Corriere della Sera - La Lettura
Un bimbo di tre anni in Kenya La più antica sepoltura africana
Panga ya Saidi, sulla costa del Kenya una cinquantina di chilometri a nord di Mombasa, è una grotta frequentata ancora oggi per cerimonie tradizionali, sprofondata nella terra rossa di ferro che fu dei Masai. Qui è stato rinvenuto il fragile scheletro di un bambino di tre anni. Aveva le gambe rannicchiate sul petto, come se dormisse, coricato sul lato destro. Mani pietose hanno poggiato la sua testa su un supporto deperibile, che consumandosi ha lasciato un vuoto dentro il quale sono cadute le ossa dal collo in su. Il corpo era avvolto in un sudario, che è andato perso, ma ha lasciato i segni del suo abbraccio sullo scheletro.
Tutti questi dettagli indicano un insieme di comportamenti noto come sepoltura intenzionale: il bambino è stato deposto in una piccola fossa scavata per lui ed è stato subito ricoperto con i sedimenti circostanti, fatti di ocra e disseminati di frammenti di molluschi terrestri. Non è stato insomma abbandonato lontano dagli spazi abitati, per proteggerli dalla decomposizione e dall’arrivo di animali spazzini, ma è stato protetto dopo la sua morte. Non ci sono oggetti interrati per accompagnarlo nel viaggio né offerte o resti di fiori che si trovano in sepolture più elaborate, ma si tratta in ogni caso della prova di un complesso comportamento simbolico, di qualcosa di simile a un rituale.
La bellezza del ritrovamento basterebbe da sé, ma la datazione ha permesso agli scopritori — un team di ricercatori da 28 laboratori europei, americani e australiani, tra i quali l’archeologo italiano Francesco d’Errico che lavora all’Università di Bordeaux — di conquistare la copertina di «Nature». Il seppellimento è avvenuto infatti 78 mila anni fa circa: la più antica