I guardiani del faro sono altro. Sono la storia di tre donne che reagiscono in modo diverso a uno strappo doloroso e inconcepib­ile: puoi cercare di andare avanti come fa la moglie di Arthur, puoi bere tutto l’alcol che c’è e rimanere in lacrime in attesa che tuo marito torni, come fa la moglie di Bill, puoi sposarti e avere figli e cercare di scappare il più lontano possibile dal faro, come fa la fidanzata di Vince.

E gli altri? Per gli altri sono passati vent’anni. La cospirazio­ne testarda delle loro vite che continuano è iniziata da un bel po’. Ma I guardiani del faro non è nemmeno solo la storia di queste tre donne. È anche la storia di quei tre guardiani del faro sùbito prima che scompaiano. Tre uomini diversi, di età diverse — Arthur primo guardiano, Bill primo assistente, Vince secondo assistente — con vite diverse dietro di sé, lì sulla terra — troppo lontano dal Faro — che vivono per mesi in isolamento. Rinchiusi insieme in un faro. In mezzo al mare. In mezzo alle tempeste. Ed è la storia di questo incredibil­e, immenso personaggi­o che ci circonda tutti: il mare.

«Prima di lavorare in un faro», dice uno dei guardiani, «pensavo che il mare fosse sempre dello stesso colore, non credevo che ne avesse altri oltre al blu e al verde, ma in realtà non è quasi mai blu o verde. Ha un’enorme gamma di colori: più che altro tonalità del nero, del marrone, del giallo, dell’oro, a volte del rosa, quando è mosso». Arthur la ama, quella distesa in tempesta che lo assale. Bill la odia, perché non ha potuto scegliere: è sempre stato predestina­to a quel lavoro.

Per Vince è una promessa: l’ultima occasione dopo aver troppo sbagliato. Ed è così che I guardiani del faro diventa un romanzo sulla solitudine, sulle bugie che continuiam­o a dire a coloro che amiamo nella speranza che, se non gli riveliamo chi siamo davvero, possano amarci ancora, e per sempre.

È un romanzo di oggetti, di cibo da cucinare in cattività, di quando arrivano le scorte di carne fresca, della burrasca che potrebbe ucciderti ogni volta che vuole. È un romanzo di rimpianti — tutto quello che non hai detto prima che fosse troppo tardi. È un romanzo di segreti — come si può immaginare ognuno dei personaggi di I guardiani del faro ha un segreto — ma i segreti più importanti non sono quelli che hanno a che fare con il giallo. Sono quelli che hanno fatto sì che, ancor prima della scomparsa fisica, ognuno di questi personaggi stesse già scomparend­o dalla vita di chi più amava, pian piano. Come può capitare a tutti noi di scomparire ogni giorno, ogni giorno di più, se non prendiamo coraggio e non ci riveliamo prima di tutto a noi stessi per ciò che siamo. È un romanzo sulla perdita e sulle occasioni perse. Le pagine più belle sono quelle ambientate nel ’72 all’interno del faro, poco prima della scomparsa di Arthur, Bill e Vince. È il racconto di quel piccolissi­mo mondo fatto di piccolissi­mi gesti — cucinare, lavare, radersi, occuparsi del faro, sparare con la pistola antinebbia, tenere accesa e funzionant­e la luce del faro, dormire in tre in pochissimo spazio, seppur estranei, fumare, guardare la tv, russare, dirsi meno parole possibile.

In quel piccolo mondo umidissimo, congelato dal fiato del mare, scivoliamo anche noi. Ci chiudiamo lì dentro. E allora può capitare anche a noi, in una notte di tempesta in cima al faro, di vedere una barchetta con la vela floscia e un piccolo marinaio che sembra perso tra le onde, avvicinars­i pericolosa­mente alla nostra roccaforte nel nulla, e di vederlo, invece, poi, sollevare la mano per salutarci e sparire. Se tornasse, sarebbe un amico o un nemico?

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