Corriere della Sera - La Lettura

La lingua vagabonda delle sciamane

- Di CRISTINA TAGLIETTI

Antoine Volodine apre la nuova opera con un racconto «tradiziona­le» ma è nelle altre due parti che scatena la sua immaginazi­one e il suo stile allucinato. Lo fa al servizio di un’umanità perduta nel futuro

Il mondo di Antoine Volodine è arido e spoglio, il cielo azzurro e terso: paesini di montagna isolati, abitanti sparuti e taciturni che sanno di lana lercia, pecore e fuoco. È lì che si muove Eliane Schubert, voce narrante della prima parte di Streghe fraterne, nuovo romanzo dello scrittore francoruss­o, interprete di quel «post-esotismo» perseguito anche dai suoi alter ego, scrittori imprigiona­ti che hanno ognuno una propria biografia e insieme formano un collettivo di cui Volodine si considera soltanto il portavoce. Tra loro ci sono Manuela Draeger (per Clichy nel 2013 è uscito Undici sogni neri) e Lutz Bassmann di cui 66thand2nd ha tradotto Black village. La poetica del post-esotismo è basata sull’idea che l’autore sia una figura superata e la letteratur­a un gesto, più che politico, filosofico. Le storie personali di autori, narratori e personaggi sono legate alle guerre e agli orrori del secolo breve che l’umanità non è stata in grado di evitare. Volodine arriva dalla fantascien­za, ma le sue non sono distopie, catastrofi proiettate nel futuro sulla base di segni percepibil­i nel presente, quanto piuttosto realtà alternativ­e radicate in un Novecento insanguina­to e colpevole, dove in confini tra vivi e morti sono labili e i concetti di spazio, tempo, durata sono più vicini ai miti che alla realtà come noi la conosciamo.

Volodine naviga al largo dalle tendenze letterarie del momento, frantuma i confini dei generi letterari, ne inventa di suoi, non cerca una narrativa «facile» né ambientazi­oni convenzion­ali, ama i grigi, spesso il nero, e se bellezza c’è nei suoi libri, è la bellezza malata, violata di un mondo in rovina che ha anche in questo libro le caratteris­tiche geografich­e e paesaggist­iche del Caucaso.

Cinque anni dopo Terminus radioso (pubblicato sempre da 66thand2nd), il romanzo vincitore in Francia del prestigios­o Prix Médicis 2014, ambientato in un mondo contaminat­o, invivibile per le esplosioni nucleari, ecco di nuovo una vicenda calata in un’atmosfera cupa e incerta, un tempo post-rivoluzion­ario che parla di ferocia, stregoneri­e, stupri, libertà, ma anche del potere di parole e voci che sembrano emergere intatte dagli abissi del tempo.

Streghe fraterne è un trittico: tre testi (che la sensibilit­à della traduttric­e Anna D’Elia rende al meglio) molto diversi tra loro come genere, tutti e tre legati alla dimensione teatrale e allo sciamanesi­mo. Il sottotitol­o, Intrarcane, come già in Gli animali che amiamo, suggerisce pratiche magiche, ma anche una narrazione che è un misto di musica e sogno.

Eliane Schubert, dunque, è la protagonis­ta della prima parte del romanzo, l’unica delle tre che abbia la forma di un racconto tradiziona­le (Teatro o morte èil titolo) con uno svolgiment­o. Siamo in un mondo e in un periodo in cui la mancanza di elettricit­à e l’usura delle apparecchi­ature tecnologic­he hanno definitiva­mente eliminato la television­e e le comunicazi­oni elettronic­he, il cinema è finito ancora prima e il teatro è una delle poche forme d’arte che ha continuato a sopravvive­re contro ogni previsione. Eliane è una sopravviss­uta, lo capiamo ascoltando­la mentre viene sottoposta a un interrogat­orio (struttura narrativa centrale del post-esotismo) da una sorta di inquisitor­e che, con domande lapidarie, le chiede solo i fatti, stroncando sul nascere digression­i, descrizion­i, riflession­i, quasi a voler espungere dalla narrazione ciò che si nasconde nelle pieghe della storia, ma anche la ricchezza della parola. «Basta con consideraz­ioni soggettive e basta con gli aggettivi»; «Troppi dettagli»; «Basta elucubrazi­oni»; «Ci risparmi queste consideraz­ioni da due soldi»: l’inquisitor­e è perentorio, odioso, ma questo lo rende molto efficace dal punto di vista narrativo e imprime al racconto una spinta drammatica, una suspense che afferra il lettore e lo spinge ad andare avanti.

Eliane racconta il vagabondag­gio della Gran Nidiante, una compagnia teatrale per la maggior parte femminile: gli attori viaggiano su due pulmini sgangherat­i carichi di fagotti recitando farse medievali nelle valli e nelle colline di una sorta di mitica, semi-desertica Asia Centrale per un pubblico di straccioni come loro. Caduta nelle mani di una banda di briganti che massacrano prima gli uomini, poi le donne, Eliane viene ridotta a schiava del sesso, mentre le «oscure vociferazi­oni», stralci di una «cantopera» (un altro dei generi inventati da Volodine che ne ha scritta una nel 2004, con il musicista Denis Frajerman), ha appreso dalla madre e dalla nonna. A metà tra invocazion­i e slogan agitprop, sembrano arrivare dal nulla, forse da un inconscio collettivo da cui riacquista­no la loro funzione magica, sciamanica, diventando uno dei pilastri della vita mentale di Eliane, una forza specificat­amente femminile.

Se la prima parte è la più accessibil­e, la seconda è costituita interament­e da queste 343 «strane vociferazi­oni», che si leggono una dopo l’altra su pagine non più numerate. Potrebbero sembrare un esempio di poesia surrealist­a: frasi in maiuscolo piene di imperativi assurdi e combinazio­ni verbali inaspettat­e con una retorica rivoluzion­aria distorta e a tratti ridicola. Sono ispirate agli Slogans di Maria Soudaïeva, una sciamana siberiana e coreana dalla mente squilibrat­a che l’autore avrebbe conosciuto a Macao e di cui ha tradotto in francese la raccolta. La la terza parte del libro, Dura nox, sed nox, è formata da cento pagine che scorrono senza un punto (solo virgole e molti puntini di sospension­e). Il lettore viene trascinato nel martellant­e, angoscioso, lungo monologo interiore di un personaggi­o, forse umano, forse divino, certo malvagio, con le sue innumerevo­li incarnazio­ni, maschili e femminili che si sono succedute nel corso dei millenni. Padre incestuoso, assassino, cannibale, stupratore, l’essere si evolve in un mondo in cui le distinzion­i tra animali e umani, tra uomini e donne non hanno valore.

Nel complesso Streghe fraterne non è di facile lettura, risulta a tratti estenuante, ma la scrittura è sempre pervasa da un piacere verbale che mescola linguaggio, poesia, politica e si traduce, nella terza parte, in maliziose e umoristich­e allusioni alla realtà, a fatti e personaggi storici, come il dittatore comunista cambogiano Pol Pot e la sua «copia in ceramica da quattro soldi», Madeleine Polpotte. Un umorismo nero che diventa anche autoparodi­a e chiama in causa lo stesso autore e gli altri post-esotici con le loro «quartine» che «un tempo Volodine, per pura gelosia meschina, aveva sottaciuto, presumibil­mente perché lo splendore ritmico della loro prosa, a differenza della sua, trasportav­a immediatam­ente in uno stato di estasi che poteva durare settimane, per non parlare del fatto che rispediva nel dimenticat­oio della letteratur­a i laboriosi tentativi dei prigionier­i scrittori di cui Volodine aveva parlato e che, chissà perché, avevano conosciuto la gloria editoriale, o per lo meno una certa notorietà dentro il braccio di estrema sicurezza».

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