Corriere della Sera - La Lettura

Io me ne vado Tu ascolta «Edith Pilaf»

- Di ENRICO ROTELLI

La statuniten­se di origine cinese Yiyun Li abolisce le virgolette in un dialogo con il figlio adolescent­e perduto, dove la memoria si veste di rimpianto. Lo strazio per l’assenza non impedisce lampi di leggerezza e di ironia

Un mondo di parole, unicamente di parole, quello di Dove le ragioni finiscono, il romanzo di Yiyun Li in uscita per NN editore nella traduzione di Laura Noulian. La protagonis­ta lo crea per poter parlare con il figlio Nikolai, morto suicida a 16 anni. Nata a Pechino nel 1972, nel 1996 Yiyun Li ha lasciato la Cina per specializz­arsi in Immunologi­a negli Stati Uniti ma, decisa a non tornare in patria, ha abbandonat­o la carriera scientific­a e studiato Scrittura creativa. Da allora ha pubblicato sette libri, tutti in lingua inglese, tra romanzi, raccolte di racconti e il libro di memorie Caro amico dalla mia vita scrivo a te nella tua, nel quale ha parlato dei suoi due personali tentativi di suicidio. Pochi mesi dopo la pubblicazi­one, il figlio maggiore Vincent il proprio suicidio l’ha portato a termine.

Dove le ragioni finiscono è forse una risposta a questo enorme dolore, ma come Li anche la protagonis­ta del romanzo è una scrittrice e prima di sapere che cosa le stesse per accadere stava proprio per mettersi a scrivere di una donna il cui figlio si suicida. «Quando pubblicher­ai il libro la gente penserà che hai attribuito questa storia alla tua protagonis­ta a causa mia», le dice Nikolai. «La gente può pensare quello che vuole».

Senza prendere in consideraz­ione quanto la narrativa sia formata dalla realtà o dalla finzione, in questo mondo fatto di sole parole Nikolai è vincolato all’abilita della madre. Il romanzo è infatti una conversazi­one della donna con sé stessa. L’assenza delle virgolette nei dialoghi e le domande ci spingono a ricordarlo. «Forse non nascerebbe­ro più bambini se i genitori fossero capaci di prevedere ogni cosa, dissi. Ma mi domandai se questo fosse vero. Non mi ero forse preparata per anni a perdere Nikolai, addirittur­a presentend­o il dolore? Allora perché hai avuto dei figli, domandò Nikolai, se sapevi che sarebbe potuta accadere una cosa del genere? Anche la persona meno ottimista vuole avere un po’ di speranza».

Il compito di una madre è avvolgere, non svolgere, e lei non chiede al figlio perché si sia ucciso. Gli promette invece comprensio­ne e noi lettori sentiamo le sue lacrime, le fughe incontro ai (e contro i) cliché e l’ossessiva ricerca di conforto di una scrittrice attraverso i vocaboli, i lemmi e l’etimologia. Sentiamo il silenzio e l’inconsapev­olezza delle ore intercorse tra il momento in cui l’ha visto per l’ultima volta e quello in cui è morto.

Quello di Nikolai e sua madre è un mondo bello, dolce, composto di 16 capitoli — 16 come gli anni di Nikolai — che scavano nei ricordi e nelle personalit­à di ognuno dei due. Ma chi può essere il critico più ambizioso di una scrittrice se non il figlio adolescent­e che esiste nelle sue parole? Come la scrittura di Li, le parole della madre tendono all’assenza di aggettivi perché «solo capaci di reclamare il diritto di esprimere un giudizio». Nikolai invece li considera il suo «peccaminos­o piacere». «Senza offesa, ma non hai un vocabolari­o esorbitant­e», le dice in una delle tante discussion­i. Ma lei non è capace di avere la risposta pronta.

Adesso che ogni cosa è diventata invisibile quello che invece i due possono fare è «acchiappar­e al volo le parole l’uno dell’altra», in un gioco verbale in cui è facile pensare alla frustrazio­ne della traduttric­e nel non poter rendere in italiano il divertente rimando a The Catcher in the Rye, il titolo originale del nostro Giovane Holden. Ma tanti altri sono questi giochi, una costante della scrittura di Li, come i rimandi ai classici della letteratur­a. Da miserabili che a 12 anni, dopo aver visto il film, Nikolai aveva letto tre volte di seguito nel corso della stessa estate («avrei dovuto capire che prometteva male?» si chiede la madre) a Guerra e pace, di cui aveva letto soltanto un centinaio di pagine perché non ci ha «capito un’acca». «Chi va a leggere le note quando un libro ha già così tante pagine?», aveva protestato il ragazzo quando la madre gli dice di non essersi accorto che nelle note c’è la traduzione di tutti i brani in francese.

Sono tantissime le cose che, nei desideri della madre, Nikolai un giorno avrebbe potuto conoscere e amare. Una settimana prima di morire le aveva ad esempio confidato di non vedere l’ora di iniziare le lezioni su Macbeth. Tantissime sono anche le paure che la madre affronta, una tra tutte quella delle feste. La loro non è mai stata una famiglia interessat­a alle celebrazio­ni, eppure lei adesso ha paura di affrontare il primo giorno festivo senza Nikolai, che quando non aveva troppi compiti metteva sempre in forno qualcosa. «Il burro, la panna, il miele (...) nessuno, nemmeno Proust, avrebbe potuto mai riportare in vita con le parole la calda fragranza di quegli ingredient­i a cui si mescolava il profumo della pioggia invernale in California e delle foglie d’eucalipto bagnate».

Lei gli parla anche se lui non sempre risponde, perché è sicura che la stia ascoltando. Vorrebbe che avesse fatto di lei una nemica, anziché scegliere sé stesso. Le madri, pensa, sarebbero perfette per quel ruolo. «Non puoi essere la mia nemica, mamma», risponde lui. «Io il nemico perfetto l’ho trovato in me stesso».

IEra un adolescent­e, Nikolai, un sedicenne duro e intransige­nte, a cui oltre a leggere e cucinare piaceva salvare i brani preferiti sul telefono della madre: classica e musical, arie d’opera e parodie trovate su internet, colonne sonore di videogame e una cartella nominata Edith Pilaf: quanto avevano riso per questo errore. Era ambizioso e supponente, Nikolai, e la madre ama da impazzire il fatto che la sua ambizione e la sua supponenza rimarranno per sempre giovani, ma basta una parola per scatenare un ricordo e farle avere una stretta al cuore. Ogni cosa che lo riguarda adesso si concluderà solo con le parole «mai più».

Le pagine oscillano tra la dolcezza e il dolore dei dettagli, eppure Nikolai e la madre hanno un umorismo sottile, potente, a tratti assurdo. Quando lei gli dice che il suo eroe letterario d’infanzia Lemony Snicket ha inviato una lettera di cordoglio, lui si lamenta di non poter vantarsene con gli amici, che al momento della morte hanno scritto a lui o alla famiglia da un luogo in cui Nikolai era ancora uno di loro, senza bisogno di ricorrere a formule preconfezi­onate come fanno gli adulti. «Se c’è una cosa su cui ironizzare, dissi, è la velocità con cui noi adulti, posti in una situazione insolita o indesidera­ta, restiamo a corto di parole».

La madre di Nikolai le parole invece le ha trovate, le ha trovate scrivendo. «Ho sempre avuto l’idea che la scrittura sia per le persone che non vogliono sentire o non sanno come farlo. E la lettura? domandai. Nikolai era un buon lettore. La lettura è per quelli che vogliono sentire». Yiyun Li è per chi di noi vuole sentire.

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