Corriere della Sera - La Lettura
TRE VOCI DOPO MAO: IL MONDO È CAOS
Quando nel 1996 Han Shaogong pubblicò Il dizionario di Maqiao, affidò la sua visione della Cina a un romanzo-non romanzo: erano 115 «voci» a disegnare l’universo umano e spirituale di un villaggio immaginario, ma neppure poi così tanto, dell’Hunan. Cina profonda, l’immutabile universo rurale capace di deglutire la storia con dolore e pazienza. Un’acrobazia narrativa figlia delle sperimentazioni letterarie germogliate dopo la morte di Mao Zedong (1976) e soprattutto con «le riforme e l’apertura» di Deng Xiaoping (1978): Han, che è del 1953, seppellì nella sua narrazione frammentaria e rapsodica decenni di dettami realsocialisti. Il moralismo edificante e manicheo cedeva a un recupero audace di «radici» quasi recise dal maoismo. Peccato che nella Jugoslavia diversamente comunista del 1984 il serbo Milorad Pavic avesse a sua volta pubblicato un Dizionario dei Chazari, «romanzo-lexicon in 100.000 parole» (nel 2020 l’ha riedito Voland): un paio di critici cinesi accusò Han di plagio, lui replicò in tribunale e vinse la causa. Come suggestione Han cita, piuttosto, il Piccolo dizionario delle parole fraintese diviso su 3 capitoli nell’Insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera (’84).
L’uscita italiana del Dizionario di Maqiao (versione di Patrizia Liberati e Maria Rita Masci, Einaudi, pp. 392, € 22) consente di saggiare la tenuta di un impianto che scarta dalla linearità e prolifera in capitoli, anzi lemmi, di lunghezze variabili, alcuni di fatto racconti autonomi. «I miei romanzi assomigliano all’attività di un piccolo contabile», leggiamo a un certo punto nella prosa di un autore che, in un altro passaggio, ammette che «la debole luce della coscienza è lungi dall’illuminare il mondo intero». Ma è il mondo, sfrangiato com’è, che non si fa illuminare: nessuna ideologia né metafisica né legge può dargli ordine. «La verità serve e non serve, può chiarire ma anche confondere», e la sola strategia è restituire il caos attraverso l’incolonnarsi delle voci di un dizionario. A Maqiao, e ovunque.
Una provvisoria rinuncia al romanzo che tutto comprende mostrano i 5 racconti che Su Tong (1963) scrisse fra l’89 e il ’99, raccolti in L’epoca dei tatuaggi e tradotti da Maria Rita Masci (Orientalia, pp. 150, € 14). Qui è una strada, via Xiangchunshu, a convogliare le turbolenze del mondo e l’eredità della Rivoluzione culturale e la forma del bozzetto si assume l’onere di riscattare i giovanissimi protagonisti di fronte agli adulti e all’oblio (stile Yu Hua, quasi), perché «possiamo solo credere a quello che si dice nella strada». E se «il riflesso della luna si frantumò», allora narrare è di per sé la perdita definitiva dell’innocenza.
Non occorre però aver vissuto il maoismo per prendere atto dell’ostinata riluttanza del mondo a farsi domare: in Mosé sulla pianura (tradotto da Paolo Magagnin con altri tre racconti, Atmosphere, pp. 214, € 17) Shuang Xuetao — nato nell’83, un’ulteriore generazione rispetto a Han e a Su Tong — smantella la fiducia in una realtà razionalizzabile moltiplicando i punti di vista su una trama gialla. Molte voci, intanto ogni cosa cambia. «Il campo di sorgo non c’è più», ed è detto tutto.