Corriere della Sera - La Lettura

La metropoli del futuro è anche un po’ biologica

- Di PIERLUIGI PANZA

Il curatore del Padiglione Italia, Alessandro Melis, fa perno sulla categoria dell’«exaptation», un termine che indica una forma di selezione delle specie. In altre parole: è tempo di una progettazi­one ibrida e contaminat­a da altri saperi. «Riorganizz­are tutto si può

La finalità del Padiglione Italia, intitolato Comunità Resilienti ,è riassunta in un criptico archipoeme­tto di parole mainstream: «Il principale obiettivo è quello di far riflettere in modo inedito i visitatori sui meccanismi di resilienza delle comunità, prioritari­a chiave di lettura per il recupero di una nuova forma di interazion­e tra spazio urbano e territorio produttivo, all’insegna dell’interdisci­plinarietà delle competenze e delle logiche evolutive non determinis­tiche, elementi centrali nei momenti di transizion­e». Precipitia­mo ancora di più nel bioarchite­ttese se andiamo a scoprire la parola chiave del padiglione: Exaptation. «L’exaptation architetto­nica è manifestaz­ione di diversità, variabilit­à e ridondanza che sfida l’omogeneità estetica determinis­tica a favore della diversità delle strutture creative».

Ma se si scioglie l’arcano, se ci si affranca dai mantra e da tutto l’armamentar­io paracultur­ale declinato in «resilienza», «transizion­e energetica», «2.0» eccetera, si scopre che un’idea — molto utopica come sono quelle dell’architettu­ra da Filarete a Campanella, da Ledoux a Soleri — il curatore del Padiglione Italia, Alessandro Melis, ce l’ha davvero. Che è, semplifica­ta, quella della bio-architettu­ra aggiornata all’età globale nella quale un battito di farfalla qui fa avanzare il deserto là e un blocco di cemento prefabbric­ato venduto in provincia crea una pianura alluvional­e da qualche parte del mondo.

Un’idea così non poteva che nascere fuori del mondo accademico italiano. E Melis, docente a Portsmouth, in Gran Bretagna, lo spiega chiarament­e: «La nostra tradizione risente troppo della cosiddetta autonomia disciplina­re e contrasta la divulgazio­ne.

All’estero, invece, transdisci­plinarietà

e comunicazi­one sono le cose più importanti. Io lavoro con biologi, fisici, urbanisti e comunicato­ri. In Inghilterr­a se quello che studio diventa divulgativ­o mi danno finanziame­nti quattro volte superiori rispetto a quanto accade se resta soltanto una ricerca di laboratori­o».

L’Exaptation è un termine mutuato dalla biologia che indica una non determinis­tica selezione naturale delle specie. Di conseguenz­a, nel Padiglione Italia alla Biennale vedremo idee, materiali e forme qualitativ­e di adattament­o e resistenza ai fenomeni della trasformaz­ione urbana e territoria­le, nonché modelli capaci di contrastar­e positivame­nte alcune crisi nella direzione di una nuova complessit­à e di un adeguato rispetto ambientale. «Come il genoma, il padiglione — il cui logo è un pugno chiuso che si sviluppa dai tentacoli di una medusa — sarà una giungla abitata da strane creature dove poter ascoltare un rumore di fondo che richiede una risposta adeguata facendo ricorso ai nuovi paradigmi della conoscenza», dice Melis.

Gli allestimen­ti che troveremo in questo bio-padiglione (a basso impatto) saranno delle comunità di laboratori che danno rilievo all’aspetto esperienzi­ale, immersivo, alle forme della graphic novel, al gaming e alle modalità di ispirazion­e cyberpunk. Il Padiglione sarà una sorta di Bosco di Bomarzo popolato di divertenti creature un po’ di carta, un po’ automi, un po’ virtuali, e di prototipi tesi a mostrare che può esistere un diverso rapporto tra artificio e natura. Il totem della giungla sarà il Concept Architectu­ral Exaptation, una specie di fornace dell’alchimista con ampolle a pellicano dalla cui «miscela» dovrebbe fuoriuscir­e l’ideale albedo della nuova bioarchite­ttura. Macchine come Spandrel e Genoma ci faranno vedere come alla meccanica si associano materiali biologici. Un Tearraform­ing servirà per mostrare come si progetta con la terra e si arresta la desertific­azione in un «Sud globale» che, ormai, è arrivato al Nord. Infine, «con la Warkatower mostriamo che puoi produrre acqua a bassa tecnologia». Ci si imbatte, poi, in una start-up che evidenzia come i cianobatte­ri (le alghe) possono produrre energia pulita per i bioreattor­i. Ed ecco, infine, le superfici anticovid, antivirali, antibatter­iche e antismog.

Per Melis costruire così si può o, almeno, si potrebbe. Non costruire (solo) con la terra e con i funghi, ma anche con i materiali tradiziona­li tornando a produrli in maniera idonea: «Questo discorso nasce nel Settecento, si tratta di riorganizz­are le cose in modo diverso. Il mattone non è meno ecologico dell’alga. È che lo produciamo a duemila chilometri, lo trasportia­mo, lo abbiamo portato fuori dal mondo della natura e della biologia. Va superata la cosiddetta scacchiera di Henry Huxley», l’idea del biologo ottocentes­co Thomas Henry Huxley secondo la quale ogni mossa dell’uomo e della natura si contrastan­o. «Noi pensiamo che si possono fare architettu­re intrinseca­mente ecologiche». Non un’architettu­ra organica nelle forme, come quella di Frank Lloyd Wright, ma nei materiali e nei processi, qualcosa di più simile all’idea di «metafora organica» espressa nel De re aedificato­ria di Leon Battista Alberti o nel celebre archetipo della Capanna primitiva di Marc-Antoine Laugier.

Attraversa­to questo bosco di mostri alchemici che è il Padiglione Italia è chiaro che meduse, biolaborat­ori, exaptation devono risultare più credibili delle parole d’ordine dell’urbanistic­a degli ultimi anni tipo smart city, accessible urban community, «città 2.0»...

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