Corriere della Sera - La Lettura

Mamma e papà erano già due personaggi

Elvira Lindo scrive un romanzo familiare. Sulle orme di Natalia Ginzburg e Richard Ford

- Di PAOLO LEPRI

Il segreto di A cuore aperto viene svelato proprio nei «Ringraziam­enti». In un libro c’è chi guarda subito, magari per curiosità, le poche o molte righe che mettono in luce i contributi ricevuti dall’autore. Oppure sono in molti a trascurarl­e, pensando di trovare un non indispensa­bile elenco di persone. Meglio, invece, scorrerle al momento giusto, finita la lettura, perché in questo caso contengono una sorpresa. Sono l’altra faccia della dedica, che ricorda serenament­e «i miei fratelli, Inma, Manuel e César, con affetto e gratitudin­e, per tanti anni di buona compagnia». Li ritroverem­o poi, qui e là, presenze importanti. «Ho sempre pensato — confessa in quell’ultima pagina Elvira Lindo — di trasformar­e i miei genitori in personaggi da romanzo perché così li ho sempre visti, a volte con ammirazion­e, altre con turbamento, fin da piccola». Manolo e Antonia — padre e madre della scrittrice, lui vitalista e abituato al comando, lei malferma di salute, esistenzia­lmente sfuggente, legati tra loro «dall’amore pericoloso dei diseguali» — sono stati immaginati «letteraria­mente» dall’inizio, tra finzione e realtà, molto prima del testo che li racconta.

Chi li ha fatti diventare «personaggi» ha affinato la sua sensibilit­à volendo loro bene, osservando con acutezza tutte le rispettive intermitte­nze. A cuore aperto, quindi, non è soltanto un romanzo familiare (e un omaggio a una generazion­e, vissuta durante il franchismo, che ha sopportato anni difficili) ma anche un romanzo di formazione, come ha notato per primo Manuel Vilas. In questo doppio percorso c’è la ragione della sua forza. Guardando agli esempi, Elvira Lindo (creatrice di Manolito Gafotas, un classico della letteratur­a infantile), ha fatto soprattutt­o i nomi di Natalia Ginzburg, per Lessico famigliare, e di Richard Ford, che ha dedicato alla storia incrociata dei genitori il suo libro migliore, Tra loro. In parte diverso il caso di Joan Didion, che in L’anno del pensiero magico affida a una sorta di diario la disperazio­ne per la scomparsa improvvisa del marito («la morte non lascia deboli tracce, non lascia segni di matita»). Ma anche la scrittrice spagnola parla, con uguale intensità, di «tristezza esatta, pura, priva di paura e rimorso».

La lezione maggiore sembra venire però da Alice Munro, che in La vista da Castle Rock indaga sulla sua famiglia paterna, con un occhio alla propria infanzia, e nei racconti più classici produce strappi decisi nel

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