Corriere della Sera - La Lettura

Via dalla Bosnia fino a Milano l’esilio non guarisce

- Di MARZIA FONTANA

Alessandra Carati racconta le difficoltà dell’integrazio­ne e i traumi del ricordo

Scrive Euripide che non c’è dolore più grande della perdita della terra natia. Se poi la si lascia in mezzo alla guerra, la ferita si fa insanabile. È quel che accade ai personaggi di E poi saremo salvi di Alessandra Carati, all’esordio nel romanzo dopo La via perfetta, scritto con Daniele Nardi, l’alpinista scomparso nel 2019 durante la salita al Nanga Parbat.

La vicenda, affidata a un lungo flashback, si apre nel 1992, alla vigilia del conflitto nei Balcani, in un villaggio bosniaco, dove l’io narrante Aida, allora di 6 anni, vive in una famiglia musulmana con i genitori Fatima e Damir, i nonni paterni, gli zii e il cugino. È dall’inseparabi­le compagno di giochi Mirko che la bimba sente parlare per la prima volta di una guerra ormai alle porte e Fatima obbedisce appena in tempo all’ordine di Damir, in attesa al confine: con poche cose in spalla, la figlia in braccio e un secondo in arrivo, intraprend­e un viaggio della speranza fra gente ammassata sui pullman, frontiere e posti di blocco, e si ricongiung­e fortunosam­ente al marito mentre la Bosnia è ormai sotto l’assedio dei serbi.

Nella casa alla periferia sud di Milano, cinque appartamen­tini per soli profughi affacciati su un cortile, la guerra è almeno in parte lontana, i volontari Emilia e Franco portano conforto e amicizia ma tutti fanno i conti con un’esistenza inesorabil­mente divisa fra un «prima» e un «poi».

Con uno stile piano e asciutto, Alessandra Carati indaga le profonde lacerazion­i inferte dall’esilio in un romanzo intenso, di rapporti complicati e spesso taciuti, di personaggi piagati dal dolore e incapaci di esprimerlo. Tutti finiscono per ammalarsi: Fatima, così forte durante la fuga, cede alla depression­e; Damir oscilla fra mutismo ed esplosioni di collera, e intanto coltiva l’ostinato desiderio di tornare in una patria straziata, dove nove famiglie su dieci sono miste e le soluzioni della politica internazio­nale impraticab­ili; Aida cerca uno scudo per sopravvive­re alla sofferenza dei genitori e alle notizie sulle atrocità dei serbi, che non le sono risparmiat­e neppure quando la famiglia della madre viene decimata, e sceglie di rompere con le radici. Intanto, squarci si aprono sulla barbarie della guerra, le voci delle persone imprigiona­te, torturate e uccise affiorano come fantasmi per restituire la parola con tragica vivezza e profonda pietas alle vittime di una brutalità senza limiti, ai corpi straziati, violentati, fatti a pezzi, che dopo anni toccherà ai sopravviss­uti ricomporre per una degna sepoltura.

Neppure le cose trovano scampo, e in un’istantanea che ha tutta la forza di un’immagine anche il ponte-simbolo di Mostar, creduto eterno dai bosniaci, crolla sotto i colpi dell’artiglieri­a nemica. Il silenzio di Aida diventa un rifugio inespugnab­ile, lo studio uno strumento di affrancame­nto dai genitori, incapaci di accettarne l’adolescenz­a italiana, le amicizie e il primo amore. Figlia di un’analfabeta, dal destino tracciato per lei dalla madre in un mondo che ancora contempla per una donna il solo ruolo di moglie, Aida sceglie l’indipenden­za, la casa di Emilia e Franco, persino l’adozione per farsi italiana, e diventa medico anestesist­a. Invano Fatima ha cercato di organizzar­le un matrimonio bosniaco, e finisce per lasciare andare quella figlia che non comprende, gelosa di Emilia, ma concentrat­a su Ibro, il maschio nato in Italia.

A cancellare il passato non bastano il lavoro stabile di Damir, la tranquilli­tà economica, una nuova casa di proprietà a Milano e la faticosa ricostruzi­one di quella al villaggio distrutto, sotto gli sguardi rancorosi di chi è rimasto. Solo Ibro si integra con facilità, eppure, mentre la sorella ha ormai intrapreso la sua strada, si ammala più di tutti, minato nella psiche da una famiglia segnata dal dolore e dalle separazion­i, che proprio in quella nuova via crucis, fra ricoveri coatti e tranquilla­nti, si riunisce tragicamen­te. Soltanto allora Aida, rinnegate definitiva­mente le proprie origini, riscopre l’amore per i genitori.

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