Corriere della Sera - La Lettura
Selvaggia e libera (di farsi rinnegare)
Fa da sfondo alla storia di Valeria Usala una Sardegna arcaica dove una giovane anticonformista semina scompiglio
Troppo fiera, indipendente e bella. Una donna che non si piega alle consuetudini del suo villaggio e perciò viene spiata, criticata, osteggiata. Nel contesto rurale e arcaico di un paesino sulle montagne della Sardegna, vive la protagonista de La rinnegata, esordio di Valeria Usala che, grazie al passaparola, a pochi giorni dalla pubblicazione ha scalato le classifiche di vendita.
Il romanzo racconta la vita di Teresa: è ispirato da una vicenda vera, tramandata di generazione in generazione fino a giungere all’attenzione dell’autrice, che la propone offrendo al lettore con un ottimo schema narrativo ricco di pathos. Nello scenario di circa centocinquanta anni fa, con uno stile che oscilla fra realismo magico e atmosfere da fiaba, la scrittura di Usala descrive una giovane donna selvaggia e difficile, proprio come il territorio dell’isola in cui vive, ritratto nelle pagine del libro in tutte le sue sfumature di colori e atmosfera. La Sardegna non fa solo da sfondo ma diventa protagonista, in un affresco sapientemente realistico anche grazie all’utilizzo di forme dialettali, proverbi e testi di antiche canzoni per regalare ritmo e veridicità ai dialoghi.
Teresa è un’orfana nata nel disagio e poi beneficiata dalla generosità di una famiglia di ricchi proprietari terrieri, presso i quali era a servizio la nonna. Da giovanissima la bellezza è la sua unica dote, ma crescendo sviluppa un carattere schivo e ribelle, purtroppo fuori sincrono con la mentalità dell’epoca. «Senza un uomo accanto una donna non è nulla», è il dogma che governa la realtà di Teresa e così anche lei si piega a questa regola, sposandosi appena possibile. Peccato che il suo sia un matrimonio riparatore e per questo sia costretta a scegliere una cerimonia in comune anziché in chiesa.
Questa è la prima dissonanza fra la giovane e la comunità, invece di vergognarsi del proprio «peccato» la donna sembra poi vivere con serenità e orgoglio. Non si fa scalfire da pettegolezzi e dicerie, anzi mostra una pericolosa ambizione. Con i guadagni del marito, allevatore di bestiame, e i fondi ereditati dai suoi benefattori, in paese apre un emporio e poi una taverna. Diventa nuovamente mamma ma esce troppo in fretta dal puerperio, va in giro per il paese ostentando eleganza, frequenta la chiesa ma non si cosparge il capo di cenere, sempre orgogliosa e volitiva: «Se una donna deve chiedere perdono di quello che è, per salvarsi, tenetevi pure il vostro Dio. Il mio ha ben altra giustizia in mente». Mentre gli uomini ogni mattina fanno capannello davanti all’uscita di casa sua, per spiarne la bellezza, le donne del villaggio diventano le peggiori nemiche. Sono pronte a rinnegarla. Nessuna solidarietà femminile per la femmina che trasgredisce le regole. Solo pregiudizi e pettegolezzi, mascherati dietro una cortina di ipocrisia perché la nemica è ricca e non possono permettersi di trattarla male apertamente. «Il merito, da quelle parti, era frutto di muscoli e sudore, un diritto a uso maschile guadagnato ancor prima di nascere. Le donne in compenso potevano essere scrupolose, perspicaci, addirittura sfacciate: ma se sceglievano la strada del profitto, lo facevano sapendo di rinunciare anche al rispetto e alla dignità».
Invidia e superstizione governano sentimenti ed emozioni. Se la giovane e bella Teresa viene ripudiata in silenzio dalla comunità, su un’altra donna la gente del paese sfoga la propria aggressività, escludendola perché considerata una bruja, una strega. Non esiste pietà per Maria, un’anziana che le malelingue accusano di connivenza con il diavolo, solo perché straparla e vaga per le strade al calare del sole. È proprio quando le storie di Teresa e Maria si incrociano che la trama acquista una tensione più drammatica, per condurre poi, con perfetto equilibro, fino all’imprevedibile epilogo.