Corriere della Sera - La Lettura
Leggi il museo, è tutto a fumetti
Il ministero della Cultura ha coinvolto alcuni tra i nomi più importanti della graphic novel italiana per raccontare i luoghi espositivi. Sono nati 51 albi per 51 allestimenti, anche in un cofanetto speciale: (non solo) per i più piccoli
C’è ancora qualcuno che, idealisticamente, continua a pensare i musei come cattedrali fuori dalla storia. Almeno da vent’anni, invece, queste istituzioni stanno radicalmente ridisegnando il perimetro della propria azione. Si tratta di spazi democratici: per tutti, aperti a tutti. Media pubblici, che rendono tangibile la memoria: ci ricordano chi siamo stati e chi siamo. Testimonianze di una società che non vuole sopravvivere a sé stessa, ma abita il passato per inventare il futuro. Non più solo scrigni dove si conservano e si espongono le opere d’arte, ma laboratori di forme, di gesti, di materie.
Esistono tanti modi per «riattivare» questi luoghi: sempre nel rispetto della loro identità. Certo, le mostre. Ma anche i bookshop e i ristoranti. E ancora: le performance, gli happening, gli spettacoli, le sfilate, i film, i videoclip, le campagne pubblicitarie. E i fumetti.
Nel 2018, il ministero della Cultura (allora Mibact), per impulso di Dario Fran
ceschini, ha avviato Fumetti nei musei, un progetto ideato dall’Ufficio Stampa e Comunicazione del MiC (per iniziativa di Mattia Morandi), in collaborazione con la casa editrice Coconino Press-Fandango. Una piccola biblioteca in progress: 51 albi ambientati in altrettanti siti museali e archeologici italiani, disegnati da alcune tra le principali voci della graphic novel italiana. Volumetti distribuiti gratuitamente ai ragazzi che partecipano ai laboratori didattici organizzati nei musei coinvolti. Un corpus che, dall’ottobre del 2020, è entrato a far parte dell’Istituto Centrale per la Grafica di Roma e che è stato raccolto in un cofanetto speciale in occasione della XX Settimana della lingua italina nel mondo, nello stesso mese di ottobre. Tra i casi più interessanti: Martoz sulla Galleria Borghese, Lrnz sulla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, Alessandro Tota sugli Uffizi, Lorenzo Ghetti su Capodimonte, Paolo Bacilieri su Brera, Zuzu sul Mann di Napoli, Squaz sul Marta di Taranto, Miguel Angel Valdivia sui Campi Flegrei, Bianca Bagnarelli su Pompei, Marco Corona sul Museo nazionale romano, Altan sul Castello Scaligero di Sirmione, Federico Rossi Edrighi sul Museo Etrusco di Villa Giulia, Vitt Moretta sul Museo Archeologico di Matera.
È nato così un viaggio in Italia, nel corso del quale il nostro patrimonio è stato osservato da angolazioni laterali. All’origine di questo grand tour, vi è una sorta di liturgia. Dapprima, i fumettisti si sono confrontati con i direttori dei musei. Poi, con un misto di rispetto e di libertà, hanno iniziato a lavorare ai loro soggetti. Hanno usato le aree archeologiche e i musei come spettacolari set; e trattato quadri, sculture e reperti come momenti da sceneggiare. Nella maggior parte dei casi, si sono serviti di queste fonti per dare vita a minime drammaturgie attraversate da figure strambe, ricorrendo spesso al medesimo artificio: nella sua visita, qualche personaggio scopre un dettaglio imprevisto, che lo porta, d’incanto, denPur
tro situazioni avventurose e atmosfere strabilianti, tra figure reali e fantastiche, fantasmi, mostri, supereroi e oggetti misteriosi. Forse, sulle orme di un suggerimento di Bruno Munari: «Se volete sapere qualcosa di più sulla bellezza, consultate una storia dell’arte e vedrete che ogni epoca ha le sue veneri e che queste veneri (o apolli) messi insieme, fuori dalle loro epoche, sono una famiglia di mostri». Alcuni esempi: Bacilieri ricostruisce la vicenda di una famiglia milanese, i cui membri, negli anni, hanno sempre visitato Brera, riempiendo quelle sale di passioni e di delusioni; Ghetti inventa le passeggiate parallele di una guida, di una custode e di una viaggiatrice nelle stanze di Capodimonte, dove alcuni dipinti sembrano animarsi; Valdivia ausculta voci di eserciti e di popoli transitati per Campi Flegrei; Rossi Edrighi disegna una novella di aruspici e di segreti strappati ai reperti del Museo Etrusco di Villa Giulia; Altan «filma» Miss Ida Frooz che, a Sirmione, interroga il fantasma di Ebengardo, spettro gentile e guida nel castello.
nella loro autonomia, i diversi capitoli di Fumetti nei musei si collegano, per collocarsi sulla soglia tra ri-locazione e divulgazione. Per un verso, i fumettisti scelti hanno riscritto e narrativizzato alcune icone della pittura e della scultura. Per un altro verso, sulle orme del motto oraziano sul docere delectando, hanno composto favole visive, per spalancare i territori del fantastico.
Grazie al linguaggio sincretico, flessibile e libero delle graphic novel — che saldano gusto per lo storytelling e sapienza artistica, testo e immagini, fabula e pittura, sensibilità per i contenuti e maestria formale — questi artisti hanno un comune obiettivo didattico-pedagogico: far conoscere la storia dell’arte anche ai più piccoli. Ove si ricordi che, come scriveva Beniamino Placido, divulgare significa semplificare senza banalizzare: non pretendere di risolvere il senso di un’opera, ma limitarsi a offrire alcune informazioni indispensabili e pochi concetti essenziali. E ancora: non saziare, ma affamare; non spegnere, ma accendere il nostro interesse. Per incrementare lo sviluppo dello spirito critico e la crescita del pubblico. Partendo dai più giovani.
Senza enunciarlo esplicitamente, i protagonisti di Fumetti nei musei —un progetto che continua anche online — rendono giustizia all’ambizione delle opere d’arte. Le portano oltre sé stesse, emancipandole dall’identità in cui l’erudizione e la filologia tendono a inchiodarle. Le fanno «succedere» qui, ora. Afferrano e liberano ciò che, in esse, è movimento, ritmo, tensione, vita sotterranea, significato non ancora espresso. Un destino necessario, come aveva ricordato Giuseppe Pontiggia: «Di un’opera i secoli successivi scoprono significati che si arricchiscono di una esperienza storica ignota all’autore. Non è una lettura arbitraria, è la lettura che ogni autore, se ambizioso, vorrebbe per il proprio testo. Un’opera viva che ne sappia più di lui e che, proprio per questo, gli sopravviva».