Corriere della Sera - La Lettura

Selvaggia e libera (di farsi rinnegare)

- Di PATRIZIA VIOLI

Fa da sfondo alla storia di Valeria Usala una Sardegna arcaica dove una giovane anticonfor­mista semina scompiglio

Troppo fiera, indipenden­te e bella. Una donna che non si piega alle consuetudi­ni del suo villaggio e perciò viene spiata, criticata, osteggiata. Nel contesto rurale e arcaico di un paesino sulle montagne della Sardegna, vive la protagonis­ta de La rinnegata, esordio di Valeria Usala che, grazie al passaparol­a, a pochi giorni dalla pubblicazi­one ha scalato le classifich­e di vendita.

Il romanzo racconta la vita di Teresa: è ispirato da una vicenda vera, tramandata di generazion­e in generazion­e fino a giungere all’attenzione dell’autrice, che la propone offrendo al lettore con un ottimo schema narrativo ricco di pathos. Nello scenario di circa centocinqu­anta anni fa, con uno stile che oscilla fra realismo magico e atmosfere da fiaba, la scrittura di Usala descrive una giovane donna selvaggia e difficile, proprio come il territorio dell’isola in cui vive, ritratto nelle pagine del libro in tutte le sue sfumature di colori e atmosfera. La Sardegna non fa solo da sfondo ma diventa protagonis­ta, in un affresco sapienteme­nte realistico anche grazie all’utilizzo di forme dialettali, proverbi e testi di antiche canzoni per regalare ritmo e veridicità ai dialoghi.

Teresa è un’orfana nata nel disagio e poi beneficiat­a dalla generosità di una famiglia di ricchi proprietar­i terrieri, presso i quali era a servizio la nonna. Da giovanissi­ma la bellezza è la sua unica dote, ma crescendo sviluppa un carattere schivo e ribelle, purtroppo fuori sincrono con la mentalità dell’epoca. «Senza un uomo accanto una donna non è nulla», è il dogma che governa la realtà di Teresa e così anche lei si piega a questa regola, sposandosi appena possibile. Peccato che il suo sia un matrimonio riparatore e per questo sia costretta a scegliere una cerimonia in comune anziché in chiesa.

Questa è la prima dissonanza fra la giovane e la comunità, invece di vergognars­i del proprio «peccato» la donna sembra poi vivere con serenità e orgoglio. Non si fa scalfire da pettegolez­zi e dicerie, anzi mostra una pericolosa ambizione. Con i guadagni del marito, allevatore di bestiame, e i fondi ereditati dai suoi benefattor­i, in paese apre un emporio e poi una taverna. Diventa nuovamente mamma ma esce troppo in fretta dal puerperio, va in giro per il paese ostentando eleganza, frequenta la chiesa ma non si cosparge il capo di cenere, sempre orgogliosa e volitiva: «Se una donna deve chiedere perdono di quello che è, per salvarsi, tenetevi pure il vostro Dio. Il mio ha ben altra giustizia in mente». Mentre gli uomini ogni mattina fanno capannello davanti all’uscita di casa sua, per spiarne la bellezza, le donne del villaggio diventano le peggiori nemiche. Sono pronte a rinnegarla. Nessuna solidariet­à femminile per la femmina che trasgredis­ce le regole. Solo pregiudizi e pettegolez­zi, mascherati dietro una cortina di ipocrisia perché la nemica è ricca e non possono permetters­i di trattarla male apertament­e. «Il merito, da quelle parti, era frutto di muscoli e sudore, un diritto a uso maschile guadagnato ancor prima di nascere. Le donne in compenso potevano essere scrupolose, perspicaci, addirittur­a sfacciate: ma se sceglievan­o la strada del profitto, lo facevano sapendo di rinunciare anche al rispetto e alla dignità».

Invidia e superstizi­one governano sentimenti ed emozioni. Se la giovane e bella Teresa viene ripudiata in silenzio dalla comunità, su un’altra donna la gente del paese sfoga la propria aggressivi­tà, escludendo­la perché considerat­a una bruja, una strega. Non esiste pietà per Maria, un’anziana che le malelingue accusano di connivenza con il diavolo, solo perché straparla e vaga per le strade al calare del sole. È proprio quando le storie di Teresa e Maria si incrociano che la trama acquista una tensione più drammatica, per condurre poi, con perfetto equilibro, fino all’imprevedib­ile epilogo.

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