Corriere della Sera - La Lettura
La lingua vagabonda delle sciamane
Antoine Volodine apre la nuova opera con un racconto «tradizionale» ma è nelle altre due parti che scatena la sua immaginazione e il suo stile allucinato. Lo fa al servizio di un’umanità perduta nel futuro
Il mondo di Antoine Volodine è arido e spoglio, il cielo azzurro e terso: paesini di montagna isolati, abitanti sparuti e taciturni che sanno di lana lercia, pecore e fuoco. È lì che si muove Eliane Schubert, voce narrante della prima parte di Streghe fraterne, nuovo romanzo dello scrittore francorusso, interprete di quel «post-esotismo» perseguito anche dai suoi alter ego, scrittori imprigionati che hanno ognuno una propria biografia e insieme formano un collettivo di cui Volodine si considera soltanto il portavoce. Tra loro ci sono Manuela Draeger (per Clichy nel 2013 è uscito Undici sogni neri) e Lutz Bassmann di cui 66thand2nd ha tradotto Black village. La poetica del post-esotismo è basata sull’idea che l’autore sia una figura superata e la letteratura un gesto, più che politico, filosofico. Le storie personali di autori, narratori e personaggi sono legate alle guerre e agli orrori del secolo breve che l’umanità non è stata in grado di evitare. Volodine arriva dalla fantascienza, ma le sue non sono distopie, catastrofi proiettate nel futuro sulla base di segni percepibili nel presente, quanto piuttosto realtà alternative radicate in un Novecento insanguinato e colpevole, dove in confini tra vivi e morti sono labili e i concetti di spazio, tempo, durata sono più vicini ai miti che alla realtà come noi la conosciamo.
Volodine naviga al largo dalle tendenze letterarie del momento, frantuma i confini dei generi letterari, ne inventa di suoi, non cerca una narrativa «facile» né ambientazioni convenzionali, ama i grigi, spesso il nero, e se bellezza c’è nei suoi libri, è la bellezza malata, violata di un mondo in rovina che ha anche in questo libro le caratteristiche geografiche e paesaggistiche del Caucaso.
Cinque anni dopo Terminus radioso (pubblicato sempre da 66thand2nd), il romanzo vincitore in Francia del prestigioso Prix Médicis 2014, ambientato in un mondo contaminato, invivibile per le esplosioni nucleari, ecco di nuovo una vicenda calata in un’atmosfera cupa e incerta, un tempo post-rivoluzionario che parla di ferocia, stregonerie, stupri, libertà, ma anche del potere di parole e voci che sembrano emergere intatte dagli abissi del tempo.
Streghe fraterne è un trittico: tre testi (che la sensibilità della traduttrice Anna D’Elia rende al meglio) molto diversi tra loro come genere, tutti e tre legati alla dimensione teatrale e allo sciamanesimo. Il sottotitolo, Intrarcane, come già in Gli animali che amiamo, suggerisce pratiche magiche, ma anche una narrazione che è un misto di musica e sogno.
Eliane Schubert, dunque, è la protagonista della prima parte del romanzo, l’unica delle tre che abbia la forma di un racconto tradizionale (Teatro o morte èil titolo) con uno svolgimento. Siamo in un mondo e in un periodo in cui la mancanza di elettricità e l’usura delle apparecchiature tecnologiche hanno definitivamente eliminato la televisione e le comunicazioni elettroniche, il cinema è finito ancora prima e il teatro è una delle poche forme d’arte che ha continuato a sopravvivere contro ogni previsione. Eliane è una sopravvissuta, lo capiamo ascoltandola mentre viene sottoposta a un interrogatorio (struttura narrativa centrale del post-esotismo) da una sorta di inquisitore che, con domande lapidarie, le chiede solo i fatti, stroncando sul nascere digressioni, descrizioni, riflessioni, quasi a voler espungere dalla narrazione ciò che si nasconde nelle pieghe della storia, ma anche la ricchezza della parola. «Basta con considerazioni soggettive e basta con gli aggettivi»; «Troppi dettagli»; «Basta elucubrazioni»; «Ci risparmi queste considerazioni da due soldi»: l’inquisitore è perentorio, odioso, ma questo lo rende molto efficace dal punto di vista narrativo e imprime al racconto una spinta drammatica, una suspense che afferra il lettore e lo spinge ad andare avanti.
Eliane racconta il vagabondaggio della Gran Nidiante, una compagnia teatrale per la maggior parte femminile: gli attori viaggiano su due pulmini sgangherati carichi di fagotti recitando farse medievali nelle valli e nelle colline di una sorta di mitica, semi-desertica Asia Centrale per un pubblico di straccioni come loro. Caduta nelle mani di una banda di briganti che massacrano prima gli uomini, poi le donne, Eliane viene ridotta a schiava del sesso, mentre le «oscure vociferazioni», stralci di una «cantopera» (un altro dei generi inventati da Volodine che ne ha scritta una nel 2004, con il musicista Denis Frajerman), ha appreso dalla madre e dalla nonna. A metà tra invocazioni e slogan agitprop, sembrano arrivare dal nulla, forse da un inconscio collettivo da cui riacquistano la loro funzione magica, sciamanica, diventando uno dei pilastri della vita mentale di Eliane, una forza specificatamente femminile.
Se la prima parte è la più accessibile, la seconda è costituita interamente da queste 343 «strane vociferazioni», che si leggono una dopo l’altra su pagine non più numerate. Potrebbero sembrare un esempio di poesia surrealista: frasi in maiuscolo piene di imperativi assurdi e combinazioni verbali inaspettate con una retorica rivoluzionaria distorta e a tratti ridicola. Sono ispirate agli Slogans di Maria Soudaïeva, una sciamana siberiana e coreana dalla mente squilibrata che l’autore avrebbe conosciuto a Macao e di cui ha tradotto in francese la raccolta. La la terza parte del libro, Dura nox, sed nox, è formata da cento pagine che scorrono senza un punto (solo virgole e molti puntini di sospensione). Il lettore viene trascinato nel martellante, angoscioso, lungo monologo interiore di un personaggio, forse umano, forse divino, certo malvagio, con le sue innumerevoli incarnazioni, maschili e femminili che si sono succedute nel corso dei millenni. Padre incestuoso, assassino, cannibale, stupratore, l’essere si evolve in un mondo in cui le distinzioni tra animali e umani, tra uomini e donne non hanno valore.
Nel complesso Streghe fraterne non è di facile lettura, risulta a tratti estenuante, ma la scrittura è sempre pervasa da un piacere verbale che mescola linguaggio, poesia, politica e si traduce, nella terza parte, in maliziose e umoristiche allusioni alla realtà, a fatti e personaggi storici, come il dittatore comunista cambogiano Pol Pot e la sua «copia in ceramica da quattro soldi», Madeleine Polpotte. Un umorismo nero che diventa anche autoparodia e chiama in causa lo stesso autore e gli altri post-esotici con le loro «quartine» che «un tempo Volodine, per pura gelosia meschina, aveva sottaciuto, presumibilmente perché lo splendore ritmico della loro prosa, a differenza della sua, trasportava immediatamente in uno stato di estasi che poteva durare settimane, per non parlare del fatto che rispediva nel dimenticatoio della letteratura i laboriosi tentativi dei prigionieri scrittori di cui Volodine aveva parlato e che, chissà perché, avevano conosciuto la gloria editoriale, o per lo meno una certa notorietà dentro il braccio di estrema sicurezza».