Corriere della Sera - La Lettura

Basta silenzi sul regime feroce del Ruanda

- Di VIVIANA MAZZA

Michela Wrong mostra il volto della dittatura di Paul Kagame

Do Not Disturb, non disturbare, diceva il cartellino sulla porta della stanza d’albergo di Johannesbu­rg in cui fu trovato strangolat­o Patrick Karegeya, ex capo della sicurezza esterna del Ruanda, nel 2013. Michela Wrong, che ha raccontato l’Africa per Reuters, Bbc e «Financial Times», nel libro Do Not Disturb (Fourth Estate), dedicato alla madre nata in Valle d’Aosta («che mi ha resa ciò che sono»), apre quella porta. È una cosa che a lungo la comunità internazio­nale ha preferito non fare, un po’ per senso di colpa per non avere impedito il genocidio del 1994 e un po’ per la «vecchia e discutibil­e idea che i regimi assicurino stabilità». «Il mondo ha ignorato le poche voci che indicavano come gli oppositori politici venissero zittiti con arresti, rapimenti e torture», denuncia l’arcivescov­o Desmond Tutu in apertura del libro. Wrong ascolta quelle voci e smonta la pretesa del presidente tutsi Paul Kagame, al potere da 27 anni, che dalle rovine del genocidio sia sorta una «Svizzera dell’Africa».

Perché ha deciso di scrivere questo libro?

«L’assassinio di Patrick Karegeya ha fatto scattare la decisione. Lo avevo incontrato un paio di volte, eravamo rimasti in contatto. Pensai: se questa persona, che era stata così centrale per il regime di Kagame, può finire uccisa dal suo vecchio capo e amico, che cosa è successo? Ero consapevol­e di punti su cui la narrazione del Fronte patriottic­o ruandese (Fpr, il braccio armato e poi partito di Kagame, ndr) era diventata molto discutibil­e, come l’assassinio dell’ex ministro dell’Interno Seth Sendashong­a, o la caccia ai rifugiati nelle foreste del Congo da parte dell’esercito ruandese, o ancora quando una serie di ex ufficiali dell’Fpr cominciaro­no a dire: “Siamo stati noi a far cadere l’aereo su cui volava Juvénal Habyariman­a” (il presidente ruandese hutu la cui uccisione, nel 1994, scatenò il genocidio contro i tutsi, ndr). Avevo letto il lavoro di storici come Gérard Prunier, secondo cui erano stati probabilme­nte gli estremisti hutu, convinti che Habyariman­a avesse concesso troppo ai suoi nemici dell’Fpr. Poi tanti ex seguaci di Kagame hanno detto che erano stati loro e che era parte di una strategia: eliminare il capo dello Stato per vincere la guerra. Nessuno d’altra parte credeva che Habyariman­a avrebbe rispettato le condizioni che pure aveva accettato negli accordi di pace di Arusha con l’Fpr. All’inizio non ci potevo credere, ma dopo tante interviste penso che sia vero».

Che cosa resta da chiarire circa i fatti del 1994?

«Che il genocidio ci sia stato non c’è dubbio, io sono una dei giornalist­i che videro le pile di corpi. C’è stato grande dibattito sul termine “doppio genocidio”, che cerco di evitare: i francesi in particolar­e lo usarono per spiegare che c’era stato un genocidio commesso da estremisti hutu contro i tutsi, ma che anche l’Fpr aveva sterminato i civili hutu. L’espression­e “doppio genocidio” però porta con sé la sensazione che si vogliano minimizzar­e gli eventi. Di certo le uccisioni degli hutu da parte dell’Fpr, anche quando le sue forze entrarono nel Paese tra il 1990 e il 1994, sono state sottostima­te. Alcuni casi sono stati rivelati dal rapporto del consulente americano Robert Gersony (commission­ato e poi soppresso dall’Onu, ndr). Ci sono stati massacri di rifugiati e moltissimi morti in Congo: civili hutu che avevano lasciato il Paese con gli estremisti e l’esercito di Habyariman­a; fu data loro la caccia in maniera indiscrimi­nata. Dal Mapping Report dell’Onu è emerso in maniera conclusiva che l’Fpr ha ucciso decine di migliaia di persone, se non di più. È un movimento che ha le mani sporche di sangue e non è mai stato giudicato per quegli omicidi».

La paranoia di Kagame è al centro del suo libro.

«La paranoia è la chiave del regime e della psiche di Kagame, che vive nel costante timore di essere rovesciato da qualcuno a lui vicino. Sin da bambino a scuola faceva la spia sui compagni all’insegnante. Era imparentat­o con la famiglia reale, il padre non riuscì ad abituarsi a fare il contadino, diventò alcolizzat­o, la madre lavorava duramente per sostenere la famiglia. Il senso di inferiorit­à e la rabbia crebbero, poiché si trovò tante strade bloccate in Uganda, per il fatto di essere un profugo. Credo che Karegeya e il generale Kayumba Nyamwasa, che si rifugiaron­o in Sudafrica, gli sarebbero sempre stati fedeli, ma Kagame divenne così sospettoso che li trasformò in nemici, creando proprio la situazione che temeva. La personalit­à di Kagame ha plasmato il Ruanda: le elezioni sono truccate, controlla i media, è un Paese in cui tutti sono monitorati».

 ??  ?? La giornalist­a e scrittrice britannica Michela Wrong, nata nel 1961, è una specialist­a di problemi africani. In Italia è uscito il suo libro sull’Eritrea I Didn’t Do It For You (Edizioni Colibrì, 2017)
La giornalist­a e scrittrice britannica Michela Wrong, nata nel 1961, è una specialist­a di problemi africani. In Italia è uscito il suo libro sull’Eritrea I Didn’t Do It For You (Edizioni Colibrì, 2017)

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