Corriere della Sera - La Lettura
Quando suonare Debussy al piano faceva perdere l’innocenza alle figlie
L’infanzia povera, le lodi dei primi insegnanti che subito inquadrano, di Claude Debussy, il temperamento geniale ma indisciplinato («Moduli, moduli», gli grida César Franck a lezione; e lui: «Perché modulare, se mi trovo così bene in questa tonalità?»). Poi i primi successi, la nobile dama russa, la stessa mecenate di Ciajkovskij, che lo sostiene e promuove. La drammatica vita sentimentale, il carattere ritroso e ombroso. Persino le buffe superstizioni, dalla paura dei nodi alla passione per i gatti esotici. Il ritratto di Debussy, come lo traccia il grande baritono Dietrich Fischer-Dieskau nella corposa monografia del 1993, per la prima volta edita in Italia nel 2019, è un magma di aneddoti gustosi e, insieme, un colto dérapage, che volentieri abbandona il solco biografico per concedersi ampie aperture, specie sui rapporti del compositore con i colleghi, da Paul Dukas a Igor Stravinskij. Il Fischer-Dieskau interprete fa qui un passo indietro e lascia parlare il musicologo. Chi conosce i suoi saggi su Wagner e Nietzsche, su Schumann o sui Lieder di Schubert sa bene quanto ostica sia la sua prosa tedesca e molto apprezzerà questa lettura, anche se la cura editoriale è ampiamente migliorabile e nella traduzione di Francesco Bussi spuntano termini come «innico», «ridevole» o «pristino» per «precedente». Preziose soprattutto sono le pagine in cui FischerDieskau inquadra singole opere, da La mer ai Préludes, descrivendone non le strutture ma le ragioni più intime e poetiche; o quelle in cui il compositore si specchia nel debussismo da lui stesso generato: «Le madri si chiedevano in tutta serietà se le loro figlie potevano suonare Clair de lune senza perdere la loro innocenza»...